E su Filippo Lombardi: "Ti basta vederlo, guardare come tutti gli altri gli girano attorno ossequiosi, e capisci che è lui l’uomo che conta più di tutti"
“Basta arrivare alla dogana di Como Brogeda, e poi salire ancora per 100 km giusti. Fino all’estremo lembo di lingua italiana, gli ultimi paesini prima del Gottardo. Dall’altra parte della montagna e fino al Baltico è mondo germanico. Lì invece, e solo lì, da sessant’anni va su ghiaccio un rito che è una favola, romantica e surreale. Molto oltre l’hockey, molto oltre lo sport. È Il Derby del Ticino. È Ambrì Piotta-Lugano”.
È l’attacco del bombastico e splendido mega-reportage dal titolo “Avete mai visto gli svizzeri inneggiare a Che Guevara?” che la Gazzetta dello sport dedica oggi al derby ticinese. Nella sezione a pagamento, perché è davvero un gioellino di giornalismo sportivo, e non solo sportivo.
“Pastori e fighetti” è il titolo del paragrafo seguente, dove il giornalista Mario Salvini spiega che “Ambrì e Piotta sono due villaggi, non fanno nemmeno comune, quello di riferimento si chiama Quinto. Insieme, tanto sono praticamente uniti, Ambrì e Piotta non arrivano a 1000 abitanti. Eppure hanno una squadra che da una settantina d’anni è quasi ininterrottamente nell’elite dell’hockey svizzero. Per capirci: gioca contro lo Zurigo, il Servette di Ginevra, il Berna. Per decenni lo ha fatto in una pista che si chiamava Valascia e che tutti in valle amavano come una specie di seconda madre, persino quando non aveva ancora il tetto e sui gradoni si gelava. Ora la casa della squadra è la Gottardo Arena”.
L’Ambrì, prosegue Salvini, “negli anni è diventato un simbolo della valle, della Leventina, di tutto il Cantone che non è Lugano, dunque di chi vive a Biasca, a Bellinzona, a Locarno (…). Un paio di settimane fa si è disputato l’ultimo derby di stagione e al tempo stesso il primo nell’anno del sessantesimo anniversario. La replica numero 253. L’abbiamo seguita, scegliendo per forza di cose il punto di vista dell’Ambrì, cioè quello che più dell’altro racconta l’eccezionalità”.
Il racconto prosegue: “Prima di entrare alla Gottardo Arena tocca per forza andare a “La Montanara”, osteria-pizzeria-covo. A occhio il solo punto di aggregazione. Dal nome scelto non a caso, come vedremo. Sono le 17.30 circa e tutti quelli seduti mangiano. Nel senso che stanno cenando. Poi li senti parlare e capisci: praticamente tutti vengono dalla “Svizzera interna”, come dicono lì. Dai cantoni di lingua tedesca. Tu parti da Milano affascinato dal fatto che questo ti sembra il più estremo dei derby di lingua italiana, e scopri che in tanti l’italiano non lo sanno proprio. L’ambiente però è straordinario”.
Poi il giornalista entra nell’Arena, dove “è tutto un luccichio. C’è il ristorante per quelli che han comprato i biglietti più costosi, s’immagina. Roba raffinata. Le portate arrivano poi anche alle tribune personalizzate dagli sponsor. Il negozio del merchandising fa più America che Italia. I bar sono lindi. La tribuna stampa spaziosa. Ma son dettagli: la tua attenzione è tutta per la curva. Che un’ora prima dell’inizio comincia a riempirsi. Per quello che è diventato l’evento culturale più importante del Canton Ticino”.
