Intervista al co-presidente del Movimento della Scuola Franco Mombelli: "C'è ancora una settimana di tempo: spero in un compromesso tra Governo, comuni, docenti e famiglie"
di Andrea Leoni
Franco Mombelli, come ha accolto il Movimento della Scuola la decisone del Consiglio di Stato di riaprire le scuole dell’obbligo sulla base del modello elaborato dal DECS che la vostra associazione ha sempre criticato?
“Con dispiacere. Ancora una volta è successo quello che non doveva capitare. Il DECS, invece di coinvolgere fin dall’inizio del processo il mondo della scuola - in particolare, i collegi dei docenti- ha preso delle decisioni e poi ha indetto una consultazione molto parziale, che ha generato i contrasti di questi giorni con alcuni comuni, con un buon numero di istituti scolastici e con i rappresentanti dei genitori.”
Il sindaco di Lugano Marco Borradori ha definito un “mostro burocratico” l’ordinanza con cui il DECS intende riaprire le scuole l’11 maggio, lei cosa ne pensa?
“Lascio volentieri la responsabilità della definizione al sindaco di Lugano. Io preferisco definirla un grande pasticcio. Sia a livello di scuole elementari che medie si vuole dare l’illusione di una riapertura in presenza della scuola. Ma questo, al lato pratico, non sarà possibile, come ha ben spiegato la direttrice delle scuole di Locarno Elena Zaccheo sabato sul Corriere del Ticino. Considerati i 13 giorni di scuola elementare e i 6-8 di scuola media che il modello del DECS garantisce ad allievo, sarebbe stato molto più sensato continuare con la scuola a distanza, garantendo però un aiuto alle famiglie con problemi e assicurando un sostegno particolare agli allievi maggiormente in difficoltà. Quello, insomma, che avevamo proposto con il nostro appello (clicca qui).”
Quali problemi concreti pone la proposta del DECS?
“A livello molto concreto, se penso a sedi che hanno 20-30 classi, anche con gli effettivi dimezzati ci sono enormi problemi organizzativi. Pensi solo alle entrate, alle pause e alle uscite scaglionate. Rischiamo di perdere mezza giornata solo per fare questo esercizio. Senza parlare di chi sarà chiamato ad effettuare regolarmente le pulizie e ad igienizzare i locali: ma lei se li vede nelle sedi più grandi i bidelli che girano come trottole a disinfettare maniglie, sedie, banchi e lavagne? Anche il tema organizzativo dei trasporti è molto controverso, sia a livello igienico che di orari. Avremo bus dove ci saranno allievi, persone che si recano a lavoro, altri che vanno a fare la spesa. Sarà dura avere garanzie sanitarie da questo punto di vista. Manuele Bertoli può avere ragione quando dice che i problemi vanno affrontati e non schivati. Ma con il modello ibrido da lui proposto, messo in piedi in poco tempo, sono molte di più le difficoltà che crea, rispetto a quelle che vorrebbe risolvere.”
Il Collegio Cantonale degli Esperti di Scuola media e del Collegio Cantonale dei Consulenti didattici ha criticato pubblicamente il modello del DECS, dicendo che questo modello ibrido risulterebbe addirittura controproducente da un punto di vista didattico.
“Sono d’accordo. Gli insegnanti, a metà marzo, nel giro di un weekend hanno reinventato la scuola, passando dal modello integrativo in presenza a quello a distanza. Poi c’è stato qualche problema tecnico, ma pian piano il sistema ha cominciato a funzionare. Questa situazione dura da un mese e mezzo, tolte le vacanze di Pasqua. Adesso si chiede ai docenti d’implementare in pochi giorni un sistema misto, composto di attività in aula, attività a distanza e accudimento. Così avremo mezze classi in presenza, mentre il resto degli allievi è a casa. A livello di elementari quelli che sono a casa, torneranno il giorno dopo o il pomeriggio. Alle medie addirittura una settimana dopo. Capisce che si tratta di un modello improbabile da un punto di vista pratico e poco sensato sul piano didattico.”
Però è possibile che a settembre si presenti una situazione analoga. Che ci sia bisogno ancora di una scuola ibrida. Allora perché non sperimentarla sin da subito?
