L'ex terrorista delle Brigate Rosse rompe il silenzio con un'intervista a TicinOnline: "L'Italia si è sempre mossa in una logica di vendetta, come si è ben visto anche nel caso Battisti
BERNA - “L’Italia non ha mai chiesto la mia estradizione alla Svizzera, ed una “consegna” come la richiede la Lega dei ticinesi equivarrebbe a una deportazione alla boliviana, che la Confederazione non prevede”.
A parlare è Alvaro Lojacono Baragiola, 63 anni, ex terrorista delle Brigate Rosse con passaporto svizzero. Il suo nome è tornato agli onori della cronaca dopo l’arresto di Cesare Battisti. Di lui hanno parlato sia la stampa italiana che quella ticinese. E in Ticino contro di lui si sono scagliati il Consigliere Nazionale leghista Lorenzo Quadri e il presidente del PPD Fiorenzo Dadò. Anche a causa del suo impiego presso l’Università di Friburgo.
Lojacono Baragiola ha scontato in Svizzera una condanna per i suoi crimini legati al terrorismo rosso. Ma su di lui pende un ergastolo da parte della giustizia italiana. Una sentenza collegata al delitto Moro: l’allora 22enne Baragiola partecipò infatti all’agguato di via Fani a Roma dove venne rapito il presidente della Democrazia Cristiana.
Dopo vent’anni di silenzio la redazione di Ticinonline è riuscita a strappargli un’intervista. “Sono passati 40 anni - racconta Lojacono Baragiola - e l’Italia si è sempre mossa in una logica di vendetta, come si è ben visto anche nel caso Battisti, e non ha mai rinunciato a un quadro giuridico d’eccezione. In una giustizia normale la "certezza della pena" vale anche per il detenuto: io sono stato scarcerato quasi venti anni fa, e sto ancora come prima dell’arresto, senza sapere se un giorno o l’altro mi riarrestano o mi riprocessano per qualcosa”.
L’ex terrorista si dice pronto ad accettare l’ergastolo, se la giustizia elvetica decidesse di dar seguito alla sentenza italiana (ma è l’Italia che deve farne richiesta e non l’ha mai fatto): “L’accetterei senza obiezioni, almeno metteremmo la parola fine a questa vicenda”.
Quanto all’agguato di via Fani, queste le considerazioni di Lojacono Baragiola: “Ogni volta che il tema è rilanciato dai media associandolo al mio nome ricevo insulti e minacce. È una pena supplementare, non ci posso fare niente. Ci sono memorie collettive diverse ed in conflitto tra loro, e nessuna sarà mai condivisa da tutti. Entriamo nel cinquantenario del lungo ’68, dopo mezzo secolo si dovrebbe poter trattare le cose storicamente, ma non è così, sembra che i fatti siano avvenuti ieri. C’è stata una "linea della fermezza" lanciata dal PCI al tempo del sequestro Moro, continuata poi con le leggi d’emergenza e con la politica della vendetta, che in questi giorni ha raggiunto livelli impensabili con l’esibizione del detenuto-trofeo. (…) Non vedo perché parlare con chi mi considera ancora oggi terrorista e nemico pubblico. Che non sono. Ma non è un tabù, ne parlo con storici e ricercatori con cui si può discutere, solo lontani dalla propaganda e dalle fake-news si può ritrovare un senso storico”.