La donna, arrestata nel Messinese insieme al marito lo scorso febbraio con l’accusa di aver tentato di comprare un bambino, confida per la prima volta la sua storia al Caffè. “Volevo denunciare tutto, ma avevo troppa paura”
LUGANO/MESSINA – “Volevo un figlio a tutti i costi, sono finita in un vero dramma. La colpa è mia, mio marito mi ha solo assecondata”. A parlare è Lorella Conti Nibali. La 49enne luganese – ora ai domiciliari nella casa della suocera a Castell’Umberto, in provincia di Messina – che ha accettato di raccontare al Caffè la sua versione della storia conclusasi con le manette scattate per lei, e il marito Calogero, lo scorso 26 febbraio nel Messinese, con l’accusa di "acquisto e alienazione di schiavitù consumata".
La notizia era emersa inizialmente sulla stampa italiana: una coppia di coniugi residenti in Ticino, poi identificata nei Conti Nibali di Aldesago, era stata arrestata per aver tentato di comprare un bambino, per 30mila euro, affidandosi alla malavita. Poi sono emersi un giro di carte false cominciato già nel 2008, l’esistenza di un ‘bimbo fantasma’, nato solo sui documenti italiani, per cui la coppia avrebbe beneficiato di aiuti alla prima infanzia in Ticino e che ha portato il procuratore John Noseda ad aprire, a inizio marzo, un procedimento contro al coppia per falsità in documenti e truffa alle assicurazioni sociali. Ma la donna promette che rimborseranno tutto il denaro non appena potranno tornare ad Aldesago. “Il nostro avvocato di Lugano ha già fatto tutto il necessario”.
Gli estremi del dramma familiare erano già emersi: i due coniugi, cugini, avevano già una figlia gravemente handicappata. Desideravano un secondo figlio, “un fratello per mia figlia, perché so bene quanto è importante crescere con qualcuno accanto”, confida ancora al domenicale raccontando dell’importanza di aver avuto al suo fianco la sorella in questi drammatici mesi.
La donna racconta di aver vissuto numerosi aborti, di aver poi provato la strada della fecondazione in vitro, ma, dato il legame di parentela fra lei e il marito, i medici parlavano di un rischio troppo forte di malformazioni per il feto. Hanno tentato la strada dell’adozione legale, prima in Svizzera poi in Italia.
E poi, nel 2008 appunto, l’episodio che ha aperto la strada a quella catena di soldi e contatti ‘sbagliati’ che ha fatto finire la donna “in un tunnel senza uscita”. Lorella, racconta al Caffè, aveva appena abortito, “in modo tragico visto che il feto era già di sei mesi e ho dovuto partorirlo per poi ritrovarmelo morto sulla pancia”. Si rivolge quindi a un conoscente in Italia, chiedendogli come potesse fare per riuscire ad adottare un bambino. “Mi dice di lasciar perdere, che conosce una ragazza che sta per partorire ma non vuole tenerlo. Purtroppo mi sono presto resa conto che nessuno fa niente per niente. Ma era già tardi, ero già dentro il tunnel. Da quel momento, ho iniziato a pagare, ad ascoltare bugie, a crederci... In tutto, questa storia ci è costata poco meno di 100mila euro”.
La donna si rende conto di essere finita in un giro sbagliato, pensa anche di andare dai carabinieri, denunciare tutto e porre fine alla losca storia. “Ma la paura mi frenava, capivo che non avevo più via d'uscita”. E allora il tran tran di soldi, bugie e raggiri va avanti, fino a quel giorno di febbraio in cui, dopo aver “riscattato” il bambino il mese prima, avrebbe finalmente dovuto conoscerlo.
Lorella, sempre al domenicale, giura però che non avrebbe mai portato via il figlio alla madre. “Avremmo accolto tutta la famiglia del bambino, per sempre. L'unica cosa è che il bimbo sarebbe diventato nostro figlio. L'atto di nascita già c'era”.