Breve storia di quattro anni di gestione che hanno cambiato il Milan (e forse cambieranno il calcio italiano)
di Andrea Leoni
Il primo merito in un successo calcistico è sempre di chi caccia il grano: i proprietari. Nel caso del Fondo Elliot si tratta di un merito accresciuto, in quanto i padroni del Milan hanno vinto uno scudetto risanando i conti, con la squadra più giovane ad aver vinto il campionato da quando esiste l’era dei 3 punti e imponendo una cultura aziendale sconosciuta ai club italiani. Ciò che nei prossimi giorni permetterà a Elliot di rivendere la società a un altro fondo americano - RedBird - per un miliardo e trecento milioni di euro di fisso, con la possibilità che negli anni diventino 1,8, dopo appena quattro anni di gestione. Un capolavoro sportivo e finanziario.
Non è stato facile, all’inizio, per nessuno. Nel primo anno di gestione, "ereditato" nottetempo il club e senza alcuna esperienza nel Mondo del calcio, Elliot si affida a “vecchi” professionisti del settore. In un paio di mercati Leonardo scialacqua una barca di soldi, senza concludere granché tranne appesantire ulteriormente il bilancio societario. Voleva ottenere subito la qualificazione in Champions League con la scorciatoia del mercato, il dirigente brasiliano, come reclamavano a gran voce tifosi sempre più esasperati dopo la fine crepuscolare dell’epopea berlusconiana e dell’avventura cinese che aveva rischiato di portare il club al dissesto finanziario. Gli va male. Un merito però a Leonardo va riconosciuto: quello di aver riportato Paolo Maldini in società. Da quando aveva smesso di giocare, anno 2009, l’ex capitano attendeva lontano da Milanello la proposta di un posto di lavoro operativo nella direzione sportiva.
Nel frattempo, dicembre 2018, Elliot sceglie il CEO, Ivan Gazidis, e dà la prima impronta forte al progetto. Il dirigente sudafricano inizia a dettare le linee guida dei proprietari, riassumibili in una parola: sostenibilità. L’area sportiva deve andare a braccetto con quella finanziaria. Quindi budget chiari, squadra giovane e basta colpi di testa sul mercato. Si fa con quel che si ha e laddove non si arriva con i soldi ci si prova con le idee. E la prima idea di Gazidis è quella di assumere Geoffrey Moncada dal Monaco - club dove tra gli altri scoprì Mbappé - affidandogli l’area scouting. Del giovane dirigente francese farete fatica a trovare una foto, ma uno dei protagonisti di questo 19esimo scudetto è tutta farina del suo sacco: Pierre Kalulu, acquistato a parametro zero mentre galleggiava tra la prima squadra e la primavera del Lione.
Moncada con la sua squadra, a cui si aggiungeranno altri dirigenti voluti da Gazidis, porta soprattutto al Milan una metodologia moderna. Accanto all’area sportiva cresce l’area dati e le statistiche diventano uno dei criteri determinanti per la scelta dei calciatori. Leonardo se ne va (estate 2019) e Elliot fissa paletti ancora più stringenti nella gestione del club. Per gli acquisti serve l’avallo di Londra, sede europea del Fondo. Per sanare le passate violazioni del Fair Play Finanziario, Gazidis negozia un accordo con l’UEFA che prevede l’onta dell’esclusione di un anno dalle coppe europee. Maldini nel frattempo viene promosso direttore tecnico e chiama al suo fianco un’altra leggenda, Zvonimir Boban. Oltre a Zorro entra nell’area sportiva un dirigente esperto, con tanta gavetta alle spalle e che rifugge dalle luci della ribalta: Ricky Massara. Nel tempo Massara si rivelerà un innesto preziosissimo, oltre che perfetto alter ego di Maldini, abile a lavorare nell’ombra, lasciando il palcoscenico al figlio di Cesare. Una coppia perfetta.
