LOCARNO - Il film di cui è protagonista, "Sangue", ha infiammato la polemica all'ultimo Festival del film di Locarno. E la sua presenza al Pardo è stata un bidone di benzina sul fuoco. In Ticino come in Italia, con una valanga di critiche, richieste di scuse, parziali retromarce da parte della presidenza del Festival. Il tutto all'interno di un ampio e appassionato dibattito sulla libertà di espressione, sul finanziamento pubblico delle produzioni (la RSI ha contribuito alla produzione del film), sull'opportunità di ospitare un ex terrorista, non pentito, al Festival.
Da Giancarlo Caselli a Fiorenzo Dadò, in molti, moltissimi, hanno scritto, commentato, e criticato, soprattutto, Giovanni Senzani e le sue affermazioni festivaliere. Il domenicale il Caffé pubblica oggi un'intervista esclusiva all'ex brigatista colpevole del rapimento, della segregazione e dell'uccisione di Roberto Peci, assassinato solo perché fratello di Patrizio: il primo pentito delle Brigate Rosse. Anche se Senzani, oggi libero cittadino dopo una ventina di anni prigione, ha un'altra "verità" su quella drammatica vicenda.
Al Caffé il "killer Senzani", come lo ha chiamato il magistrato Caselli, ha rilasciato dichiarazioni piuttosto articolate, raccolte all'indomani della proiezione di Sangue. Inutile perdersi in inutili accompagnamenti delle citazioni. Riportiamo dunque di seguito alcuni stralci delle parole dell'ex terrorista al domenicale.
Sulla contestazione al Festival
"Alla base di questa contestazione credo ci sia la decisione di seppellire la nostra storia e di non voler parlare seriamente di quel periodo, negandoci ogni identità politica".
"Il fallimento delle BR"
"Quella storia è finita da tempo e in questo senso è giusto parlare di un fallimento. Ma per un giudizio storico si deve cercar di capire quello che è successo, le cause e il contesto. Vero, i brigatisti militanti, e ciò vale per ogni esperienza guerrigliera, erano un numero esiguo, ma dentro un contesto di relazioni sociali e politiche più ampio, per questo l'area in cui si potevano muovere e che si legava alle lotte operaie e proletarie e anche al vissuto e al dibattito sulla Resistenza, era assai più estesa e articolata della loro consistenza".
"Il pentimento merita rispetto"
"Ciò di cui si parla è stato solo un mercanteggiare per ricavare qualcosa, un vendere per ottenere. Il 'pentimento', quello vero, è una categoria che ha a che fare con la propria coscienza e fede. E merita rispetto".
"Non uccidemmo Peci per vendetta"
"Dell'esecuzione esiste solo un'immagine polaroid ed era finalizzata a far conoscere la conclusione del sequestro. C'è, precedente, il filmato dell'interrogatorio. Il resto è invenzione. Con le Br sono responsabile, e condannato, per quel sequestro e quell'esecuzione. Ma la nostra iniziativa non era ispirata alla vendetta, bensì alla volontà di far emergere i lati oscuri di una vicenda complessa legata all'arresto di Patrizio Peci, alla morte dei quattro compagni di via Fracchia a Genova, ai ruoli dalle persone coinvolte nella vicenda".
"Nella guerriglia era prevista anche la morte"
"La morte, qualsiasi morte è sempre crudele e feroce, quella di Roberto Peci è stata ed è sofferenza e dolore per tutti i suoi parenti, in modo particolare per una figlia che non l'ha mai conosciuto. Il mio rammarico non può cambiare la realtà. Nella guerriglia era prevista anche la morte da entrambe le parti, ma l'atto di dare la morte è qualcosa che resterà sempre dentro di noi".
"Io arruolato nei servizi segreti? Una favola!"
"Questa storia è una favola! La prova è nel fatto che ho vissuto 5 anni di isolamento continuato dall'arresto, 17 anni di carceri speciali, e che i giudici mi hanno concesso la semilibertà trasferendomi dal carcere speciale di Trani, dove ero anche in isolamento diurno come pena accessoria dell'ergastolo, alla sezione dei semiliberi del carcere di Firenze: non è un percorso incongruo rispetto al mio molto ipotetico ruolo di uomo dei servizi?"