"Abbiamo cercato di sostenerlo in ogni modo, con una rete medica, una rete sociale ed una psicologica, ma c'erano grandi difficoltà ad aderire a tutte le forme di aiuto". Ora, a causa del clamore mediatico, si teme il rischio di emulazione
BELLINZONA - La Croce Rossa Svizzera si è occupata del ragazzo che si è tolto la vita al centro asilanti di Cadro. Non ha mai preso posizione sul caso, spiega in una nota, per non creare rischio di emulazione, oltre che per rispetto della famiglia del ragazzo.
Arash era afghano e aveva 22 anni. La CRSS ha scelto di non dire nulla pubblicamente, ma il clamore mediatico suscitato dal triste caso ha fatto cambiare idea. "Nei centri della CRSS, la vicenda e quanto affermato contro l’operato di CRSS, in particolare dall’avvocato Iglio Rezzonico, hanno fatto sì che divenisse appunto effettivo e preoccupante il rischio di emulazione", è il timore. "Le persone, assai vulnerabili, che quotidianamente vengono prese a carico dal personale Croce Rossa rischiano di perdere la fiducia di fronte a una narrazione contraria ai fatti e spesso interessata", fa notare la CRSS.
Viene specificato come si è agito per cercare di aiutare Arash. "Abbiamo preso a carico il ragazzo rapidamente, con empatia e professionalità (non è stato affatto lasciato da solo, senza alcun sostegno, isolato) cercando di sostenerlo in ogni modo, con l’attivazione di una rete medica, di una rete sociale e di una rete psicologica. La sua grande difficoltà ad aderire a tutte le forme di aiuto messe in campo non ha fatto mai desistere CRSS né con lui né, peraltro, con nessun ospite dei centri che abbia manifestato disagio. CRSS non intende tornare sul caso specifico, perché trova l’accanimento attuale non rispettoso della sua memoria e neppure della famiglia, provata da un lutto che viene amplificato dall’eco mediatica e da qualche strumentalizzazione di troppo"