Il nuovo team comincia a lavorare gettando finalmente le basi di un progetto sportivo con delle linee guida chiare (in quella sessione di mercato arrivano tra gli altri Bennacer, Leo, Rebic e Theo Hernandez), ma fa un errore che innescherà nuove polemiche: Marco Giampaolo. Dopo poche giornate l’area sportiva decide di sostituire l’allenatore. Quelli di Elliot non prendono benissimo l’idea di aver un nuovo mister a libro paga e perciò il casting dei papabili si restringe. Alla fine viene scelto Stefano Pioli accolto dalla tifoseria con l’hastag #pioliout. Nel popolo rossonero non c’è disistima verso l’uomo, ma la scelta dell'allenatore parmigiano viene vissuta come un’opzione al ribasso, preludio di una nuova stagione di vacche magre. “Sostenibilità”, non è ancora un concetto assimilato dalla tifoseria. La squadra stenta, la gioventù e l’inesperienza del gruppo si fanno sentire e sul finire dell’anno il Milan incassa una disfatta storica: 5-0 in casa dell’Atalanta. La diagnosi dell’area sportiva è chiara: servono giocatori di esperienza. Elliot concede l’acquisto per sei medi di Ibrahimovich e Kjaer, entrambi senza esborsi per i cartellini. Ma sembra uno di quegli atti fatti di malavoglia per arrivare a fine stagione “e poi tanto ci pensiamo noi”. Un’ultima chances alla dirigenza in carica, senza crederci troppo.
Infatti nel frattempo il Fondo progetta una nuova rivoluzione con alla testa Ralf Ragnick. L’idea è quello di trasporre a Milano il progetto Redbull, già sperimentato con successo sotto la guida del guru tedesco a Lipsia e Salisburgo. Il “piano Ragnick”, a cui Elliot, via Gazidis, intende affidare sia la panchina che la direzione sportiva, viene ovviamente portato avanti all’insaputa di Maldini e Boban. Ma la notizia trapela. Boban sbotta sulla stampa, chiede chiarimenti alla proprietà, criticando il CEO, e viene licenziato. Anche Maldini esterna il proprio disappunto, ma in modo più composto. In ogni caso è chiaro: se arriva Ragnick, lui se ne va. Nel frattempo il Mondo finisce nel congelatore del lockdown provocato dal Covid ed è proprio in quelle settimane di allenamenti in remoto che rinasce il Milan. Alla ripresa del campionato i rossoneri inanellano una serie di vittorie, convincendo anche dal profilo del gioco. Sarà per i risultati, sarà per l’incertezza economica dettata dal Covid, sarà per la cortissima pausa tra le fine del campionato e l’inizio di quello nuovo, fatto sta che Elliot rinuncia alla rivoluzione Ragnick e conferma Pioli (e con lui Maldini e Massara).
Da quel momento in poi il Milan ritrova l’unità a tutti i livelli e con essa la strada verso la vittoria. Maldini e Elliot si sposano a vicenda. L’ex capitano diventa alfiere del verbo della sostenibilità e del metodo voluto dal Fondo, i Singer cominciano a fidarsi di lui e delle sue sempre più brillanti doti dirigenziali. Al termine del campionato il Milan riconquista la Champions League dopo sette stagioni.
Ma è proprio nelle ore successive alla fine del campionato che il Milan comincia a costruire la vittoria dello scudetto, facendo a meno delle prestazioni del portiere numero 99, lasciato libero a parametro zero. Una scelta difficilissima, che in altri periodi avrebbe fatto esplodere la piazza, viene portata avanti con eleganza ma senza tentennamenti da Paolo Maldini in prima persona. Il segnale è chiaro: il club viene prima di tutto e di tutti. Stessa sorte tocca al centrocampista turco che si trasferisce per 500’000 Euro d’ingaggio in più sull’altra sponda del Naviglio.
Agli altri calciatori e all’intera Serie A viene lanciato un segnale fortissimo. Il progetto Milan non deroga ai suoi principi, a costo di perdere i giocatori sulla carta più forti della rosa. Il resto della storia è nota. E non pensiamo di sbagliarci se crediamo che lo scudetto del Milan abbia fatto piacere anche ai proprietari e ai dirigenti di altri club in Italia e in Europa (Inter a parte). Ora un esempio di calcio vincente e sostenibile da imitare, esiste.