CORONAVIRUS
Tutti i dubbi e i rischi legati alla riapertura delle scuole in Ticino
Le tesi contrastanti nel mondo scientifico. Gli ultimi allarmi da Ginevra, Bergamo e Londra. Vale davvero la pena correre rischi per la salute pubblica per 13 giorni di scuola ad allievo?

di Andrea Leoni

Occorre partire da un promemoria che alcuni, purtroppo, si sono già dimenticati. Il Ticino - per contagi per numero di abitanti e decessi - è una delle regioni che nel Mondo ha pagato il prezzo più alto alla pandemia di Covid19.

Questa consapevolezza dovrebbe continuare ad albergare in ogni cittadino, soprattutto nella delicatissima fase delle riaperture. Ciò vale in primis per i comportamenti individuali che dobbiamo continuare a mantenere con scrupolo, ma anche per valutare le scelte delle autorità.

Le parole di Daniel Koch

Il dibattito sull’apertura delle scuole dell’obbligo l’11 maggio, su decisione del Consiglio Federale sostenuta dal DECS, ha dato avvio ad un ampio dibattito. Una discussione sulla quale si sono innestate anche le parole di Daniel Koch. L’esperto dell’Ufficio Federale della sanità asserisce - sulla base di suoi contatti personali con alcuni ricercatori svizzeri di cui si fida e di studi non ancora conosciuti - che a suo avviso i bambini non si contagiano, ne sarebbero contagiosi, nella fascia da 0 a 10 anni (ma allora, fosse vero, perché riaprire le Medie?). Da qui il via libera all’apertura delle scuole, accompagnata dalla controversa affermazione “nonni potete riabbracciare i vostri nipoti, ma non accudirli”.

La totale incertezza scientifica

Ad oggi, mercoledì 29 aprile, nessuno può confermare o smentire con ragionevole certezza le affermazioni di Daniel Koch. Come nessuno può confermare o smentire le tesi opposte alle sue. Si possono citare studi o esperti che si allineano alle teorie dell’alto funzionario del BAG, oppure che ne sconfessano categoricamente le conclusioni. Il Professor Massimo Galli dell’ospedale Sacco di Milano, un dei massimi dell’infettivologi italiani, asserisce perentorio che“i bambini si possono contagiare ed essere contagiosi” e che le scuole “sono incubatori di Covid19” (leggi qui).

Anche sul fronte degli studi si possono riscontrare queste tesi contrastanti. La rivista scientifica Lancet, ad esempio, ha pubblicato il 27 di aprile una ricerca fatta in Cina dove si afferma che i bambini, con un età inferiore a 10 anni, hanno lo stesso grado di popolazione contagiata degli adulti e vanno per questo motivo attenzioni per quanto riguarda le catene di trasmissione del virus (leggi qui).

L’allerta da Ginevra

Anche Alessandro Diana, pediatra e infettivologo dell’università di Ginevra, ha preso le distanze dalle parole di Koch in un’intervista pubblicata stamane dalla Regione: “Qui a Ginevra - ha spiegato - abbiamo avuto tre casi di bambini che presentavano dolori addominali e manifestazioni cutanee, ma non i sintomi ‘classici’ del Covid19 (difficoltà respiratorie, raffreddore, mal di gola ecc.). Sono risultati negativi al tampone, ma poi positivi al test sierologico. Se fin qui, sulla base di un esito negativo del tampone, affermavamo che i bambini in pratica non si ammalavano, ora – alla luce dei risultati dei test sierologici che ‘contraddicono’ quelli del tampone – questo non lo possiamo più fare. Anzi: dobbiamo dire ormai che ci sono bambini che, dopo un test negativo, hanno una sierologia positiva e che sono malati di Covid-19. Lanciamo perciò un’allerta”.

