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Cronaca
24.11.2012 - 17:470
Aggiornamento: 19.06.2018 - 15:40

"Panza e pazienza": l'ombra lunga della 'ndrangheta sul Ticino

Le carte e le intercettazione che coinvolgono Carlo Antonio Longo, da anni residente in Ticino, e considerato dalla magistratura italiano l'uomo del clan Bellocco al Nord

LUGANO – È un ritratto impietoso e agghiacciante quello che emerge dalle carte degli investigatori che ha originato il blitz anti ‘ndrangheta scattato questa mattina sull’asse Reggio Calabria-Milano-Lugano. 

Un affresco sul modus operandi della più potente organizzazione mafiosa del mondo e dei suoi affiliati. Tra questi, secondo la magistratura, c’è il “ticinese” Carlo Antonio Longo, da anni residente nel luganese, e pure lui finito in manette nel blitz. Longo è considerato il referente al nord della famiglia Bellocco di Rosarno. Il Fatto Quotidiano ha ricostruito i fatti attraverso le carte dell’inchiesta. Ricostruzione dalla quale emerge l’assoluta centralità di Longo nella vicenda. Eccone un riassunto.

L’azienda di call center

Le indagini ruotano intorno alla Blue call srl, azienda specializzata nella gestione di call center con il centro direttivo a Cernusco sul Naviglio e sedi operative in tutta Italia (anche in Calabria, naturalmente). 

Un’impresa, per capirsi, che ha fatturato 13 milioni di euro nel 2010. L’azienda è gestita dal piemontese Andrea Ruffino, figlio della proprietaria, che nel 2011, a causa di un debito, spalanca le porte della società alla ‘ndrangheta che in poco tempo se ne impossessa. 

La figura di Carlo Antonio Longo

In Calabria con la coppola, a Milano e Lugano in giacca e cravatta. Gente insospettabile che mette in comunicazioni gli imprenditori con i boss. Gente con la faccia pulita come quella di Carlo Antonio Longo, originario di Galatro (Reggio Calabria), da anni residente in Ticino, ex titolare di un’azienda attiva nell’edilizia a Cadempino, nel frattempo fallita.  

Secondo gli inquirenti Longo è uomo della famiglia Bellocco. Un uomo di mafia dunque ma anche di impresa. Un emissario dei boss presso gli imprenditori lombardi. 

Un uomo colto, che cita una delle frasi storiche del grande finanziere Enrico Cuccia: “Le azioni non si contano, ma si pesano, e le mie pesano di più!”, dice Longo a Ruffino, l’imprenditore dei call center. Ad ascoltare queste parole gli investigatori, il 16 settembre 2011, periodo in cui la ‘ndrangheta si accinge a fare il passo definitivo: prendersi tutta l’azienda.

Il pestaggio dell’imprenditore

Quattro giorni dopo Andrea Ruffino (anche lui destinatario di un mandato di cattura, ma attualmente irreperibile) viene convocato da Longo e altri personaggi riconducibili alla cosca nella sede operativa dell’azienda a Cernusco sul Naviglio. Longo vuol “tagliare i rami secchi”, come dice. L’imprenditore viene massacrato di botte, dopodiché, con il coltello puntato alla gola, cede tutte le sue quote a una società preparata ad hoc dalla ‘ndrangheta. 

Ruffini, terminato il linciaggio, chiama la fidanzata e le dice:  “Ho preso le botte (…) mi ha dato una botta che sento malissimo adesso. Quel bastardo, guarda. Con il coltello anche, guarda (…) quello che dovevo raggiungere l’ho raggiunto ma fanno schifo. Sono uomini di merda. Ti giuro non sto sentendo da un orecchio”. 

Le intercettazioni ambientali dei giorni successivi confermano il quadro agli investigatori. Un impiegato, vedendo l’imprenditore con l’occhio tumefatto, gli consiglia di andare in ospedale. “Sì – risponde – e cosa dico che Longo mi ha fatto un’estorsione?”.  E aggiunge: “Basta con questa ‘ndrangheta  che si pigliassero tutto”.

Panza e presenza

È estremamente interessante analizzare come la ‘ndrangheta conquista l'azienda di call center. 

Stando a quanto scrive il sito ildispaccio.it, citando sempre le carte, il 19 gennaio 2011, la Polizia Federale, intercetta una conversazione ambientale avvenuta all'interno della nuova dimora di Carlo Antonio Longo, a Carona, prima aveva vissuto a Montagnola, nella quale quest'ultimo riferisce al proprio ospite che per l'acquisizione della "Blue Call" i soldi occorrenti erano stati investiti da Andrea Ruffino, cioè il titola: "I soldi noi non ne abbiamo messi... solo i soldi li ha messi ... Andrea ... gliel' ha regalata Andrea".

Dalla stessa conversazione ambientale si capisce che l'interesse di Longo per la società Blue Call nasce dal fatto che Ruffino fosse in debito con un commercialista calabrese Emilio Fratto, attualmente latitante. Ruffino per sdebitarsi gli aveva proposto di entrare nell'affare dei call center, a titolo di indennizzo del debito.

Fiutato l'affare Longo lo sottopone a Umberto Bellocco, il capofamiglia. Ottenuto il via libera dell'allora reggente della cosca rosarnese, passa all'azione.

Longo, per conto dei Bellocco, porta in società una serie di persone fino ad aver, inizialmente, il 30%. Gratuitamente, lo ricordiamo. Lo ripete lui stesso: “I soldi noi non li abbiamo messi. Io non metto niente, io prendo”.  Niente tranne il potere mafioso. “La presenza – dice Longo – panza e presenza”. 

“Panza e pazienza” un classico del linguaggio mafioso che gli inquirenti traducono così: “I Bellocco, una volta entrati a far parte della società con un quota minoritaria (30%), stavano cercando di acquisirne il controllo con metodologie che facevano leva solo sul potere di intimidazione derivante dalla loro appartenenza alla ‘ndrangheta”.  

E a quanto pare ci sono riusciti.

  

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