È accusato di denuncia mendace e sequestro di persona per aver fatto arrestare il suo ex collega dell'antidroga Sergio Azzoni. A processo anche un ufficiale della polizia vodese e un ex informatore
di Marco Bazzi
BELLINZONA – Fausto Cattaneo, detto “Tato”, 71 anni appena compiuti, il più celebre agente infiltrato svizzero, protagonista di decine di inchieste antidroga internazionali, autore di un libro tanto osannato quanto discusso, sarà processato al Tribunale penale federale di Bellinzona.
Il procuratore Fèlix Reinmann lo accusa di denuncia mendace e sequestro di persona. Insieme a Cattaneo sono stati rinviati a giudizio per gli stessi reati Christian Hochstaettler, 57 anni, ufficiale della Polizia vodese - che è anche accusato di falsa testimonianza -, e un brasiliano, ex informatore degli inquirenti.
Il procuratore federale Reinmann imputa ai tre di aver costruito un castello di false accuse di corruzione contro l’ispettore della Polizia federale Sergio Azzoni, che negli anni Novanta lavorò con Cattaneo nell’antidroga ticinese.
Un castello in base al quale Azzoni, rappresentato dall’avvocato Paolo Tamagni, venne addirittura arrestato l’11 settembre del 2003 su ordine del procuratore federale Edmond Ottinger che lo accusò di corruzione, riciclaggio e traffico di droga.
Proprio da quell’arresto, rivelatosi ingiusto e ingiustificato, discende il reato di sequestro di persona ipotizzato nell’atto d’accusa contro Cattaneo, Hochstaettler e il brasiliano, reato che il procuratore Reinmann sostiene sulla base di una sentenza del Tribunale federale.
Una vera e propria “spy story”
La vicenda che ha portato al rinvio a giudizio dei due poliziotti e del brasiliano è complessa e ha i contorni di una vera e propria “spy story”, con agenti infiltrati, narcos, pistole, minacce di morte, informatori che si muovono sul filo del rasoio, fiumi di droga e tanti, tanti soldi… Questo è, come dire, il “mood”, l’atmosfera, il rumore di fondo di questo “film” ai confini della realtà.
È una storia, questa, che affonda le radici negli anni eroici della “narcotici” ticinese - che allora si chiamava SID, Servizio Informazioni Droga -, quando gli agenti della Cantonale lavoravano sotto copertura fianco a fianco con le polizie di mezzo mondo. Ed è anche una storia di veleni e di fango, la storia di un eterno conflitto personale che ricorda “i Duellanti” di Conrad: il conflitto che a un certo punto esplose tra i due agenti infiltrati ticinesi.
Prima vi furono i "cento chili" e il caso Kopp
A cavallo degli anni Ottanta e Novanta c’erano state due grandi inchieste che avevano portato l’antidroga ticinese alla ribalta delle cronache internazionali: quella sui cento chili di eroina sequestrati a Bellinzona, e quella sui fratelli siro-libanesi Jan e Barkev Magharian. Un’inchiesta che aveva coinvolto la società zurighese Shakarchi, e i cui contraccolpi avevano costretto alle dimissioni la consigliera federale Elisabeth Kopp.
Sull’onda di quei successi internazionali gli agenti infiltrati ticinesi avevano iniziato a lavorare a briglie sciolte, sfuggendo completamente al controllo delle autorità. Ma questa è ancora un’altra storia.
“Comment j’ai infiltré le cartels de la drogue”
Quegli anni “eroici” sono stati raccontati da Cattaneo nel libro “Comment j’ai infiltré le cartels de la drogue”, uscito in edizione francese nel 2001 e tradotto in italiano nel 2010.
In centinaia di pagine l’ex commissario ha rievocato le inchieste sotto copertura tra Europa, Turchia, Colombia e Brasile. Vicende che in parte furono oggetto del “Rapporto Mato Grosso”, un documento di una trentina di pagine nel quale Cattaneo abbozzava le sue tesi, gettando le prime pesanti ombre sull’antidroga francese e su alcuni colleghi della Polizia cantonale. Proprio in quegli anni, tra Francia e Brasile, nacquero i primi screzi personali tra i due “Serpico” ticinesi, Azzoni e Cattaneo, appunto.
Le accuse di Cattaneo contro Azzoni
Quest’ultimo, nel libro puntò l’indice direttamente contro Azzoni, definendolo “il mio amico-nemico”, e accusandolo di aver di fatto alimentato un traffico di cocaina trasformandosi da agente infiltrato in complice dei narcotrafficanti.
