Su richiesta dei lettori pubblichiamo il testo integrale del discorso di Andrea Leoni letto durante i funerali del sindaco Borradori
di Andrea Leoni
Quando ho saputo che non c’era più niente da fare, ho cominciato a girare a vuoto per il centro della città. Stupidamente ho controllato se c’era il lago. E c’era. Se c’erano Palazzo Civico e Piazza della Riforma. E c’erano. Anche il Parco Ciani, la Foce, il LAC erano tutti lì al loro posto. Ma allora vedi che non è vero - mi sono detto - mica può esserci Lugano e non esserci più Marco. È una settimana che trottolo in giro e ancora mi sembra impossibile che tu non ci sia più.
Quando muore una persona importante, siamo abituati a commemorarla attraverso le testimonianze di chi l’aveva conosciuta da vicino o attraverso ricordi impersonali, sfuggenti. Ad esempio: “La vedevo sempre a fare la spesa”, oppure, “l’ho ascoltata parlare, suonare, cantare…una volta gli ho stretto la mano”. La frase più ricorrente in questi casi è: “Non la conoscevo, ma sembrava una brava persona”.
Questa volta no. Marco ha lasciato in un ognuno di noi almeno un piccolo ricordo personale, solo nostro. Ti abbiamo conosciuto tutti e da giorni tutti sentiamo un bisogno irrefrenabile di restituirti qualcosa, di parlare di te, di dirti che sei stata una persona meravigliosa e che ti vogliamo un mondo di bene.
Ma come è stato possibile questo miracolo civile? Come hai potuto segnare, uno per uno, i cuori di così tanti cittadini? Qual è il misterioso potere con cui riuscivi a magnetizzare attorno a te le persone e i loro sentimenti e che oggi ci riunisce in un unico grande abbraccio?
Per la nostra comunità sei stato un dono. Molti hanno detto che il tuo tratto distintivo era la gentilezza. Quello era il tuo profumo, naturale, femminile, delicato come quello di un fiore. Un profumo che ti precedeva, t’accompagnava e ti lasciavi alle spalle, riempiendo strade, stanze, cuori.
La generosità era la tua virtù principale. Donavi e basta, a chiunque chiedesse. Alla gente hai dato tutto te stesso. Dove una persona comune offriva un saluto, tu regalavi un’attenzione, il calore di uno sguardo, una carezza emotiva. Ogni persona che a te si rivolgeva, in quel momento, la facevi sentire il centro dei tuoi interessi. E poi quel sorriso… quel sorriso pieno di luce che si schioccava su chiunque t’incontrasse e che oggi ci strapazza il cuore.
Si diceva della generosità. Il tempo è l’elemento più prezioso che un essere umano può donare a un altro essere umano, come ci dimostra anche la tragica fine di Marco. E quanto ne hai donato di tempo…
Marco ha costruito un castello d’amore, senza forzieri o mirabolanti ingegnerie, ma solo con l’ausilio di piccoli gesti quotidiani, di una capacità di accoglienza unica, in grado di abbracciare ogni diversità. È una lezione enorme, se ci pensiamo.
Ogni uomo ha un’unità di misura per calcolare la stima e l’affetto di cui si è circondato. L’unità di misura di Marco - lo vediamo qui - è lo stadio. Nel 2007 per contenere tutti suoi elettori ci sarebbe voluto Wembley. Oggi, senza nulla togliere a Cornaredo, per contenerci tutti, qui e a casa, ci vorrebbe almeno un Maracanà.
In migliaia oggi professano un sentimento di amicizia con Marco ed è giusto così. Nessuno però può sentirsi il più vicino, così come nessuno deve sentirsi escluso. Ad alcuni di noi, tuttavia, riservava qualche intervallo di confidenza intima. Provo a dirvi.
