In Ticino a chiedere sono stati soprattutto persone che, per motivi di varia natura, sono attive professionalmente in una situazione precaria (lavoratori su chiamata, indipendenti) che non dispongono di riserve per far fronte al mancato reddito
BELLINZONA - La Svizzera è in difficoltà a causa del Coronavirus, il Ticino ancora di più. Sono tante le persone che si sono rivolte al Soccorso d’Inverno, come la famiglia D. di B., composta da quattro membri.
La mamma gestisce un suo salone di parrucchiera e il padre lavora nella ristorazione. Nel giro di pochi giorni entrambi hanno perso la propria base di sostentamento. Dal fondo creato grazie alla Catena della solidarietà, il Soccorso d’inverno ha potuto pagare direttamente ai creditori, due mensilità d’affitto di CHF 1’620 cadauna e due premi della cassa malati di CHF 444.55 cadauno. Nel frattempo la famiglia si è rimessa in sesto finanziariamente e adesso può provvedere da sola a mantenersi, anche se con mezzi limitati visto che i genitori oggi guadagnano meno di prima del lockdown.
Ma la situazione non è facile per nessuno. “La Catena della solidarietà ha devoluto al nostro ente caritatevole per i suoi 27 Segretariati Cantonali – attivo su tutto l’arco dell’anno – un importo totale di 1,2 milioni di franchi con due versamenti. Finora il Soccorso d’inverno, a livello nazionale, è venuto in aiuto ad oltre 7’500 persone colpite dalle conseguenze economiche del coronavirus, donando 1,8 milioni di franchi. Ma visto che non si intravvede ancora la fine della crisi, le richieste di sostegno continuano a essere molte. Ora che i fondi provenienti dalla Catena della solidarietà sono terminati ci rivolgiamo direttamente a voi chiedendovi di continuare a sostenere la popolazione residente nel Canton Ticino in grave difficoltà con la vostra preziosa solidarietà”, si legge in una drammatica nota.
A rivolgersi al Soccorso d’Inverno (dove comunque ogni richiesta di sostegno viene verificata con una procedura d’esame volta ad accertare il diritto all’aiuto) sono state soprattutto persone che, per motivi di varia natura, sono attive professionalmente in una situazione precaria (ad es. lavoratori su chiamata, indipendenti es. parrucchieri, estetiste, donne di pulizia, pittori, giardinieri, gerenti di bar, operatori turistici, ecc.), ma soprattutto che non dispongono di riserve per fare fronte al mancato reddito. Che in caso di un secondo lockdown, che nessuno si augura, sarebbero in ginocchio.