L'azione vigorosa della Procura dovrebbe rassicurare tutti sullo stato di salute della nostra democrazia. Attendiamo i fatti ed evitiamo processi sommari
di Andrea Leoni
La sfilata di cinque municipali di Lugano a Palazzo di Giustizia, per essere interrogati sulle loro responsabilità in merito allo sgombero e alla demolizione dell’ex Macello, è un segnale di salute per la nostra democrazia e per il nostro stato di diritto. Le audizioni di ieri certificano il vigore, la serietà e lo scrupolo con i quali la magistratura sta conducendo le indagini, a costo di un interrogatorio simultaneo fiume con il dispiegamento di una squadra di procuratori: un metodo duro, senza sconti e un po’ spettacolare, ritenuto necessario per la strategia d’inchiesta dal Procuratore Generale Andrea Pagani. Bene così.
Una bella garanzia per chi crede nella ricerca della verità, senza pregiudizio alcuno, e nella parità di trattamento per tutti i cittadini davanti alla legge. Dall’azione robusta della Procura dovrebbero essere rassicurati anche coloro che coltivano legittimi dubbi verso l’operato delle autorità, ma hanno a cuore tutti i pilastri di una democrazia liberale e non solo quelli che tornano comodi alla bisogna o alla polemica. Uno dei quali, forse il primo per importanza, è la presunzione d’innocenza. Un principio che vale per tutti, anche per i peggiori delinquenti, fino a quando l’ultimo tribunale non ha deliberato chi è colpevole e chi è innocente.
Per il Municipio di Lugano questa radice, sacra e santa, della nostra civiltà giuridica, è sembrata valere un po’ meno in queste settimane. Un po’ per gioco politico, un po’ per caos comunicativo, un po’ per quell’odore del sangue che accende gli istinti forcaioli di taluni. C’è chi ha una gran fretta di precipitarsi ad emettere un verdetto. Di condanna, ovviamente (poi se è la verità, meglio, ma non è così importante…). Il tutto sulla base d’indizi, supposizioni, speculazioni, alcune delle quali fondate, che però hanno bisogni di riscontri prima di trasformarsi in prove a carico degli indagati (e al momento non risulta neppure che i municipali lo siano, indagati). Altrimenti sono quel che sono, almeno dal profilo giuridico: aria fritta, teoremi, congetture. Ciò che non è dimostrabile, oltre ogni ragionevole dubbio, non esiste in un’aula di tribunale. A costo di commettere un’ingiustizia, di lasciare un colpevole in libertà (che è sempre meglio di un innocente in prigione). Del resto la giustizia in una democrazia è imperfetta e fallibile, ma è sempre meglio della forca. Questi capisaldi è sempre utile ricordarli e mandarli a memoria, soprattutto quando l’azione penale riguarda gli altri.
Noi, a costo di prenderci una bordata di fischi e una valanga di merda, restiamo saldi nel rifiutare ogni gogna e qualsivoglia processo sommario, che è solo un esercizio barbaro in uno stato di diritto, e a concedere in tutto e per tutto la presunzione d’innocenza alle persone coinvolte nell’inchiesta che sta conducendo il Ministero Pubblico.
Si dice che l’opinione pubblica non può attendere, per conoscere la verità, che gli inquirenti concludano il loro lavoro (e l’inchiesta penale è solo una parte del procedimento giudiziario, quello che riguarda l’accusa, poi, semmai, ci sarebbe anche la difesa…). Temiamo che non sia possibile anticipare le conclusioni. Solo la magistratura, come è giusto che sia, dispone dei poteri necessari per acquisire elementi probatori e per verificare l’attendibilità delle varie versioni su quanto accaduto quella notte.
Fino ad allora possiamo solo continuare a interrogarci e a fare domande, a scavare fin dove è possibile per trovare nuovi elementi, ad ascoltare ricostruzioni di parte. Del resto il Municipio di Lugano, al netto del pasticcio comunicativo delle ore immediatamente successive alla demolizione, una sua versione dei fatti l’ha data, messa nero su bianco in una nota stampa pubblica e ufficiale. Una presa di posizione sulla quale occorre chinarsi criticamente, alla quale si può credere oppure no, ma la versione (di parte) è quella, è lì, e non si capisce bene cosa debba fare di più in questo momento l’Esecutivo luganese, oltre a scrivere ciò che ritiene sia accaduto e a collaborare con la magistratura per fare luce sui fatti.
Noi abbiamo già scritto di credere, fino a prova del contrario, al Municipio. Il che non significa affatto “assolvere” preventivamente l'Esecutivo dagli errori, anche gravi, che potrebbe aver commesso. Vuol dire soltanto avere fiducia nel fatto che le istituzioni non stiano mentendo ai cittadini e che se hanno sbagliato lo hanno fatto per una falla di giudizio o nello svolgimento del loro operato. Non per premeditazione, per vendetta o con intento doloso.
Desidero espormi maggiormente su Marco Borradori, per quel che vale la mia opinione. Conosco il sindaco di Lugano da molto tempo ed è una persona perbene, corretta, di rara onestà intellettuale. In due decenni di giornalismo è uno dei pochi politici a cui ho sentito chiedere scusa, quando ha sbagliato, e a cui ho visto metterci sempre la faccia, nella vittoria come nella sconfitta, nei giorni di gloria come in quelli di tempesta, sotto applausi scroscianti o bordate di fischi. Può aver commesso degli errori quella sera e perfino dei reati - e se li ha commessi pagherà e sarà il primo ad assumersene fino in fondo il carico, ne sono certo - ma sulla sua buonafede e sulla sua integrità, di uomo prima ancora che di politico, metto non una ma due mani sul fuoco.
A mente nostra vi sono due aspetti centrali su cui l’inchiesta dovrà dare risposte: il primo è se a Lugano via sia stata per qualche ora una sospensione della democrazia, con un’azione delle forze dell’ordine articolatasi al di fuori del controllo dell’autorità politica. E se sì perché e per decisione di chi. Sarebbe molto grave. La seconda riguarda la questione dell’amianto: chi si è assunto il rischio, se del caso, di mettere in pericolo la salute degli operai impiegati nella demolizione dello stabile e dei cittadini che vivono nei paraggi dell’ex Macello, senza le necessarie verifiche?
È verosimile che non tutto ciò che emergerà dall’indagine sarà materia da codice penale. Ma questo non vuol dire che ciò che non è reato è di per sé legittimo per un’autorità politica. C’è sempre un problema di opportunità da valutare con estrema attenzione. Occorrerà quindi anche una verifica, da parte dei legislativi, sulle eventuali responsabilità politiche degli Esecutivi coinvolti. Quando i fatti saranno accertati, ci sarà tempo per tutto.
Lasciamo quindi lavorare con fiducia la magistratura. Quella stessa magistratura oggetto di un attacco vile e odioso, a margine della grande manifestazione a sostegno dell’autogestione. In pochi hanno espresso sdegno e condanna verso una scritta dagli accenti brigatisti - “Respini guardati le spalle” (il magistrato che ha condannato l’autrice della testata alla collega della Regione) - apparsa su una vetrina della città quel sabato. Neppure dopo il comunicato con cui l’assemblea del Molino non si è distanziata da tali atti. Un silenzio grave e assordante.