Dopo il caso Novartis: "Gli stipendi dei CEO americani hanno spinto al rialzo anche quelli degli amministratori delegati delle aziende svizzere”
Dito puntato da parte di alcuni azionisti di Novartis contro lo stipendio del CEO. Vas Narasimhan, 47 anni, guadagna oltre 19 milioni all’anno, poco contro i 70 del suo predecessore Daniel Vasella. Ma all’assemblea svoltasi ieri alla St. Jakobshalle a Basilea molti hanno storto il naso.
"Purtroppo assistiamo a un ritorno a un livello di remunerazione troppo elevato - ha detto Vincent Kaufmann, direttore della fondazione d'investimento Ethos, all'assemblea generale di Novartis -. Dobbiamo imparare dagli errori del passato. Un compenso eccessivo può indurre il management ad assumersi rischi eccessivi solo per il bene del proprio compenso”.
Il caso ha riacceso i riflettori su un tema ampiamente dibattuto a livello politico, che va ben oltre l’assemblea della multinazionale Novartis.
Top manager troppo pagati? La parola al collega Alfonso Tuor.
“Non c’è dubbio sul fatto che i salari dei top manager siano inaccettabili. Si è creato un meccanismo perverso con gli stipendi dei CEO americani che hanno spinto al rialzo anche quelli degli amministratori delegati delle aziende svizzere”.
Ma molti sostengono che questi salari sono necessari per rimanere concorrenziali con le altre grandi multinazionali. Insomma, se vuoi i migliori devi strapagarli. È così?
Il principio è sbagliato, ma il meccanismo perverso che ha portato all’esplosione di questi stipendi esiste ed è difficilmente correggibile. Non si può ragionare in una logica di bianco o nero. In Svizzera come nel resto dell’Occidente si è creata una cultura aziendale secondo la quale tutto dipende dal CEO. Ma la salute di un’azienda è legata anche alla solidità della sua struttura e alla qualità dei quadri intermedi. Questa è la vera stortura che hanno creato. Detto questo, però, l’amministratore delegato ha un ruolo determinante per quanto riguarda l’immagine, aspetto fondamentale, e soprattutto per quanto concerne la strategia di espansione, dove ha sempre l’ultima parola. Nei mercati come la farmaceutica le multinazionali mirano ad espandersi non tanto sviluppando nuovi prodotti, quanto acquisendo sul mercato società che stanno sviluppando medicinali potenzialmente di successo. E su questo le scelte del CEO sono decisive.
Alfonso, secondo te ha pesato in qualche modo il tema dei salari dei top manager sul voto di domenica sulla 13esima AVS?
Il patto sociale in svizzera è rotto, non c’è dubbio. Con questi meccanismi neoliberisti abbiamo spaccato la coesione sociale nei sistemi occidentali. E hanno capito tutti che siamo in mano a una classe politica-dirigente che è schiava di questo modo di pensare, e probabilmente anche corrotta. Se non cambiamo questa classe politica-dirigente non cambierà nulla.
C’è chi sostiene che i salari dei top manager non dovrebbero essere decisi annualmente ma su un periodo medio-lungo, diciamo cinque anni. Proprio per valutare meglio il lavoro svolto e per evitare che un compenso eccessivo induca il management ad assumersi rischi eccessivi solo per il bene del proprio portafoglio.
Sono totalmente d’accordo. Infatti, ci sono aziende che vincolano la possibilità per i top manager di monetizzare le azioni dell’azienda che dirigono solo dopo cinque anni. Questo permette di “pesare” meglio i risultati conseguiti. Gonfiare gli utili per un solo anno è un gioco da ragazzi, saprei farlo anch’io.
Siccome le banche svizzere, quando saltano per aria, vengono salvate dallo Stato, è giusto che i contribuenti, attraverso le istituzioni, possano dire la loro sui compensi del management. Lo ha detto una professoressa di economia dell’università di San Gallo.
Sulla carta ha perfettamente ragione, ma è un’idea impossibile da applicare.
Ma quindi come limitare questi salari astronomici dei capitani d’industria in Svizzera?
Più potere alle assemblee degli azionisti, ma non è sufficiente. Passatemi la battuta, bisognerebbe fare la rivoluzione.