Il candidato PPD al Nazionale: "L'inchiesta contro due genitori accusati di aver abusato di entrambi i figli impone una riflessione sull’inadeguatezza delle pene per i pedofili e sulla sessualizzazione nella nostra società"
di Michele Moor *
L'inchiesta contro due genitori accusati di aver abusato di entrambi i figli impone una riflessione sull’inadeguatezza delle pene per i pedofili e sulla sessualizzazione nella nostra società.
La coppia, che vive nel Bellinzonese, è stata rinviata a giudizio con l’accusa di aver abusato di entrambi i figli, per dieci anni. Gli orchi (un tempo, prima che la neo lingua politicamente corretta ci privasse di certi termini, si chiamavano così), non lo avrebbero fatto solo in qualche, sporadica occasione (che, intendiamoci, sarebbe già di per sé un’aberrazione degna del massimo della pena). Ma un migliaio di volte! E quasi sempre in gruppo. Con tanto di foto e filmati, rinvenuti dalla polizia dopo che uno dei figli ha trovato la forza di dire basta.
A leggere certe notizie bisogna avere lo stomaco forte: violenza carnale, coazione sessuale, pornografia dura. Contro due bambini.
Ma temo che lo stomaco sarà messo di nuovo a dura prova quando leggeremo la durata della pena, se i due verranno riconosciuti colpevoli. Fermo restando il massimo rispetto per la Magistratura, va detto che ci siamo purtroppo abituati a pene ridicole. Ne abbiamo viste troppe per non intravedere una convinzione di base nel non voler usare la mano pesante contro certi individui che, un tempo, sarebbero stati definiti, e senza remore, come “rifiuti della società”.
Il che mette sotto i riflettori un altro problema: quello della Giustizia ingiusta.
“Via sicura” ha equiparato gli automobilisti indisciplinati a veri e propri criminali. Anche se si tratta di persone che non hanno provocato incidenti gravi, alcuni sono stati condannati a 24 mesi di detenzione. Per contro, in Ticino (e nel resto della Svizzera), ci sono stati pedofili condannati a soli sei mesi (è il caso di un docente), 14 mesi (è il caso di un maestro e di un terapeuta) o, dulcis in fundo, a una pena pecuniaria di 60 aliquote (è il caso di un politico).
Peraltro, tutte condanne sospese con la condizionale. Senza pene accessorie. Senza obbligo di terapie, nonostante la pedofilia sia considerata malattia psichica. Perché questo è quello che prescrive la legge. Legge che, tra un’interpretazione e l’altra, contempla al massimo cinque anni di pena detentiva per atti sessuali con fanciulli, dieci per atti sessuali con persone incapaci di discernimento e inette a resistere, per coazione sessuale o violenza carnale.
Ma spesso, troppo spesso, sono state comminate pene molto più blande.
Pochi anni, se non mesi, a chi ha rovinato la vita, non di rado per sempre, a un essere umano che non ha ancora avuto il tempo di diventare adulto, ne ha minato la dignità, l’ha svilito e impiegato come merce.
Ergo, c’è qualcosa che non va.
In primo luogo nella Giustizia che, invece di optare per il perseguimento di ciò che è giusto, si dimostra iniqua, paralizzata dall’ansia di adattarsi ai pruriti di una società schiava della cultura dell’apparire, dove il sesso, anche quello imposto e violento, è comunque una conquista non trattabile. A prescindere. Se qualcuno straborda sì, sbaglia, ma non bisogna accanirsi…
La politica, spiace doverlo ammettere, non si è ancora resa conto di cos’è il senso delle proporzioni. Occorre capirlo al più presto, inasprire la legge, renderla non interpretabile e fare in modo che i pedofili siano condannati a pese pesantissime. A costo di essere definiti giustizialisti. Il gioco vale la candela.
* candidato PPD al Consiglio Nazionale