CRONACA
"L'impatto devastante del lupo sull'ecosistema alpino"
Il Federalista ha intervistato Vittoria Riboni, presidente dell’Ente di gestione aree protette dell’Ossola che spiega i danni ecologici ed economici del predatore

di Luca Robertini - contributo de ilFederalista.ch

Il lupo, l’uomo e la biodiversità

“Agevolare il ritorno del lupo nella regione alpina è necessario a favorire la biodiversità sulle nostre montagne”. Questo è certamente l’assunto principale che, negli ultimi cinquant’anni, ha indotto molti Paesi europei a favore il ritorno del grande predatore alle nostre latitudini. Ma è davvero così? Sono veramente così importanti per i nostri territori i benefici portati dal lupo? È più che perplessa Vittoria Riboni, ingegnere, ricercatrice presso il polo regionale comasco del Politecnico di Milano e presidente dell’Ente di gestione aree protette dell’Ossola. Per il parco naturale che gestisce -ci spiega subito- l’impatto del suo ritorno sarebbe “devastante”.

La questione ci interessa perché anche in Svizzera, come tutti sanno, il tema “lupo” è particolarmente caldo. Su suolo elvetico si contavano meno di dieci esemplari fino al 2009, circa 50 esemplari nel 2018, 150 nel 2021, e addirittura 300 ad inizio dicembre 2023. La popolazione di questo canide, che ha subito pochissimi abbattimenti, registra dunque una crescita esponenziale -si veda l’impressionante grafico che segue-, ed è perciò necessario capire come gestirla.

Un ecosistema senza grandi predatori

Un ecosistema è costituito da una o più comunità di organismi viventi e da elementi non viventi che interagiscono tra loro in un equilibrio dinamico. Laddove un ecosistema non prevede la presenza di una specie, occorre considerare che la sua introduzione (o in questo caso l’agevolazione del suo ritorno) avrà come conseguenza la rottura, almeno iniziale, di questo equilibrio. Occorre dunque chiedersi se il ritorno del lupo porti -o stia portando- danni o benefici all’equilibrio dell’ecosistema alpino attuale.

Valeria Riboni ci aiuta a delineare il quadro: “Le Alpi sono un territorio culturale, nel senso che sono state cesellate, scolpite, plasmate dall’uomo, quindi l’ambiente alpino ha una forte connotazione antropica, proprio perché l’uomo a suo tempo ha eradicato gli animali che erano incompatibili con la presenza umana. Di conseguenza il sistema aveva, fino a quando si è deciso di agevolare il ritorno del lupo, un suo equilibrio storico”.

Un equilibrio alpino, dunque, che si è creato in assenza dei grandi predatori. Continua l’ingegnere: “Se noi guardiamo la storia, sulle Alpi il lupo è stato estinto per più di un secolo”, ci dice, “la sola cartografia della presenza storica del lupo in Europa mostra che di fatto c’è un’incompatibilità di fondo tra la presenza di questo animale e il mondo rurale e in generale con la presenza dell’uomo”.

L’impatto ambientale del lupo

In che modo, dunque, favorire il ritorno del canide sarebbe nocivo per l’attuale ecosistema alpino? “Il primo danno ecologico è dovuto a un danno economico, ovvero all’impatto che il ritorno del lupo ha sulle aziende. Molte piccole aziende non hanno i mezzi finanziari e le risorse per attuare le misure anti lupo e, non potendo più inalpare, abbandonano i pascoli, smettendo così di curare il paesaggio”.

L’abbandono degli alpi, ci dettaglia la ricercatrice, “comporta il degradare della biodiversità floreale e animale dei pascoli. L’attività di pascolo porta infatti, grazie allo sterco degli animali, a un aumento del numero di specie di fiori ed erbe, che a sua volta porta all’aumento di specie di insetti. Un maggior numero di insetti favorisce la presenza di piccoli animali che se ne nutrono, come anfibi, uccelli e pipistrelli; a loro volta cibo per altri predatori più grossi”.

