Lo evidenzia in uno studio un professore dell'USI, assieme a colleghi di altre università internazionali. Le chiusure sono arrivate in poco tempo, con situazioni magari epidemiologiche diversr
LUGANO - Osservando come Paesi differenti, confrontati con condizioni quadro e situazioni epidemiologiche differenti, hanno reagito contro la diffusione di COVID-19, emerge un dato che sorprende: le stesse misure restrittive, anziché conoscere una diffusione graduale attraverso i vari Paesi, sono scattate più o meno nello stesso periodo. Questo non può essere spiegato solo con il fatto di un problema simile affrontato con azioni simili e più o meno contemporanee (o più o meno preventive).
Attraverso l’analisi e la modellizzazione di diverse variabili, uno studio condotto dal Prof. Stefan Arora-Jonsson dell’Istituto di management e organizzazione dell’USI insieme a colleghi della Linköpings Universitet, del Ratio Institute di Stoccolma e della Göteborgs Universitet mette in luce il ruolo giocato in questa sostanziale simultaneità dall’emulazione di quanto deciso in altri Paesi, soprattutto quelli geograficamente vicini. Una “pressione” ad agire – o ad attendere – che potrebbe aver spinto alcuni Governi a “chiudere” troppo presto – o troppo tardi.
In base ai dati raccolti dall’Università di Oxford, durante il mese di marzo 2020, nel giro di due sole settimane, l’80% dei Paesi che aderiscono all’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE) ha adottato quattro delle principali misure “sociali” (tecnicamente, “misure non farmaceutiche”) tese a contrastare la pandemia da nuovo coronavirus: chiusura delle scuole, chiusura delle attività economiche, cancellazione degli eventi pubblici e restrizioni alla mobilità interna.
Considerando l’eterogeneità di questi Paesi in termini di capacità del sistema sanitario, demografia e grado di avanzamento di COVID-19 in quel momento, l’omogeneità delle tempistiche trova una risposta solo parziale nella similarità di fondo della situazione, oppure nella volontà di intraprendere azioni preventive (viceversa di “mettere una toppa”).
L’influenza delle scelte dei Paesi vicini
Lo studio del Prof. Arora-Jonsson e colleghi ha analizzato e modellizzato l’andamento di diverse variabili, quali il numero di contagi, il tasso di mortalità, la disponibilità di letti ospedalieri, la densità di popolazione e il ritmo di diffusione delle misure restrittive nei vari Paesi. Questo con l’obiettivo di individuare quali di queste variabili risultassero più correlate alla cadenza con cui un singolo determinato Paese ha adottato i provvedimenti. Sulla base dell’analisi, la ricerca osserva che, fatta eccezione per la densità della popolazione, la rapidità con cui una determinata misura viene introdotta in un certo Paese è correlata più al numero di Paesi della stessa area che hanno già adottato quella misura, che non alla situazione specifica in termini di esposizione a COVID-19, struttura demografica o tenuta / potenzialità del sistema di cure. In altre parole, più Paesi geograficamente vicini introducono un determinato provvedimento anti-COVID, più rapidamente un determinato Paese farà lo stesso, a parità di altri fattori.
Anche nel caso della pandemia da coronavirus, dunque, sembra essersi messo in moto un meccanismo di emulazione tutt’altro che sconosciuto nelle dinamiche decisionali dei Governi. Un meccanismo che esercita la sua influenza soprattutto in situazioni di crisi, quando l’effetto di una certa scelta è molto incerto e il numero di Paesi che hanno già fatto quella scelta funge da “validazione sociale”, in particolare se si tratta di Paesi considerati importanti o che godono di buona reputazione, oppure sono interconnessi o vicini (geograficamente o anche culturalmente).
La pressione dell’emulazione
Rifarsi all’esempio di altri Paesi può dunque essere utile per fronteggiare l’incertezza e anche per accrescere il grado di accettazione di un provvedimento, specie di provvedimenti d’impatto come quelli messi in campo per favorire il “distanziamento sociale” e di riflesso il rallentamento dei contagi da COVID-19.
Il rovescio della medaglia è la pressione che viene a crearsi sulla base di quello che fanno gli altri, come d’altro canto in molte altre dimensioni dell’esperienza umana. E maggiore è l’incertezza, maggiore è la pressione dell’emulazione, specie se una misura è vista in modo positivo: al di là dell’effettiva utilità di applicare quella misura alla luce della situazione specifica del proprio Paese, i governanti si ritrovano a fare i conti non solo con il rischio di sbagliare, ma anche con il timore di essere accusati di negligenza o comunque di fare la figura degli “ultimi della classe”.
Più democrazia, più prudenza, ma anche più tendenza a essere influenzati
La ricerca del Prof. Arora-Jonsson e colleghi prende in esame anche la correlazione tra la velocità di adozione di determinate misure e il grado di solidità delle istituzioni democratiche, trovando riscontro del fatto che i Paesi con una democrazia più consolidata, confrontati con un processo decisionale condiviso e partecipativo e più attenti al rispetto della sfera individuale e al grado di accettazione di un provvedimento, sono i più “attenti” a introdurre misure restrittive. Al contempo, tuttavia, essi mostrano sulla base delle variabili analizzate una maggiore esposizione alla pressione esercitata dall’adozione di determinati provvedimenti da parte degli Stati limitrofi.
Troppo presto o troppo tardi?
Se determinate decisioni in tema di COVID-19 sono state davvero prese più sulla spinta dell’emulazione che non sulla base dell’effettiva necessità, ne deriva che alcuni Paesi potrebbero aver fatto scattare il “lockdown” troppo presto o troppo tardi. E agire al momento giusto, in una situazione come questa, è cruciale, vista l’incidenza delle misure anti-COVID sia in un senso (perdite economiche) sia nell’altro (rischio del collasso del sistema sanitario).
Lo studio del Prof. Arora-Jonsson, in questa prospettiva, mira a stimolare la riflessione sottolineando il peso che, anche in tema di governo, può giocare l’emulazione: una maggiore consapevolezza della rilevanza di questo fattore può infatti essere d’aiuto nel delineare meglio le proprie scelte da parte delle autorità.
La ricerca del Prof. Arora-Jonnson e colleghi è stata pubblicata su Proceedings of the National Academy of Sciences (PNAS), l’organo ufficiale della National Academy of Sciences statunitense (NAS), una delle riviste scientifiche multidisciplinari più citate al mondo. PNAS ha creato una sezione dedicata a raccogliere contributi particolarmente significativi in tema COVID-19