L’uomo di cui in questi giorni tutta l’Italia parla, mostrando gli scatti della sua cattura con una demagogia da repubblica bananiera - manco si trattasse di Pablo Escobar o di Totò Riina -, ha trascorso trent'anni della sua vita in fuga...
ROMA – Un ragazzo criminale infatuato dall’ideologia dell’eversione? Un bandito? Un vero terrorista? Un assassino? O uno che si è trovato invischiato in delitti che, come sostiene, non ha commesso? Chi è davvero Cesare Battisti, l’ultima “primula rossa” del terrorismo italiano?
L’uomo di cui in questi giorni tutta l’Italia parla, mostrando gli scatti della sua cattura con una demagogia da repubblica bananiera - manco si trattasse di Pablo Escobar o di Totò Riina o di Bernardo Provenzano -, ha trascorso trent'anni della sua vita in fuga, inseguito da mandati di cattura per quattro omicidi, ma nel suo girovagare fra Messico, Francia, Brasile e Bolivia, ha sempre trovato sponde amiche.
E ha goduto della solidarietà concreta e fattiva della sinistra francese e italiana. E della protezione di governi che non hanno creduto alle tesi giustizialiste italiane e delle sentenze maturate negli Anni di piombo.
Ma ora giustizia è fatta. Qualsiasi sia la giustizia. E il suo senso, a tanti anni di distanza. Più politico che giuridico, questo è sicuro. La gente non capisce e non sa. L’importante è sventolare la testa del condannato a morte - tipo "Voglio la testa di Garcia", bellissimo film di Sam Peckimpah - di fronte alle folle festanti: questo sì che è un Governo di gente con le palle! Con quel Matteo Salvini che sembrava il capo della polizia – “Andrò a prenderlo a Ciampino” - e non il viceministro di un Governo.
Panem et circensis, dicevano i latini.
L’epilogo della storia di Cesare Battisti ricorda quello del celebre bandito americano Butch Cassidy - al secolo Robert LeRoy Parker - leader del Mucchio Selvaggio - "The Wild Bunch", bellissimo film, sempre di Sam Peckimpah -, che terrorizzò gli Stati Uniti del dopo Far West. Battisti è stato arrestato in Bolivia. Cassidy fu ucciso in Bolivia. E in Bolivia fu arrestato e ucciso anche Che Guevara.
Ma sono solo alcuni singolari casi della storia. Maledetta Bolivia!
Battisti ha 64 anni e porta il nome di un celebre martire dell’ultimo scampolo irredentista del Risorgimento, impiccato a Trento dagli austriaci nel 1916.
Tempo fa, stanco di fuggire, ha chiesto allo Stato italiano di “voltare la pagina degli anni di piombo senza vendette tardive”, ha chiesto perdono per le vittime degli attentati del suo gruppo, ammettendo le proprie responsabilità politiche, ma negando la sua partecipazione diretta agli attacchi terroristici:
“Non mi pento di nulla. Non posso pentirmi di quello che non ho fatto. Mi accusano di vari omicidi. I responsabili sono stati arrestati e torturati. Quando sono avvenuti gli omicidi, già non facevo più parte dell'organizzazione”.
Vero, falso? Come possiamo capirlo, oggi, a tanti anni di distanza?
Nato a Cisterna di Latina il 18 dicembre del 1954, Battisti è uno dei volti minori degli Anni di piombo. Membro del gruppo Proletari Armati per il Comunismo, fu condannato a 12 anni per banda armata, ma nel 1981 evase dal carcere di Frosinone.
In seguito è stato condannato all'ergastolo per quattro delitti, due commessi materialmente secondo l’accusa, due in concorso con altri (concorso materiale in un caso, morale nell'altro), oltre che per vari reati legati alla lotta armata e al terrorismo.
Negli anni Novanta si è dedicato alla letteratura, ottenendo un discreto successo con romanzi noir e d'ispirazione autobiografica, pubblicati nientemeno che dalla celebre casa editrice francese Gallimard. La Feltrinelli italiana.
Ha trascorso la prima fase della sua latitanza in Messico, dove ha anche fondato un giornale, “Via libre”, poi in Francia, dove si è sposato e ha avuto due figlie, ottenendo la naturalizzazione, revocata prima di ottenere il passaporto.
Nella capitale francese ha frequentato la comunità di latitanti italiani che viveva all’ombra della Torre Eiffel grazie alla cosiddetta “dottrina Mitterrand”.
