L'Associazione per la Protezione del Territorio dai Grandi Predatori: "Siamo di fronte a un bivio: o interveniamo oppure ci arrendiamo"
*Presa di posizione Associazione per la Protezione del Territorio dai Grandi Predatori (APTdaiGP)
La notizia, di cui eravamo a conoscenza sin da subito, ma sulla quale avevamo seguito le raccomandazioni di massima discrezione, è rapidamente trapelata sulle varie testate mediatiche ticinesi e certifica l’ennesima efferata predazione del lupo ai danni di un allevatore della Valle Rovana. Allevatore che aveva già subito due predazioni in primavera e che gode quindi della nostra massima solidarietà.
Predazione che rattrista ancora di più, perché conferma i nostri presagi e i ripetuti allarmi sulla stagione alpestre 2022, diramati in diverse occasioni e soprattutto attraverso la dimostrazione in cui sono stati scaricati 17 animali predati davanti al Palazzo delle Orsoline. Mai come quest’anno la situazione è stata tanto grave da mettere a rischio intere vallate. Da inizio stagione le vittime conteggiate (prima di questa ennesima strage) erano già ben 54.
I mezzi a disposizione per contrastare il massacro in atto nel settore dell'allevamento alpino sono però paragonabili ad un sacchetto di coriandoli per difenderci da una rapina a mano armata. I tempi della politica non sono ormai più compatibili con l’emergenza che stiamo vivendo. Stiamo pagando il prezzo delle inadempienze e delle tergiversazioni delle autorità federali e cantonali che, da quando è arrivato il lupo in Svizzera e in Ticino, invece di dare ascolto alle accorte raccomandazioni degli allevatori e dei loro rappresentanti (gli unici che conoscono davvero la situazione reale del nostro territorio e del nostro allevamento) hanno preferito seguire i voli pindarici degli ambientalisti sfrenati e di coloro che inneggiavano al ritorno del predatore. Nel caso specifico si sono aggiunte le ingiustificabili lungaggini che hanno preceduto l’emissione del decreto di abbattimento del lupo di Cerentino e la sua messa in atto.
In passato si è ampiamente parlato di misure di protezione e lo si è ancora fatto negli ultimi incontri tenuti a Olivone, a Cevio e in occasione del Modem evento della RSI ai Ronchini di Aurigeno. La conclusione ineluttabile è che le misure passive hanno ampiamente dimostrato tutti i loro limiti in termini di costo, di applicabilità e di garanzia. La non applicabilità riguarda almeno il 70% del territorio alpestre ticinese, come rilevato dallo studio pilota di AGRIDEA (pubblicato nel 2017). Questa non-proteggibilità viene spesso contestata ad oltranza da parte dei fautori della diffusione del predatore, ma è un dato di fatto incontrovertibile. Le misure proposte dall'UFAM (inclusi i famosi 5.7 milioni stanziati a sostegno della stagione alpestre 2022) non hanno finora ancora tenuto conto delle esigenze di questa importante realtà territoriale.
Ci troviamo quindi a un bivio: o scegliamo di intervenire immediatamente con misure attive, incisive ed efficaci che possano veramente tutelare la continuità delle nostre attività alpestri; oppure non ci rimane che arrenderci e soccombere di fronte all’avanzata apparentemente inarrestabile dei predatori. L’unica soluzione vera e immediata è un intervento di abbattimento sistematico e preventivo (con cui altri paesi stanno intervenendo d’urgenza) in modo da diminuire il numero di lupi presenti in Svizzera, come già richiesto dal Canton Vallese, iniziando con la prima urgenza nelle zone che includono alpeggi "non ragionevolmente proteggibili con misure passive". L'obiettivo dei tiri letali o di dissuasione dovrebbe essere quello di generare delle vere e proprie zone “off-limits” in maniera che il predatore possa capire che il tempo dei tappeti rossi in suo onore è definitivamente tramontato.
Un ragionamento analogo dovrebbe venire condotto anche per il territorio perimetrale agli abitati, che nei mesi freddi diventa lo scenario di un sempre più sfrontato e temerario avvicinamento dei predatori, a scapito della serenità e della sicurezza delle persone e degli animali domestici. Ogni altra proposta, al momento attuale, ci sembra solo un palliativo per quello che possiamo definire ormai come un malato che sta giungendo allo stadio terminale.
Non vogliamo che il caso della Valle Rovana entri nei libri di storia come una tappa determinante della fine della pastorizia nei pascoli non ragionevolmente proteggibili. Continueremo a batterci con forza affinché questo non avvenga.