Riflessioni a margine del decreto di abbandono prospettato dal PG Pagani sulla demolizione dell'ex Macello
di Andrea Leoni
Prudenza, misura, sobrietà. Le belle sconosciute. Non c’è stato il tempo che il procuratore generale Andrea Pagani prospettasse un decreto d’abbandono sulla demolizione dell’ex Macello, che i protagonisti della contesa (politica), da ambo le parti, hanno ceduto a una sorta di “dichiarite-acuta-compulsiva”. Sono quindi apparsi sui media e sui social un profluvio di commenti roboanti e partigiani che silenziano un’altra bella sconosciuta: la comprensione, dei fatti.
Quando all’inizio dell’inchiesta giudiziaria abbiamo percepito il puzzo della gogna, ci siamo permessi di rammentare sotto una pioggia di fischi e insulti, un caposaldo giuridico del nostro Stato di diritto: la presunzione d’innocenza. Un principio che vale per chi è indiziato del peggiore delitto e che, a maggior ragione, doveva valere anche per il Municipio di Lugano, i cui eletti non sono mai stati neppure indagati, mentre per taluni erano già da spedire al gabbio. La comunicazione odierna della Procura conferma quanto sia importante tenere sempre il piede sul freno della cautela, quando le notizie varcano o escono dal portone del Palazzo del Ministero Pubblico.
Andrea Pagani, magistrato serio e rigoroso, e persona perbene, ha svolto insieme ai suoi sostituti un’indagine ampia e scrupolosa, durata ben cinque mesi, con decine d’interrogatori, perizie, approfondimenti. Alcuni avversari dell’Esecutivo avevano provato un senso di malcelato godimento nel vedere sfilare in Procura i municipali, sottoposti per ore a un interrogatorio all’americana. Pagani fa sul serio, si davano di gomito, mentre oggi l’accusano d’ingiustizia, dopo che il PG ha comunicato che le ipotesi di reato al centro dell’inchiesta, non hanno trovato riscontri per essere provate e quindi per proseguire con l’azione giudiziaria.
Da un profilo penale, salvo sorprese dell’ultimo minuto, sia i corpi di polizia interessati sia il Municipio, ne escono puliti. Ed è una notizia positiva, se alle istituzioni teniamo davvero.
Da un profilo umano, dopo mesi di pressione politica e mediatica, è quindi comprensibile che alcuni municipali abbiano ceduto alla “dichiarite”, ma lo è molto meno da un punto di vista istituzionale. Misura, prudenza e sobrietà avrebbero suggerito di attendere la chiusura definitiva dell’inchiesta e, soprattutto, le motivazione giuridiche che hanno spinto il procuratore generale alle conclusioni prospettate. Ancor più sgrammaticate e temerarie, a livello istituzionale, le recriminazioni, se non proprio le maliziose insinuazioni verso l’operato della Procura (accusata più o meno velatamente di faziosità), seminate da chi sta dall’altra parte della barricata. Siamo con un piede sulla soglia “dell’arbitro venduto”, perché non ci ha dato ragione. Un pregiudizio grave che finché si strilla alla partita, passi. Ma applicare le stesse pulsioni da tifoseria dagli spalti della politica, verso un altro potere dello Stato, è abbastanza irresponsabile. Non varchiamo mai quella soglia, senza la prova certa del contrario.
Il bello è che nessuno sa niente, come ha affermato ancora oggi al Corriere del Ticino il sindaco di Lugano Michele Foletti: “Non sappiamo ancora cosa sia realmente successo quella sera”. Eppure tutti parlano, discettano, sentenziano. I fatti interessano ancora a qualcuno, oppure ormai c’è spazio solo per la bagarre tra le forze politiche? Lo abbiamo scritto fin dal primo giorno: c’è una dimensione giudiziaria e c’è una dimensione politica e amministrativa. E tutte interpellano la responsabilità dei protagonisti e vanno sottoposte a verifica dagli organi competenti. Non per forza, infatti, un comportamento costituisce un reato. Ciò non toglie, tuttavia, che lo stesso possa avere una rilevanza dal profilo politico o amministrativo.
Per tentare di svolgere questo esercizio critico in scienza e coscienza, e per amor di verità, occorre però che tutti (tutti!) i fatti riscontrabili siano conosciuti e incastonati in un mosaico complessivo, e non dati in pasto all'opinione pubblica a spizzichi e bocconi, come finora avvenuto. Il punto a nostro avviso più importante da chiarire sulla vicenda resta quando, e per volere di chi, la macchina della demolizione si è messa in moto. Tutto il resto è conseguente.
La lettura del decreto del Procuratore generale dovrebbe essere propedeutico a questo scopo e, considerata la rilevanza pubblica della vicenda, ci auguriamo che Andrea Pagani, nei modi e nei tempi che riterrà più opportuni, convochi una conferenza stampa, come già aveva fatto con il caso Argo, per illustrare il suo lavoro d’indagine e per motivare la sua decisione. Ogni silenzio arrischia infatti di tramutarsi in sospetto che, come una goccia di veleno, andrà ad ingrossare le narrazioni inquinanti degli estremi, a scapito della maggioranza.
Altri elementi utili alla ricostruzione dei fatti potranno successivamente giungere dall’inchiesta amministrativa ordinata, dando prova di buonafede, dallo stesso Municipio di Lugano, oltre che dalle verifiche in corso da parte della Sezione degli Enti Locali.
Quindi prudenza, misura, sobrietà, comprensione dei fatti, senza cedere alle sirene delle tifoserie. Costa pazienza e fatica. Ma ne vale la pena, per noi cittadini e per le nostre istituzioni.