Ha scritto un romanzo e ha vissuto traducendo in italiano racconti di autori noir francesi, tentando di aprire una lavanderia e facendo vari lavori, tra cui il portinaio dello stabile dove risiedeva.
Il primo arresto in Francia
Ma nel 1991 Battisti venne arrestato in seguito a una richiesta di estradizione del governo italiano. Nell'aprile 1991, dopo quattro mesi di detenzione, la Chambre d'accusation di Parigi lo dichiarò non estradabile: tra le motivazioni, la dottrina Mitterrand che garantiva protezione ai latitanti per motivi politici e il fatto che, secondo la magistratura francese, le prove a suo carico erano "contraddittorie" e "degne di una giustizia militare”.
Nel 1993, Gallimard pubblicò nella sua Série Noire il romanzo di Battisti “Travestito da uomo”. Nel 1997 insieme ai fuoriusciti dei movimenti dell'estrema sinistra italiana rifugiati in Francia chiese all'allora presidente Oscar Luigi Scalfaro una soluzione politica "di indulto o di amnistia" dei reati loro addebitati.
La sua attività letteraria proseguì con libri in cui espose la sua analisi sull'antagonismo radicale, il più significativo dei quali fu “Orma rossa”.
In Francia ottenne la naturalizzazione, che gli fu ritirata nel 2004, poco prima del conferimento ufficiale del passaporto francese che ne attestasse la cittadinanza.
Il secondo arresto a Parigi e la fuga in Brasile
Il cosiddetto "caso Battisti" esplose appunto nel febbraio del 2004 quando venne arrestato a Parigi, inizialmente con l'accusa di aver litigato con un vicino di casa. La magistratura italiana richiese nuovamente la sua estradizione, che venne concessa dalle autorità francesi il 30 giugno, sotto la presidenza di Jacques Chirac.
A quel punto, Battisti, nel frattempo liberato, si diede alla latitanza, lasciando la Francia e facendo perdere le sue tracce. Prima tentò di raggiungere l'Africa, passando per la Corsica, via mare su una barca, poi tornò indietro e con l'aiuto di amici, riuscì a raggiungere il Sudamerica, fermandosi in Brasile, dove ha vissuto fino all’anno scorso.
Gli arresti in Brasile
Ma anche in Brasile fu arrestato, nel 2007, e rimase in carcere a Brasilia fino al giugno del 2011. Nel dicembre del 2010 il presidente brasiliano Lula da Silva ha rifiutato all’Italia l'estradizione di Battisti e gli ha concesso il diritto d'asilo e il visto permanente. L’anno successivo il Tribunale supremo federale brasiliano ha negato definitivamente l'estradizione, con la motivazione che Battisti avrebbe potuto subire "persecuzioni a causa delle sue idee".
L’ex terrorista fu quindi scarcerato e rimase in libertà fino al marzo 2015, quando venne nuovamente arrestato dalle autorità brasiliane in seguito all'annullamento del permesso di soggiorno, ma fu rilasciato poco dopo. Nell'ottobre 2017 finì di nuovo in carcere al confine con la Bolivia, ma anche in quel caso venne scarcerato in breve tempo.
Nel frattempo Battisti ha avuto un terzo figlio da una brasiliana nel 2013 e si è risposato due anni dopo, nel 2015, tutti fatti che impedirebbero l'estradizione ai sensi dello Statuto dello Straniero vigente nel paese sudamericano.
L’appello degli intellettuali
Contro l'estradizione di Battisti si sono schierati negli anni scorsi molti intellettuali di sinistra come Gabriel García Márquez, Bernard-Henri Lévy, Daniel Pennac, Tahar Ben Jelloun, Valerio Evangelisti e anche - a titolo personale - alcuni esponenti sudamericani di Amnesty International.
Per lo scrittore Erri De Luca, Battisti è un perseguitato: “Volendo acciuffare a tutti costi questi ex antichi prigionieri, lo Stato non fa che pretendere di cantar vittoria su vinti di molti anni fa”, disse a una trasmissione radiofonica nel 2004.
L’arresto in Bolivia
Nuovamente latitante dal dicembre 2018, dopo la revoca dello status di residente permanente e l'ordine di estradizione del presidente Michel Temer, sabato scorso, 12 gennaio, Cesare Battisti è stato arrestato a Santa Cruz de la Sierra, in Bolivia, con in tasca un dollaro e mezzo e il fiato che puzzava di alcol, da una squadra dell'Interpol e oggi è stato trasferito in Italia nel carcere di Oristano, in Sardegna, dove sconterà l'ergastolo dopo una pena iniziale di 6 mesi di isolamento diurno.