“Va bene che la curva epidemica sta scendendo, ma siamo comunque ancora in una pandemia. Gli specialisti in materia, ticinesi e no, ci dicono che riaprendo i settori economici e la scuola i contagi riprenderanno a salire. La domanda è: fino a che punto? Nel peggiore dei casi, e spero che ciò non avvenga, rischiamo una nuova chiusura, magari più dolorosa della prima. Per i pochi giorni di scuola che mancano, si tratta di un rischio inutile. Prendiamoci il tempo di elaborare e condividere una strategia per consentire una riapertura in reale in sicurezza a settembre, sulla base di un vero coinvolgendo del mondo della scuola. Perché la vera sfida, a mio avviso, è questa: riuscire ad elaborare un modello per la ripresa del prossimo anno scolastico che sia in grado di conciliare lo storico modello integrativo della scuola ticinese con le possibili esigenze di un nuovo periodo, anche parziale, di scuola a distanza.”
Non essendoci evidenze scientifiche, quanto sono preoccupati i docenti dal profilo della salute?
“La preoccupazione c’è, perché siamo all’interno di una pandemia. Stiamo affrontando un virus nuovo e poco conosciuto. Gli specialisti non hanno ancora certezze e, pertanto, non esprimono pareri univoci. Questo, però, è normale, perché la scienza non ha ancora delle risposte chiare e sicure, ma tutto ciò tende a creare confusione. Anche per questo motivo il Movimento della Scuola ha messo al centro del suo appello la salute di tutti: allievi, docenti, personale scolastico, famiglie. Continuiamo a credere che garantire e potenziare l’accoglienza e l’accudimento dei ragazzi sia la via migliore anche dal profilo della salute.”
Il modello del DECS depotenzia l’accudimento e l’accoglienza?
“Sì, perché, secondo me, è un modello troppo rigido. Come dicevo prima, è davvero complicato garantire contemporaneamente scuola in presenza, a distanza e accudimento. E ripeto: al di là delle difficoltà iniziali, la scuola sul web ha trovato, almeno in questo periodo legato all’emergenza Covid-19, un suo senso.”
Un altro grande tema è quello della responsabilità, se qualcosa dovesse andare storto.
“Già a metà marzo, quando è partita la scuola a distanza, il DECS si è limitato a esortare gli insegnanti a essere creativi e ingegnarsi. Questo è stato in genere apprezzato, perché le sedi hanno potuto agire in maniera flessibile e tenendo conto delle particolarità di ognuna. Adesso si esce con queste 9 pagine di direttive, di cui alcune sono ovvie e altre più contorte, ma l’organizzazione viene ancora attribuita agli insegnanti. Però, c’è il nodo della responsabilità: se qualcosa va storto, dal profilo sanitario, ma non solo, la responsabilità chi se la assume? A doppia domanda, alla RSI, Manuele Bertoli non ha risposto. Quindi questa domanda cruciale rimane aperta.”
Per finire: ora cosa si aspetta?
“Io credo che sia le proposte formulate dal Movimento della Scuola nel suo appello sia quelle avanzate da Lugano e Locarno abbiano delle similitudini e restino tutt’ora valide. Manca ancora più di una settimana all’11 maggio e la mia speranza è che tra DECS, Consiglio di Stato, comuni, docenti e genitori si riesca trovare un nuovo compromesso. Manuele Bertoli ha più volte affermato, nel corso della conferenza stampa, che quello che le perplessità e le opinioni critiche andavano in qualche modo tenute in considerazione, ma che la sua era la scelta giusta. Ma, come ho ricordato in precedenza, in questo momento di insicurezza chi può dire cosa è giusto e cosa non lo è? Per questa ragione servono scelte il più possibile condivise e non imposte. Lo abbiamo scritto in conclusione al nostro comunicato stampa del 29 aprile: “In gioco non ci sono equilibri politici, ma qualcosa di molto più importante, che è la salute di allievi, maestri, famiglie e società civile. In gioco è anche il significato profondo della scuola in questo ultimo scorcio di un anno travagliato.”.”