CRONACA
Giampiero Mughini scrive una lettera alla sua cagnolina Bibi: "Il tuo amico Tullio è morto. In ragione della tua razza non lo sai e non lo saprai mai. O forse sì..."
Il giornalista: "Cara Bibi, il quartierino romano dove viviamo e dove ti porto a passeggio, è adesso più povero e amaro senza Tullio. Quando il padrone me lo ha detto, per poco non scoppiavo a piangere"

ROMA - Una lettera al suo cane, Bibi, per raccontarle la morte dell'amico a quattro zampe che incontravano durante le loro passeggiate nel quartiere romano in cui vivono. 

 

L'ha scritta e pubblicata su Dagospia Giampiero Mughini. Il noto giornalista e opinionista televisivo, afferma di essersi "quasi messo a piangere" quando il padrone di Tullio, questo il nome del cane deceduto, gli ha comunicato la notizia. E si chiede, al termine dello scritto, se la sua Bibi resterà inconsapevole del fatto, "per questioni di razza", oppure no. 

 

Di seguito pubblichiamo la lettera, tratta da Dagospia:

 

Cara Bi, cara bambina adorata, e per fortuna che non lo sai. Tullio, quel cagnone biondo (a dire il vero un po’ grasso) di cui tu eri pazza, quel golden retriever che ogni volta che lo avvistavi a 50 metri di distanza ti lanciavi e ti protendevi verso di lui, non c’è più.

 

Malandato lo era da un anno, adesso è morto. Me lo ha detto il suo padrone, quel tipino minuto e con i baffetti che tu guardavi appena, perché tutto il tuo entusiasmo, tutto il tuo ardore, tutta la tua canina attenzione erano rivolte al biondone.

 

Cara Bibi, il quartierino romano dove viviamo e dove ti porto a passeggio, è adesso più povero e amaro senza Tullio. Quando il padrone me lo ha detto, per poco non scoppiavo a piangere. Tullio gli stava sempre dietro, o poco avanti, senza bisogno di guinzaglio. Il suo padrone lo comandava con gli occhi, con gli occhi gli diceva se andare un po’ oltre o tornare indietro. Quando il padrone si sedeva a un bar, Tullio si accovacciava felice.

 

Aveva tutto il mondo accanto e a sua disposizione. Non gli occorreva altro. Né si eccitava poi tanto innanzi alle smorfie e alle moine indecenti di Bibi, o perché non era il suo tipo o perché il suo tempo maschile era passato.

 

Una volta Bibi fu particolarmente femminile. Gli fece le solite smorfie, ma in realtà stava puntando all’osso che Tullio teneva tra le zampe. Un attimo, e ci provò a soffiarglielo. Tullio fu prontissimo, e piazzò il suo zampone sull’osso a decretarne il suo inviolabile diritto di proprietà, in questo meno babbeo di noi uomini nei confronti delle donne che ci ammaliano. Se penso che non lo incontrerò più nelle nostre camminate, mi viene da piangere.

 

Beata te, Bibi, che in ragione della tua razza non sai e non saprai della morte di uno che è stato un tuo amore. O forse sì, o forse avrai nostalgia di lui quando passeremo innanzi a uno di quei bar dove se ne stava assiso e felice.

 

 

 

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