Dalla criminalità comune all’eversione
Cesare Battisti nacque a Cisterna di Latina, ma crebbe nella vicina Sermoneta; la sua era una famiglia di estrazione contadina e operaia, con tradizioni comuniste. Da adolescente si iscrisse al Partito Comunista Italiano e fece parte della FGCI, il gruppo giovanile del PCI, ma ne uscì poco dopo. Nel 1968 si iscrisse al liceo classico, ma già nel 1971 abbandonò la scuola. Fu quindi protagonista di una fase giovanile burrascosa, segnata da atti di teppismo e venne arrestato due volte per rapina.
Nel 1977 fu arrestato per aver aggredito un sottufficiale dell'Esercito mentre svolgeva il servizio militare, e quindi rinchiuso nel carcere di Udine dove entrò in contatto con Arrigo Cavallina, ideologo dei Proletari Armati per il Comunismo, che lo accolse nell'organizzazione.
Ma Battisti ha sempre sostenuto di aver militato già prima di conoscere Cavallina in un gruppo armato, il Fronte Largo, oltre che in Lotta Continua e nell'Autonomia Operaia. In un'intervista del 2014, ha altresì negato di essere mai stato un rapinatore o un delinquente abituale, e ha sostenuto di aver effettuato solo alcuni furti, sempre qualificandoli come espropri proletari, anche durante la sua prima militanza nella sinistra extraparlamentare, e di essere sempre stato comunista fin da ragazzino, negando la qualifica di "malavitoso convertito alla politica" attribuitagli da Cavallina.
Trasferitosi a Milano, cominciò a partecipare alle azioni dei "Proletari Armati per il Comunismo", responsabile prima di varie rapine a banche e supermercati nel quadro di quelli che all'epoca venivano definiti appunto "espropri proletari”, e successivamente anche di alcuni omicidi di commercianti e appartenenti alle forze dell'ordine.
La sua difesa, le accuse e il “concorso morale”
Battisti tuttavia, pur riconoscendo la sua precedente militanza nella lotta armata, fatto da cui non si è mai dissociato o pentito, nel 2009 dichiarò la sua estraneità ai delitti, affermando di non avere mai sparato a nessuno.
In un'altra intervista dichiarò che già nel 1978 si era distaccato dai PAC, disgustato per l'assassinio di Aldo Moro, rapito e ucciso dalle Brigate Rosse.
Si unì poi a "un collettivo di gruppi territoriali", descritti da lui come "ugualmente armati ma non offensivi. Vivevo come molti altri clandestini in un vecchio edificio di Milano".
Secondo le sentenze, invece, sarebbe rimasto fino al 1979 nei PAC, quando, nell'ambito di un'operazione antiterrorismo, venne arrestato e condannato inizialmente, in primo grado a 12 anni per possesso illegale di armi da fuoco e banda armata con aggravante di associazione sovversiva, nell'ambito del processo per l'omicidio del gioielliere Pierluigi Torregiani, ucciso il 16 febbraio 1979.
Una condanna per il reato di "concorso morale" previsto dalle leggi speciali antiterrorismo: secondo la difesa, Battisti si sarebbe forse limitato a partecipare a riunioni dei PAC (di cui forse non faceva più parte), dove altri militanti avevano deciso l'omicidio, ma non ci sarebbe prova che l'abbia approvato o l'abbia organizzato.
Il gioielliere venne ucciso materialmente da Giuseppe Memeo, reo confesso, e da altri due complici. Alcuni militanti dei PAC affermarono di aver subito pesanti torture, per far loro rivelare i colpevoli dell'omicidio Torregiani. Battisti ha però anche ribadito che nessuno, nemmeno sotto minaccia, ha mai fatto il suo nome come esecutore degli omicidi, tranne un pentito, in cambio di sconti di pena.
Alcuni innocentisti paragonarono il caso Battisti a quello di Pietro Valpreda, l'anarchico incarcerato per la strage di Piazza Fontana, additato come "mostro" dalla stampa, sulla base di due testimonianze ritenute prima attendibili e poi rivelatasi false o lacunose, che alla fine venne assolto.