Si sta creando una frattura pericolosa a livello sociale tra chi, chiusure o non chiusure, continua ad avere il salario assicurato, e chi, invece, ha visto il proprio reddito ridursi drasticamente e riceve aiuti insufficienti
di Marco Bazzi
Così non va! Non è accettabile che nella ricca Svizzera, celebrata per l’efficienza dei propri servizi e per la vicinanza dello Stato ai cittadini, un lavoratore debba attendere cinque mesi per ottenere un’indennità di 1'000 franchi! Eppure succede.
Quello che vi raccontiamo oggi è un caso tra i molti, ed è un caso vero e documentato, purtroppo: un lavoratore indipendente, che fa parte di quella categoria vergognosamente ignorata finora dal Consiglio federale, si è visto risarcire in questi giorni - sotto forma di Indennità di perdita di guadagno Corona - una somma di poco superiore a mille franchi per il periodo che va tra la metà di settembre e la fine di ottobre del 2020. L’Istituto cantonale assicurazioni sociali, lo IAS, gli ha concesso un’indennità di 21 franchi al giorno.
Nel frattempo, il lavoratore in questione, penalizzato dalle chiusure imposte dallo Stato, ha inviato puntualmente la richiesta di indennità anche per i mesi successivi. Quando verranno evase? In maggio o in giugno?
Campa cavallo, che l’erba cresce, recita il celebre proverbio. Ma se l’erba non cresce, il cavallo crepa, come la capra sotto la panca dell’altrettanto celebre scioglilingua.
Non stiamo a discutere sul quantum, che viene calcolato in base ai contributi AVS versati. Discutiamo sui tempi: cinque mesi per evadere una pratica sono inaccettabili! Di più: sono vergognosi.
Provate a ritardare di cinque mesi il versamento di un acconto o di un conguaglio AVS e vedete cosa succede! Siete fortunati se non vi arriva un precetto esecutivo, e se lo IAS, lo stesso Istituto che stabilisce ed eroga i risarcimenti, si limita a qualche raccomandata dai toni ultimativi, minacciando l’avvio di una procedura di incasso esecutiva. Ma a chi telefona per sollecitare la propria pratica, a Bellinzona rispondono: “Portate pazienza, stiamo lavorando per voi”.
Ora, però, il tempo della pazienza, per migliaia di ticinesi che si trovano in difficoltà a causa delle restrizioni imposte dallo Stato, è finito. E di questo le Istituzioni devono prendere atto.
Che la pandemia non sarebbe terminata l’estate scorsa lo si sapeva benissimo, e c’era tutto il tempo per organizzarsi, per prepararsi alla gestione della seconda ondata, delle inevitabili chiusure che l’avrebbero accompagnata, degli aiuti che lo Stato avrebbe dovuto mettere in campo, e del lavoro burocratico che sarebbe stato necessario.
Dopo un’estate di cazzeggio, la Svizzera è rimasta clamorosamente al palo e non ha saputo (o voluto) sfruttare il vantaggio competitivo di essere fuori dall’Unione Europea per procurarsi i vaccini necessari. Come è rimasta al palo sul piano dei tamponi e del contact tracing.
Ora sta emergendo sempre più chiaramente che moltissimi lavoratori indipendenti, titolari di piccole attività nei settori più diversi, sono tagliati fuori dagli aiuti che lo Stato dovrebbe erogare, o devono attendere mesi per ottenere qualche briciola delle decine di miliardi stanziati dalla Confederazione con annunci in pompa magna.
Si tratta di persone che, in quanto titolari e al tempo stesso dipendenti della propria società, non solo non hanno diritto a percepire le indennità di lavoro ridotto (perché il Consiglio Federale ha così deciso in questa seconda fase di restrizioni), ma che se perdono il lavoro non hanno nemmeno il diritto alla disoccupazione.
Bisogna fare molta attenzione, perché si sta creando una frattura pericolosa a livello sociale tra chi, chiusure o non chiusure, continua ad avere il salario assicurato, e chi, invece, ha visto il proprio reddito ridursi drasticamente e riceve aiuti insufficienti o erogati in tempi biblici.