"La cosa che più mi sconcerta è che chi paga (noi) non solo non ha voce in capitolo, ma non ha alternativa"
di Giorgio Grandini*
L’idea di “privatizzare” una fetta ragguardevole dei costi dell’assicurazione malattia, ponendo a carico di tutti un premio pro capite uguale (o quasi), era stata concepita allo scopo contenere i costi e favorirne così la sostenibilità finanziaria. Il premio avrebbe potuto oscillare solo a dipendenza dell’età, del cantone, del modello assicurativo e della franchigia. In ogni caso non avrebbe dovuto superare l’8% del reddito personale, proprio perché il libero mercato tra le casse malati avrebbe dovuto generare un effetto calmierante sui premi.
Certo, non sarebbero mancati i sussidi cantonali per le fasce più deboli e in generale la Confederazione avrebbe assunto il 7.5% dei costi lordi.
Ciononostante l’obbligatorietà dell’assicurazione avrebbe garantito quella solidarietà trasversale (giovani e anziani, sani e malati) indispensabile al finanziamento del sistema. Di per sé una visione rivoluzionaria e geniale, con un approccio classicamente liberale, ma in realtà... i calcoli sono stati fatti senza l’oste, e oggi ce ne rendiamo ben conto.
Ma cosa è successo per trasformare la LAMal in un assurdo e inguardabile esempio di economia pianificata in cui gli attori (prestatori dei servizi sanitari) sono inquadrati in schemi rigidi e complessi, che non hanno più nulla a che vedere con un’economia di mercato: l’allora osannata concorrenza si riduce oggi alle misere copertine patinate dei prospetti che non legge più nessuno. Un oligopolio legalizzato, grazie al quale ci guadagnano tutti: l’industria chimica e farmaceutica, le farmacie, i medici, i paramedici, gli ospedali e gli ambulatori, le casse malati e la pletora dei lobbisti alla KrankenCassis!
Chi paga invece la salata fattura di CHF 86 miliardi all’anno? 30 miliardi sono a carico delle casse malati (quindi noi con i premi); 22 sono aliquote, franchigie e prestazioni non coperte (quindi noi di nostra tasca); 18 sono versati da Confederazione, Cantoni e Comuni (sempre noi con le tasse); 16 le assicurazioni private (ancora noi).
La cosa che più mi sconcerta in questo scenario è che chi paga (noi) non solo non ha voce in capitolo (o poca, delegata ai nostri parlamentari a Berna), ma non ha alternativa (obbligatorietà dell’assicurazione).
Bruno Cereghetti, dall’alto della sua invidiabile competenza e sensibilità in materia, ha ancora una volta colpito nel segno quando afferma senza mezzi termini: “la LAMal è morta”!
Certo, perché se da una parte abbiamo implementato una sanità di alta qualità e accessibile a tutti (e ci mancherebbe altro!), dall’altra è ormai assodato che il contenimento dei costi attraverso la loro privatizzazione è definitivamente fallito.
Anche perché la nostra sanità è un rompicapo di interessi contrapposti. Infatti tutti i prestatori per loro natura tendono al profitto e, dall’altra parte, i beneficiari (che sono sempre piu numerosi) richiedono costantemente maggiore e più accurata assistenza: un buon pagatore (di premi) pretende sempre di più! D’altronde la salute è un bene prezioso e non si è disposti a rinunciare a nulla per curarsi meglio. Giustappunto siamo passati dai CHF 30 miliardi del 1990 agli odierni 86 miliardi all’anno di budget sanitario.
Anche tutti quei “taia e medega” di oltre 40 revisioni e circa 150 modifiche delle ordinanze che hanno costellato la LAMal dal 1996 ad oggi non hanno migliorato nulla... se non ingessato il sistema rendendolo antieconomico.
E un pizzico di ragione ce l’hanno poi un po’ tutti quelli che dopo l’ultimo aumento dei premi hanno sciorinato una “cacofonia di rimedi” (Cereghetti), tutti incentrati sulla riduzione dei costi: premio in funzione della forza economica, plafonamento dei premi, cartella informatizzata, medicamenti generici, cure integrate, modifica del calcolo dei premi, perequazione intercantonale, cassa malati unica e federale.
Il problema sta invece “nel manico”: è l’impostazione stessa della LAMal, che pretende di risolvere con un approccio prettamente liberale (la privatizzazione dei costi) una questione, quella dell’assicurazione malattia, di carattere squisitamente sociale (come l’AVS, la dissocupazione o l’AI). Se non vogliamo ascoltare ogni anno le solite litanie per l’aumento dei premi; se vogliamo evitare di creare dei mostri come quello italiano della mutua (dove attendi persino 12 mesi una prestazione) o quello americano a due velocità (una per i ricchi e una – inesistente - per i poveri); allora dobbiamo “avere il coraggio” di affrontare un cambiamento radicale: una cassa malati di base unica e federale (più trasparenza, più potere di negoziazione, più voce agli assicurati, meno lobbysti, ecc.) corroborata da un efficace sussidio federale generale.
E non si può altresì evitare che venga istituito il Fondo Sovrano quale fonte di finanziamento di tutto, o gran parte, del sistema previdenziale e della sua fitta ed essenziale rete di assicurazioni sociali.
*candidato indipendente sulla lista Lega al Consiglio Nazionale