Si potrebbe pensare che il politico che ha polverizzato ogni record elettorale, viaggiasse ormai con il pilota automatico di successo in successo, alimentandosi di luce propria. Nulla di più sbagliato. Marco non era e non si sentiva un superuomo. Non ho mai conosciuto nessun politico che chiedesse consiglio quanto Marco Borradori, che coltivasse il dubbio quanto Marco Borradori, che ammettesse gli errori e si scusasse quando sbagliava. Preparava scrupolosamente ogni passaggio importante, affrontava ogni sfida con l’umiltà e l’entusiasmo dell’esordiente. A ciò si aggiungevano una determinazione e una tenacia, queste sì, fuori dal comune, che gli permettevano di focalizzarsi e di raggiungere l’obbiettivo.
Marco era curioso e affamato di vita. Era un uomo rinascimentale, attratto da ogni attività umana capace di produrre conoscenza, innovazione e bellezza. Bellezza, soprattutto. Da qui il suo amore sconfinato per ogni forma di arte e di cultura, soprattutto se potevano diventare un momento popolare, di condivisione con gli altri. Il teatro. I concerti. Le mostre. Le conferenze. I film con il suo amatissimo Festival di Locarno. La lettura era l’unica cosa che giocoforza gli toccava fare da solo e secondo me un po’ gli seccava. Ultimamente era tornato alla carica chiedendomi consiglio su qualche serie televisiva particolarmente meritevole. “Marco guarda che per seguire una serie tv, poi ti tocca stare a casa”. “Ah già… magari un’altra volta allora”.
La coscienza mi impone di non tacere che gli ultimi mesi di vita di Marco Borradori sono stati quelli di un uomo ferito. Qualcuno in questi giorni ha detto che Marco ne aveva vissute tante di battaglie politiche e che l’ultima era solo una di più. Non è vero: questa storia è stata completamente diversa, una storia dove tutti sono andati oltre.
Marco avvertiva come una profonda ingiustizia il fatto che una parte della politica e dei media gli negasse pregiudizialmente la buonafede. Per settimane è stato tratteggiato come un delinquente, un bugiardo, un disonesto. Presunto colpevole, per molti neppure presunto.
Ne soffriva moltissimo. Credeva che in 30 anni di vita pubblica, non negandosi mai a nessuno e assumendosi sempre in prima persona ogni responsabilità, si fosse perlomeno meritato il beneficio del dubbio, di essere creduto fino a prova del contrario.
Questo, sia ben chiaro, non significa che Marco non potesse aver commesso degli errori. Era pronto se del caso a farsene carico e a pagare fino in fondo. Ciò che lo tormentava era questa goccia di veleno quotidiano che offendeva i suoi valori più profondi, il suo sentirsi una persona pulita, onesta e perbene. “Credo proprio di non meritarmelo”, mi ha ripetuto per tutta l’estate.
No, Marco, non te lo meritavi. Tutto questo stadio te lo sta dicendo, ora.
Non dico queste parole per formulare improprie diagnosi, per instillare sciocchi sensi di colpa, e meno che mai per seminare rabbia, risentimento o frustrazione. Marco non lo vorrebbe e non ce lo perdonerebbe. Così come non vorrebbe che questi pensieri fossero strumentalizzati e tramutati in armi contro chicchessia. Dico queste parole per una questione di giustizia e perché possano trasformarsi in occasione di crescita, in una riflessione collettiva (magari per qualcuno un po’ più approfondita) che ci permetta di evolvere umanamente. Lo dico prima di tutto a me stesso, che ho tanto da imparare.
Caro Marco, non ti credere, non mi arrenderò e continuerò a cercarti. Nei progetti e nei sogni che coltivavi per la tua città. Nelle notti di festa e negli aperitivi con il vino buono. Nelle albe, nei tramonti e negli squarci di Lugano che ti piaceva condividere. Nell’onestà intellettuale. Nel coltivare la gentilezza e nel combattere la prepotenza. In un pensiero intelligente. Nel prossimo libro da leggere. In un dipinto che toglie il fiato. Nella poesia che fa venire le farfalle allo stomaco. Tra le note di una canzone o nel finale da brivido di uno spettacolo. E, ne sono certo, ti troverò in tutto ciò che genera bellezza.
Ci vediamo lì (con un quarto d’ora di ritardo, lo so già).
Ciao Marco!