“Ho le prove messe nero su bianco che miei ex colleghi tutt’oggi in servizio hanno trafficato, dico trafficato, cocaina in Francia”, tuonò l’ex commissario in un’intervista rilasciata nel 2001.
Le operazioni a cui si riferiva Cattaneo erano state battezzate Nizza 1 e Nizza 2 perché coinvolgevano i servizi antidroga francesi. Su quelle vicende, prendendo spunto dal “Rapporto Mato Grosso” il Consiglio di Stato ordinò nel 1994 un’inchiesta amministrativa affidandola all’ex giudice Fernando Gaia.
Obiettivo dell’indagine era verificare l’operato dell’antidroga ticinese. Ma le accuse di Cattaneo contro Azzoni non trovarono alcuna conferma, né nell’inchiesta amministrativa, né nelle verifiche penali effettuate dall’allora procuratore generale Luca Marcellini.
Cattaneo condannato per diffamazione
Una volta uscito il libro, Sergio Azzoni denunciò Cattaneo per reati contro l’onore. L’ex commissario, che tra l’87 e il ’92 fu a capo dell’antidroga ticinese, venne in seguito condannato dalla Pretura penale per ripetuta diffamazione sulla base di un decreto d’accusa firmato nel 2003 del Procuratore generale Bruno Balestra, nel frattempo succeduto a Marcellini. Quella condanna fu poi annullata per intervenuta prescrizione del reato in seguito a un ricorso presentato dal legale di Cattaneo, Niccolò Salvioni.
L’inchiesta “Bidon”
Intanto, però, nel 2001, Azzoni aveva lasciato la polizia cantonale ed era passato a quella federale. Cattaneo si rivolse dunque al Ministero pubblico della Confederazione rilanciando le accuse contro il suo ex collega e ottenendo, questa volta, il sostegno del funzionario della polizia vodese Hochstaettler.
Quest’ultimo, negli anni precedenti, aveva lavorato con Cattaneo in alcune inchieste antidroga. Inoltre, conosceva il procuratore federale Ottinger, con il quale aveva pure collaborato in passato. Hochstaettler fu dunque, per Cattaneo, una sorta di carta di credito da spendere di fronte al procuratore federale.
Scattò così l’inchiesta battezzata Bidon – un nome una garanzia – e Azzoni si ritrovò in carcere da un giorno all’altro con accuse pesantissime, nonostante sui fatti contestatigli avesse già indagato il Ministero pubblico ticinese senza trovare nulla contro di lui.
La seconda denuncia di Azzoni contro Cattaneo
Rilasciato dopo una settimana di prigionia, Azzoni querelò nuovamente Cattaneo per calunnia e denuncia mendace. A quel punto, visto il coinvolgimento di Hochstaettler e il ruolo di agente federale dello stesso Azzoni, la Procura ticinese trasmise il procedimento a Berna per competenza. Siamo nel 2004.
Nove anni dopo, nell’ottobre dello scorso anno, al termine dell'inchiesta battezzata "Ragnatela", il Ministero pubblico della Confederazione ha deciso di rinviare a giudizio Cattaneo, Hochstaettler e il brasiliano. La notizia non è finora stata pubblicata.
Ma nel frattempo il procedimento ha rischiato di essere abbandonato. Infatti, quando il procuratore Reinmann stilò il progetto di rinvio a giudizio, con i capi d’accusa già confermati dal giudice istruttore, l’allora procuratore generale della Confederazione Erwin Beyeler ordinò a un altro magistrato di firmare un decreto di abbandono.
L’avvocato Tamagni si appellò però alla Corte federale dei reclami penali che accolse il ricorso rinviando nuovamente il dossier al Ministero pubblico. “L’ispettore Azzoni – scrisse nel ricorso – è stato l’unico agente di polizia che abbia mai avuto il coraggio, già nei primi anni Novanta, di denunciare il comportamento di Fausto Cattaneo”.
Il caso è così tornato nelle mani del procuratore Reinmann, e adesso, dopo anni di veleni, quel processo non si potrà non fare. Vent’anni dopo torneranno ad agitarsi nell’aula del Tribunale le ombre, i misteri e i fantasmi di personaggi che hanno segnato la storia delle inchieste internazionali contro i cartelli della droga. E i due “amici-nemici” si troveranno ancora una volta uno di fronte all’altro per l’ultimo duello.