Il sindaco di Locarno e front man della Vasco Jam: “Ha ragione ad arrabbiarsi se i suoi testi vengono utilizzati dai politici per raccogliere consensi. Ma ‘c’è chi dice no’ è un modo di dire entrato nel gergo comune”
“C’è chi dice no lo dico io: i politici devono mettere giù le mani dalle mie canzoni! Che imparino a usare parole originali loro e a non strumentalizzare la musica!”.
Vasco Rossi non ci sta e su Instagram chiede con fermezza ai politici di non strumentalizzare i titoli dei suoi hit. Il riferimento è al senatore M5s Gianluigi Paragone che aveva usato la vecchia hit del Blasco per accompagnare il video con cui annunciava il suo No nel voto su un governo 5 Stelle-Pd.
“Voglio sia chiaro che non autorizzo nessuno a farlo - ha aggiunto Vasco - e per quello che mi è possibile cerco di impedirlo! Tanto meno si può pensare che io sia d’accordo con le opinioni di chi usa le mia musica per chiarire le sue idee confuse”.
Abbiamo chiesto un’opinione su questa polemica musical-politica a un grande fan del Blasco, Alain Scherrer, che oltre ad essere front man della Vasco Jam è anche un politico, in quanto sindaco di Locarno.
“Credo sia importante fare una premessa e collocare nella giusta linea temporale la nascita di ‘C’è chi dice no’ – afferma Scherrer -. Si tratta di una canzone molto importante nella carriera di Vasco, nata nel 1986 e pubblicata l’anno successivo. Quindi nell’anno della guerra in Iraq e del disastro di Chernobyl. Immagino sia a questi eventi che Vasco fa riferimento quando dice ‘c’è qualcosa che non va in questo cielo’, che rimanda sia ai missili nucleari sia alle nubi radioattive… Insomma, è una canzone che nasce con un chiaro riferimento alla realtà di quell’epoca. Come altre del resto…".
“L’esempio forse più clamoroso è il Discoterremoto dei Litfiba, che sembrava scritto per Mani Pulite ed è uscito proprio quando è scoppiato lo scandalo della ‘Seconda Repubblica’. Nell’87 Vasco non era il ‘santone’ odierno del rock celebrato da tutti, anche da coloro che in quegli anni lo detestavano. Ma era già allora, per noi e per tutti i suoi fans, il simbolo di chi voleva ribellarsi”.
A questo punto Scherrer fa una sorta di esegesi dei testi di Vasco, partendo proprio dal periodo precedente a ‘C’è chi dice no’: “Fin ad allora le sue canzoni parlavano di lui, come ‘Vado al massimo’ o ‘Vita spericolata’, o di chi lo circondava, dei suoi amici, come ‘Siamo solo noi’… Scriveva canzoni ironiche, o d’amore come ‘Ogni volta’, ‘Una canzone per te’, e tante altre, canzoni che parlavano di droga, come ‘Sensazioni forti’, ‘Bollicine’, ‘Cosa ti fai’, o di sesso, come ‘Mi piaci perché’, ‘Io non so più cosa fare’, eccetera…”.
Poi c’è stato un cambio di marcia. “Direi che ‘C’è chi dice no’ è la prima canzone della sua carriera che ha un messaggio per così dire politico. Ne seguiranno altre come ‘Liberi, liberi’, o ‘Gli spari sopra’... Ma quella è una canzone diversa rispetto alle sue precedenti: è un urlo di ribellione, ma non generico, come per esempio in ‘Cosa succede in città’, che faceva parte del disco precedente. È un urlo di ribellione mirato: ‘C’è qualcuno che non sa più cosa è un uomo, c’è qualcuno che non ha rispetto per nessuno’… E chi è questo qualcuno? Un bersaglio potrebbe essere la Chiesa, perché a un certo punto Vasco dice ‘Tanta gente è convinta che ci sia nell’aldilà chissà cosa, chissà’. Ma a me pare più un attacco a chi manca di rispetto per le persone, e Vasco con questa canzone dà voce a quella che lui chiama la disperazione umana”.
La scrittura, prosegue Scherrer, “è tipica di Vasco: poche parole, frasi veloci e dirette, che colpiscono o che provocano, come gli piace sottolineare. Quella canzone è un po’ la maturazione del Vasco di ‘Siamo solo noi’. Maturazione come persona ma anche come autore. Siamo sempre incazzati, dice in sostanza, ma la rabbia la miriamo verso chi non ha rispetto, verso i furbi e i disonesti, con un urlo chiaro che è proprio un ‘no’. D’altra parte, negli anni Ottanta durante i concerti Vasco iniziava il brano cantando ‘no, no’…”.
Poi Scherrer cita un grande filosofo e scrittore francese, Albert Camus, che nel suo saggio ‘L’uomo in rivolta’ parla appunto dell’individuo che dice no e che oppone il principio di giustizia che sta in lui al principio di ingiustizia che vede nel mondo. Per dire, insomma, che il concetto che sta alla base di ‘C’è chi dice no’ ha anche radici nel pensiero critico del Novecento.
E aggiunge: “Vasco reagisce così perché sa cosa c’è dietro una canzone: una riflessione che va ben oltre il titolo utilizzato da chi lo strumentalizza per fini elettorali o politici. Ma è anche vero che ‘C’è chi dice no’ è un modo di dire entrato nel linguaggio comune. C’è anche un film, diretto da Gianbattista Avellino, uscito nel 2011 che ha questo titolo… Un altro modo di dire comune mutuato a Vasco è, per esempio la risposta a chi ti chiede come stai e tu rispondi ‘Vado al massimo’…”.
Insomma, conclude Alain Scherrer, “Vasco ha ragione ad arrabbiarsi se i suoi testi vengono utilizzati dai politici a proprio uso e consumo per ammiccare ai suoi fans e raccogliere consensi. Questo non è onesto. È come se io usassi la Vasco Jam a scopi elettorali. Per questo sul palco evito sempre di fare riferimenti alla politica o al mio ruolo pubblico. Per fortuna cantavo con la Vasco Jam già prima di diventare sindaco. Dunque, Vasco ha ragione quando invita i politici a usare parole originali evitando di rubargli le sue. Ma deve anche ricordarsi che la lingua italiana è di tutti, e ‘c’è chi dice no’ è un modo di dire entrato nel gergo comune. Forse dovrebbe dare più fiducia all’intelligenza degli elettori italiani che, me lo auguro, sanno quando votare sì o no senza farsi influenzare dal titolo di una canzone, per quanto bellissima sia”.