E incontra Filippo Lombardi… “Ti basta vederlo, guardare come tutti gli altri gli girano attorno ossequiosi, e capisci che è lui l’uomo che conta più di tutti. Da 15 anni è presidente dell’HCAP, Hockey Club Ambrì Piotta. “L’evento culturale più importante del Cantone”, dice. Nel senso che da un bel po’ ha travalicato lo sport, le classifiche, gli albi d’oro. In quei tre tempi di venti minuti ciascuno più eventuale OverTime si incrociano sul ghiaccio e in tribuna tutte le anime del Ticino. La città contro la montagna, certamente. La tradizione di chi si sente duro e puro contro quelli che quassù sono inevitabilmente avvertiti come fighetti. I vaqueros, i pastori, come invece sono chiamati sui social quelli dell’Ambrì dai luganesi, contro la città delle banche, una delle più ricche della Confederazione e di tutt’Europa”.
L’intervista volante a Lombardi continua così: “Il mio derby più bello è stato il 10 settembre 2009 – racconta – non solo era il mio primo derby, ma proprio la mia prima partita da presidente in assoluto. Siamo andati sotto 0-3 e poi abbiamo vinto noi, 5-3. Ma ogni volta è una storia straordinaria”.
Seguono altri dettagli, sulle vittorie e le sconfitte delle due squadre rivali… Con il Lugano nettamente avanti nel palmares, ovviamente.
A questo punto il giornalista racconta la curva: “Centinaia di ragazzi e ragazze – di spirito, ché non tutti son poi così giovani – urlano, cantano, si sbracciano. Sventolano bandiere e innalzano simboli che in Svizzera non ti aspetteresti. C’è il capo indiano Geronimo, emblema di ribellione, di orgoglio territoriale ferito. C’è Che Guevara, e già la vicenda si fa più complicata. Tanto più se di fianco ha il Sub-Comandante Marcos e un paio di arcobaleni. La curva dell’Ambrì è una curva di sinistra”.
Interviste a protagonisti, brevi frasi, battute… Il reportage di Gazzetta prosegue con considerazioni tra sport, politica e società: “Quella dell’Ambrì è una storia di resistenza, su questo non c’è dubbio. Sportiva e inevitabilmente non solo. Che sbeffeggia gli stereotipi sulla Svizzera. E, almeno in quanto a iconografia, ribalta la politica”.
Poi la cronaca della partita: “A quaranta secondi dai rigori Michael Spacek trova il 2-1 che scatena l’Arena. Ed è in un istante così, e poi nei minuti immediatamente successivi, che capisci cos’è, davvero, per quella gente, vincere il derby. Per i tifosi, ovviamente. Ma anche per i giocatori. I ticinesi, che magari son cresciuti in curva, ed è normale. Ma la sensazione è che sia lo stesso per i canadesi, i finlandesi, gli svedesi, gli italiani (ce ne sono 4, compreso il talentuoso Tommaso De Luca, classe 2004, che ha scelto la nostra Nazionale), per il ceco Spacek, ultimamente un bel po’ criticato eppure eroe della serata. Tutti evidentemente con la consapevolezza di non fare solo parte di una squadra. Ma di essere in una comunità, in una storia sportiva unica”.
Si chiude con La Montanara: “E sembra You’ll Never Walk Alone. Più ruspante, e proprio per questo ancor più da brividi. “Cantiam la Montanara per chi non la sa”. Per la squadra. Per la comunità. Per sbeffeggiare gli avversari”.
E il gran finale, con un colpo d’occhio sulla pista: “In mezzo al ghiaccio Dominic Zwerger, austriaco, dal 2017 all’HCAP, s’è fatto passare il bandierone con su Geronimo. Che Guevara sembrava male, forse, il presidente non avrebbe avuto piacere, ma è solo una supposizione. Lo sventola. Poi batte le mani a ritmo crescente. I suoi compagni lo imitano picchiando i bastoni sul ghiaccio. L’Arena gli risponde in un crescendo che diventa ruggito, e poi boato. E infine tutti sotto la curva. Senza fermarsi. Nel senso che gli uomini dell’Ambrì vanno a sbattere contro la balaustra in plexiglass. Ché solo così dev’esser considerato un vero abbraccio”.