Quella di Riboni, dunque, non è una crociata ideologica contro il lupo, bensì un appello alla “necessità di approfondire l’effettivo impatto sull’ecosistema provocato dall’assenza di pascolamento che la sua presenza comporta”. Dunque l’idea che favorire il ritorno del lupo sarebbe un bene per il nostro ecosistema è campata in aria?

“Diciamo che alla base c’è un ragionamento abbastanza logico, basato però su studi non compatibili con il nostro territorio. Dobbiamo sempre localizzare dove siamo”. Il beneficio della presenza dei grandi predatori è infatti un fatto studiato ma, come puntualizza Riboni, è stato studiato nei parchi americani, come Yellowstone. Ma Yellowstone è una zona pianeggiante, e soprattutto senza l’uomo. L’interazione del grande predatore avviene lì con la fauna selvatica e quindi si generano degli equilibri. È una situazione diversa. È stato fatto un indebito riporto da quella realtà al contesto alpino”. In sostanza, “non è veramente provato che in una realtà come la nostra, dove c’è un ecosistema che è legato all’attività zootecnica, la presenza del lupo migliori l’ecosistema”.

Razze ovine a rischio

Oltre ai problemi che derivano dall’abbandono dei pascoli, ci sono altre possibili conseguenze ambientali devastanti. A rischio, per esempio, la sopravvivenza di razze ovine rare. “Esistono tantissime varietà di ovini rare, alcune antichissime. Si pensi che i primi allevamenti risalgono a 11’000 anni fa, e tante specie hanno attraversato i millenni fino a noi. Il problema è che molte tra queste varietà sono particolarmente selvatiche, non possono stare né in stalla né tanto meno dentro i recinti, di conseguenza sono le razze che stanno scomparendo più rapidamente”. Si tratta di una perdita disastrosa, perché “queste razze hanno patrimoni genetici diversi tra di loro. Tale diversità è un valore importantissimo perché dalle razze più antiche si selezionano poi gli animali di oggi, che sono anche più produttivi”. Occorre dunque essere vigili poiché, se avviene la loro scomparsa “si tratta di una perdita che è per sempre”. In Svizzera è nota l’importanza della conservazione di tali razze: per gli allevatori che si impegnano ad allevare razze come la Verzasca o la Vallesana che sono antichissime, ad esempio, sono previsti contributi statali.

Solo l’uomo sa regolare

L’idea di lasciare che il lupo ritornasse, dunque, è forse stata una scelta un po’ avventata. Ma non esiste, almeno teoricamente, qualche beneficio che il grande predatore potrebbe portare? Spesso citato è quello di regolatore della selvaggina? “Il ruolo di regolazione sì, c’è, nel senso che il lupo preda gli animali selvatici. Sul fatto che poi riesca a regolarli ai livelli necessari all’equilibrio dell’ecosistema ho i miei dubbi. Io sono dell’idea che l’unico animale che può regolare l’ecosistema è l’uomo, attraverso la caccia”. Che il lupo regoli, insomma, sembra essere un’altra mezza verità: “L’effetto di regolazione è stato anche quello studiato in America, in questi parchi completamente disabitati. Giustamente, essendo un animale al vertice della catena alimentare, in quei luoghi fa il suo lavoro. Non è detto però che riesca davvero a mitigare gli squilibri che ha l’ecosistema. Il lupo è stato considerato un po’; alla stregua di una specie di bacchetta magica che arriva e mette a posto tutto quello che l’ecosistema avrebbe bisogno per una migliore biodiversità: in realtà quella bacchetta magica non c’è, sicuramente fa il suo lavoro ma non è detto che questo lavoro possa bastare da solo, serve comunque sempre la presenza dell’uomo.

Quale sarebbe dunque una soluzione? “Penso sia ormai provato che la convivenza in commistione non funziona. Siamo arrivati anche oggi a concludere quello che concludevano i nostri avi, ovvero che in certi posti i lupi non ci possono stare.” Dovremmo dunque abbracciare l’idea dell’estinzione del lupo? “Certamente no, se si va a vedere nei territori dell’Unione Europea ci sono delle vaste zone completamente disabitate, quindi sicuramente sono delle zone dove tutti gli animali possono stare perché non c’è interazione con le attività antropiche”, conclude Riboni.

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