Un insegnante del liceo di Locarno sulLa Regione: "Si sta producendo un discorso ambiguo e fumoso che finisce per deresponsabilizzare tutti quanti (tanto è colpa della società)"
di Yari Moro*
Con queste righe voglio dire la mia su quanto accaduto lunedì scorso alla Scuola Cantonale di Commercio. Come tutti sanno una docente è stata minacciata con una pistola – che fosse finta non ha alcuna rilevanza perché l’insegnante non lo poteva sapere – da un quindicenne, con tanto di complice sedicenne incaricato di nascondere l’arma. Come leggere quanto accaduto? È difficile scegliere una pista.
Ad esempio potremmo osservare che una donna è stata minacciata da due allievi maschi, e allora ci toccherebbe occuparci anche di lei, cioè della vittima, la cui sofferenza (attuale e concreta) sembra preoccupare poca gente. Altri si sono invece interrogati sulla responsabilità di “noi adulti”, non solo insegnanti ma eventualmente anche genitori ecc.; il messaggio in filigrana – accolto con entusiasmo dai media (vedi sito della RSI) – è questo: noi adulti abbiamo fallito, che è come dire che è colpa nostra. Ma da dove nasce, mi chiedo io, questa vocazione autopunitiva? Forse che ci sentiamo in colpa? E ancora mi chiedo: perché la retorica del fallimento (parola-chiave di un certo dibattito) ha avuto tanta risonanza? Perché così, a mio avviso, si sposta il problema. Assolvendo tra l’altro i due ragazzini, dando un’ulteriore mazzata alla scuola, che non chiedeva altro, e guarda caso producendo un discorso ambiguo e fumoso che finisce per deresponsabilizzare tutti quanti (tanto è colpa della società) e non fa che aggravare il disorientamento dei giovani, che chiedono risposte (non teorie).
Voglio dire, in questo momento è davvero così urgente riflettere sul disagio giovanile? Secondo me no, almeno non in questi ultimi affannosi giorni di scuola. Prioritario sarebbe piuttosto occuparsi del disagio di un’insegnante che ha il terrore di tornare in aula; oppure del disagio di tutti quanti i docenti cui spetta, in questo delicato periodo dell’anno, il compito di comunicare il voto finale a giovani incapaci – per motivi che sarebbe bello indagare, questo sì – di gestire la frustrazione; o più semplicemente sarebbe bello dimostrarsi davvero adulti anche solo dicendo ai nostri studenti che presentarsi a scuola con un’arma è sbagliato.
*insegnante al Liceo di Locarno - Lettera pubblicata sull'edizione odierna della Regione