La sindrome di Kawasaki: l’allarme dei pediatri italiani e britannici

Sul fronte Londra-Bergamo viene lanciato un altro avvertimento. I medici del dipartimento Pediatria dell’Ospedale Papa Giovanni XXIII affermano infatti di aver scoperto un legame tra il virus e la Malattia di Kawasaki, una patologia che colpisce i bambini e la cui complicanza più temibile è l’infiammazione delle arterie del cuore. In un mese, a Bergamo, si è registrato un numero di casi pari a quelli degli ultimi 3 anni.

Per la casistica degli ultimi 2 mesi, affermano gli specialisti, il responsabile è il nuovo Coronavirus.

Stesso allarme arriva anche dalla Gran Bretagna, attraverso la Società britannica di terapia intensiva pediatrica: "Nelle ultime tre settimane c'è stato un aumento del numero di bambini con uno stato infiammatorio multisistemico che richiede cure intensive in tutto il Paese. L'ipotesi di lavoro è che la sindrome sia correlata alla COVID”. Un allarme che è stato raccolto con preoccupazione anche dal ministro della salute.

Ancora una volta è bene specificare che siamo nel campo delle ipotesi scientifiche non ancora comprovate. Ed è inevitabile considerato che si tratta di un virus sconosciuto fino a pochi mesi fa. Gli allarmi, insomma, potrebbero essere fondati, oppure no. Ma vanno evidentemente tenuti in considerazione.

Scuole: cosa fanno i paesi colpiti duramente come il Ticino?

Per fare paragoni sensati occorre rapportare il nostro Cantone ad altre realtà europee colpite dal Covid19 con una durezza simile. Ovvero Spagna, Italia e Francia. Noi sostanzialmente rientriamo nel comparto Lombardia, come similitudine. Ebbene, in nessuno di questi tre Paesi vi sarà un’apertura generalizzata delle scuole dell’obbligo così come immaginato dal Consiglio Federale e dal DECS.


Spagna e Italia hanno rinviato l’intera ripresa a settembre. Mentre il presidente Macron, che è un furbacchione, ha trovato una formula ibrida dopo uno scontro durissimo con il suo comitato scientifico, che chiedeva di seguire la via italiana e spagnola.

In Francia, perciò, riapriranno l’11 maggio solo le scuole elementari ma senza alcun obbligo di frequenza. Le medie riprenderanno, invece, a partire dal 18 ma solo in quelle regioni del Paese risparmiate dal virus. Per tutte le altre scuole se ne riparlerà a giugno, forse.

Il documento dell’Istituto superiore di sanità italiano

In un documento indirizzato al Governo italiano per valutare i gradi di rischio legato alle riaperture, l’Istituto superiore di sanità, il nostro BAG, mette in guardia proprio sulle conseguenze di una ripresa dell’attività scolastica.

“Riaprire le scuole – si legge nel report – innescherebbe una nuova e rapida crescita dell’epidemia. La sola riapertura delle scuole potrebbe portare allo sforamento del numero di posti letto in terapia intensiva”.

Giusto? Sbagliato? Esagerato? Italia, Spagna e Francia sono completamente fuori strada? 

Un grande rischio per 13 giorni di scuola

Oggi, mercoledì 29 aprile, non abbiamo certezze. Quello che però ogni autorità politica è chiamata a valutare è la ponderazione del rischio.

Qual è la situazione in Ticino? Dall’11 maggio al 19 giugno, data della fine dell’anno scolastico, mancheranno 26 giorni esatti di scuola, calcolando già i tre ponti festivi e tenendo buona anche l’ultima settimana dove notoriamente non si fa nulla.

Nel modello elaborato dal DECS si propone che gli allievi tornino sui banchi con mezze classi, per mezze giornate, oppure alternando la frequenza, un giorno sì e un giorno no. Questo significa che ogni allievo farà 13 giorni dei 26 effettivi.

