La riesportazione di armi verso un Paese in guerra e la neutralità, non possono coesistere
di Andrea Leoni
La guerra in corso da quasi un anno tra Russia e Ucraina, ha insegnato a molti svizzeri che saper stare al Mondo - in questo Mondo globalizzato - è più complesso dell’enunciazione di slogan e di principi. L’insegnamento ci era già stato impartito con la fine del segreto bancario, ma la tragicità e il coinvolgimento emotivo di un conflitto bellico sulla porta di casa, con protagonista una potenza nucleare, rende la lezione ancor più chiara e ruvida.
Ogni buona politica deve ricercare un faticoso equilibrio tra principio di giustizia e principio di realtà (e non sempre è possibile trovare tale equilibrio). Per questo motivo abbiamo sostenuto la decisione del Consiglio Federale di schierarsi dalla parte dell’Ucraina, recependo le sanzioni economiche dell’Unione europea contro la Russia. Non possono esserci dubbi, infatti, sul fatto che la brutale aggressione militare ordinata da Vladimir Putin contro un Paese sovrano, rappresenti una crassa violazione di ogni codicillo del diritto internazionale. A questo proposito, viene da aggiungere, che la ruggente indignazione di una parte dell’opinione pubblica contro gli errori del presidente Zelensky, si trasforma in un pigolio quando l’analisi critica si poggia sullo Zar di Mosca. Dovremmo cercare sempre di ricordare che se da una parte c’è un leader politico che talvolta pecca nei toni e nell’esibizionismo, dall’altra c’è il presidente russo che ogni giorno - da un anno a questa parte - bombarda e perseguita la popolazione civile ucraina, seminando morte, fame, freddo e distruzione. È una differenza enorme che a taluni, incredibilmente, troppo spesso nei giudizi sfugge.
Ma detto del principio di giustizia, c’è il principio di realtà. La Svizzera appartiene al continente europeo e al blocco occidentale. Questa è casa nostra. Un casa dove vigono regole, scritte e non scritte, che impongono ai conviventi una certa condotta e dove gli inquilini, piaccia o non piaccia, non sono tutti uguali. Asserire che possiamo comportarci come ci pare - in una sorta d’indipendenza assoluta, di cui non gode peraltro nessun Paese sulla faccia della Terra - significa solo prendere in giro le persone. La capacità di un Governo, non è quella d’inimicarsi il resto del condominio, con il rischio di farsi isolare o sfrattare, ma quello di saperci stare, mantenendo il più possibile la propria identità e conquistandosi i maggiori spazi di autonomia possibili. A cominciare dalla neutralità.
Ciò premesso, la decisione della Svizzera di recepire le sanzioni contro Mosca, non è un atto né banale né da banalizzare. Rappresenta una svolta, uno stress test per la nostra neutralità. Ed è buona cosa che su un tema così importante ci sarà un passaggio davanti al popolo, grazie all’iniziativa lanciata dall’UDC. Un’iniziativa che, a nostro avviso, ha il peccato originale di legare troppo strette le mani al Paese, in un tempo e in un Mondo che richiedono elasticità. Ed è la stessa identica critica che si poteva muovere alla riforma di Ignazio Cassis, bocciata dal Consiglio Federale, che mirava a una neutralità dinamica, articolata con nuovi vincoli. Invece no, occorre avere le mani libere il più possibile, per poter plasmare una posizione caso per caso e volta per volta, come è stato finora. Questo significa saper stare al Mondo. Ma avremo tempo per discuterne.
Oggi la Svizzera si trova davanti a un altro bivio delicatissimo. La Commissione della politica di sicurezza del Consiglio Nazionale - con una risicata maggioranza di 14 voti a 11 - ha approvato un’iniziativa del PLR che chiede di autorizzare l’esportazione di armi svizzere verso l’Ucraina, da parte di quei Paesi che da noi le avevano acquistate, ad esempio la Danimarca. Anche qui bisogna parlar chiaro: da mesi le pressioni internazionali sulla Svizzera per cancellare questo divieto sono fortissime. Questa volta, però, il passo che ci viene chiesto è troppo grande e occorre dire di “no". La riesportazione di armi verso un Paese in guerra e la neutralità, non possono coesistere, sono principi che si respingono e che spalancano la porta a contraddizioni insostenibili.
Ci sono buoni argomenti per resistere. Innanzitutto abbiamo già dato prova di responsabilità e solidarietà recependo le sanzioni. In secondo luogo non facciamo parte della NATO e, di conseguenza, non partecipiamo alla strategia militare in Ucraina. In terzo luogo, la posizione ibrida della Svizzera, rimane per il futuro una preziosa carta politica a disposizione del Continente, quando giocoforza bisognerà negoziare la fine delle ostilità.
Ogni nazione europea è chiamata a fare la propria parte in questa tragica vicenda, scendendo a patti con i propri principi e la propria storia. La richiesta di Svezia e Finlandia di aderire alla Nato, o la travagliata decisione della Germania sull’invio dei carri armati Leopard, sono esemplari. Nessuno può pensare di non sporcarsi le mani. Ma per ogni Paese esiste un confine - una linea rossa - tra il compromesso e tradire se stessi. La nostra linea rossa sono le armi svizzere, che non devono finire sul suolo ucraino.