Se si avvia questa macchina, però, bisogna rendersi conto che tra allievi, docenti, genitori, personale scolastico e autisti, si mobiliteranno e connetteranno, direttamente o non direttamente, decine di migliaia di persone. Secondo un calcolo elaborato dall’Ordine dei medici se ne stimano addirittura 100’000. La conseguenza è semplice: si moltiplicano esponenzialmente le occasioni di contagio.

Non c’è alcun scopo didattico

Va sottolineato che questo rientro a scuola non avrà alcuna incidenza sulle note di fine anno. Nessun allievo perderà l’anno o sarà giudicato sulla base di queste mezze giornate. Non esiste, insomma, alcun argomento didattico nel tornare sui banchi. Un problema che invece si pone negli altri Cantoni, e nei Paesi del nord, dove l’anno scolastico termina dopo il nostro. Anche qui è una questione di ponderazione del rischio: per 13 giorni non ne vale la pena, per tre mesi forse sì.

La salute di docenti e genitori

A fronte di tutto quanto esposto finora, vi è da chiedersi molto seriamente e sinceramente se vale la pena correre un rischio del genere per 13 giorni di scuola ad allievo.

Va soppesato molto bene la minaccia che il virus torni a circolare con prepotenza, mettendo in pericolo la salute di genitori, insegnanti e personale scolastico o dei trasporti. 

Diciamola in modo brutale: se ha ragione Koch, e teniamo chiuse le scuole, faremo perdere ai ragazzi altri 13 giorni di scuola in presenza, senza alcuna conseguenza sul percorso formativo. Se però si sbaglia, e hanno ragione gli altri scienziati, rischiamo di mandare gente all’ospedale o in terapia intensiva, se non all’altro mondo.

Ne vale davvero la pena rischiare?

Prepararsi a settembre e l'emergenza accudimento esitva


La proposta della Città di Locarno di aprire solo le quinte elementari, mantenendo il servizio di accudimento per tutte le famiglie che ne hanno bisogno, può essere un compromesso ragionevole. Per lo meno ha il pregio riduce drasticamente i rischi, diminuendo il numero di persone in circolazione e potendo dare la possibilità agli istituti di sperimentare un rientro con un numero contenuto di allievi.

La verità, però, è che bisogna prepararsi all’estate e a settembre, perché quelli sono i veri banchi di prova. Con la ripresa del nuovo anno scolastico, conosceremo sicuramente meglio la malattia, dal punto di vista immunitario, farmacologico e della contagiosità. Questo ci porterà a poter riorganizzare la scuola con calma e sulla base di dati assai più solidi di quelli odierni.

Ciò che invece accadrà dopo il 19 giugno è davvero l’urgenza su cui le istituzioni dovrebbero chinarsi. Da quel giorno mancheranno 11 settimane alla ripresa della scuola e potrebbero essere cancellate un sacco di attività di sostegno ai genitori che nel frattempo avranno ripreso a lavorare, si spera. Pensiamo ai corsi di nuoto, ai campi estivi di studio, alle colonie.

Questo dimostra come la vera urgenza non è quello del rientro a scuola, ma il varo da parte di Cantone, comuni e associazioni di un piano di accudimento e di sostegno alle famiglie.

Speriamo non venga mai una guerra o la fame

Le famiglie sono stanche e questo è comprensibile. I bambini e i ragazzi hanno il desiderio di rivedere i loro amici, come è normale. Ma, per cortesia, non esageriamo con la retorica delle turbe psicologiche.

Se la rinuncia ad ulteriori 13 giorni di scuola può creare gli scompensi che taluni paventano, c’è di che preoccuparsi sulla tenuta mentale della nostra società.

Raccontare ai nostri bambini e ragazzi di loro coetanei che subiscono anni (anni!) di guerra o di fame, dovrebbe essere sufficiente per motivarli a questo ultimo sforzo.

Nelle prossime settimane potranno ritrovare i loro amici, in piccoli gruppi, all’aperto, senza correre il rischio di mettere in pericolo la salute degli altri.

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