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03.10.2024 - 16:390

Lettera di una ragazza stuprata: “Prima ti esortano a denunciare, poi ti abbandonano”

La dura critica di Conchi Granero al sistema giudiziario spagnolo: “Ti lascia nuda davanti ai lupi feroci che ti fanno sentire ancor più terrorizzata. Devi difenderti anche da tutti coloro che si fregiano dell’appellativo di tutori della giustizia”

Conchi Granero è una giovane spagnola stuprata nel 2020. Nella lettera pubblicata da 27esimaora.corriere.it, che riprendiamo integralmente qui di seguito, la donna critica aspramente il sistema giudiziario del suo Paese, accusandolo di averla di fatto lasciata a se stessa durante un percorso così difficile e delicato come quello di una denuncia di violenza sessuale. L’autore dello stupro è stato condannato a soli due anni di carcere e a un risarcimento di 8500 euro. “Il sistema ti lascia nuda davanti ai lupi feroci che ti fanno sentire ancor più terrorizzata - scrive Granero -, senza offrirti nessun tipo di sostegno. Devi badare a te stessa, da sola, e difenderti anche da tutti coloro che dalla loro posizione privilegiata si fregiano dell’appellativo di tutori della giustizia”.

 

di Conchi Granero

Sento il bisogno di scrivere una lettera a persone come te, perché è la forma migliore che mi consente di esprimermi, e aprirmi, senza timore di bloccarmi. Mi reputo fortunata di essere riuscita a finirla, grazie a te. Sono sincera quando dico che la prima volta davanti ai giudici mi sentivo piuttosto preoccupata, e anche spaventata, perché il procedimento era stato per me talmente traumatico che mi angosciava il solo pensiero di essere difesa da qualcuno che potesse nutrire un atteggiamento ostile o distaccato nei miei confronti.

E invece, sono stata accolta da qualcuno che mi ha fatto sentire compresa, accompagnata, protetta, accudita e, soprattutto, creduta. Non so come andrà a finire questa vicenda, ma indipendentemente dal risultato ti ringrazio di aver fatto tutto il possibile, questo è più che sufficiente. In fin dei conti, non dipende da me né da te, ma da tutti coloro che stanno al di sopra degli sforzi compiuti in questa lotta.

Dichiaro che in nessun caso mi feliciterò di aver vinto, perché ho perso tutto, quando mi hanno derubato di quella vita che oggi sto cercando di ricostruire chiamando a raccolta tutte le mie energie e il mio impegno. Ho lottato a lungo per superare il trauma e ritrovare la voglia di vivere, e non permetterò a nessuno di appropriarsi della mia vita, né della mia voce.

Mi auguro che si possa capire perché ho deciso di andare fino in fondo, e so che con molta probabilità la sentenza sarà a mio favore, ma qui non si tratta di vincere o di perdere, né si tratta di denaro, perché i soldi non importano quando ti senti morta nell’anima.

Questo significherebbe dare a lui la possibilità di controllare le mie decisioni, il mio passato e il mio futuro, e per chiudere questo cerchio avverto il bisogno di farlo in questa forma. So benissimo qual è la posta in gioco, ma quando inizi la lettura di un libro non sai mai che cosa succederà nei capitoli successivi, e così è la vita. Forse non sarò d’accordo con la sentenza, ma sarò in pace con me stessa, ed è questa la sola cosa che mi importa.

Ciò che conta in questo momento è sapere che ho avuto il coraggio di denunciare e di parlare, e che mai resterò con il dubbio su cosa sarebbe successo in caso contrario, anche se in fin dei conti non mi faccio illusioni sul sistema giudiziario. Non mi sono mai sentita vittima, non perché oggettivamente non lo fossi, ma perché sarebbe incoerente e ipocrita non considerarmi tale in riferimento a quanto accaduto nel febbraio del 2020. Tuttavia, non amo utilizzare questo termine perché mi fa male, mi fa sentire vulnerabile ed equivale a una condanna alla resa.

Sono molto di più di una ragazza che si è trovata nel posto sbagliato al momento sbagliato, o forse anche no. Credo nel destino, che mi aiuta a superare tutto questo, senza chiedermi incessantemente “perché proprio a me”, altrimenti così ricomincerei a vittimizzarmi all’infinito. Tempo fa ho scoperto una frase che mi ha aiutato in molte occasioni a sopire il dolore, e recita: “Oggi ho deciso di perdonarti. Non l’ho fatto perché mi hai chiesto scusa, né perché hai riconosciuto il male che mi hai fatto, ma solo perché la mia anima vuole vivere in pace.”

Non mi importa di essere giudicata o che si dubiti della mia sincerità. Ho imparato che non si possono forzare le decisioni e che non dipende da te quello che gli altri decreteranno: l’unica cosa che ti resta è come reagire, e se permettere che il risultato ti ferisca.

Oggi non mi preoccupo più, come facevo fino a poco tempo fa, del giudizio di una persona con la toga – che non conosco, e che soprattutto non mi conosce – su ciò che è vero e su quello che mi merito. Solo la mia verità mi sta a cuore, e ciò che sento. Non ho bisogno dell’approvazione di nessuno, né di fare salti mortali per convincere gli altri, perché le persone che devono credermi già lo fanno e già mi sostengono. Non ne ho bisogno perché altrimenti nessuno mi aiuterà, anche se, in realtà, quelli che avrebbero dovuto farlo, per la mia condizione di vittima presunta, mi hanno lasciato sola.

Nessuno può immaginare quanto sia difficile e doloroso entrare in un ospedale psichiatrico per proteggerti da te stessa, per impedirti di farti del male, e che proprio in questo luogo sicuro ti uccideranno emotivamente. Hai solo vent’anni, sei sola, hai fiducia, e ti rubano la vita. E ancora, ti fanno credere che la cosa migliore è raccontare tutto, è la sola via etica per proteggere le altre donne da questo crimine, e poi ti abbandonano a te stessa.

Il sistema ti lascia nuda davanti ai lupi feroci che ti fanno sentire ancor più terrorizzata, senza offrirti nessun tipo di sostegno. Devi badare a te stessa, da sola, e difenderti anche da tutti coloro che dalla loro posizione privilegiata si fregiano dell’appellativo di tutori della giustizia.

Provo tristezza quando rivedo quella ragazza smarrita, distrutta e sola. Provo tristezza quando penso a quante altre si sono sentite, si sentono e si sentiranno così. Provo tristezza quando tutti immaginano che tu sappia difenderti dal tuo aggressore nel momento in cui ti ritrovi più vulnerabile e svantaggiata, impietrita dalla paura, e non sei capace di reagire come avresti dovuto, a dire di tanti, e se ti difendi forse non potrai mai presentarti davanti a un tribunale perché probabilmente ti avranno ammazzata.

Provo tristezza quando sento dire che è colpa tua, perché ti sei esposta al rischio, l’hai provocato con il tuo abbigliamento, non sei stata prudente, non hai saputo reagire, hai sorriso, sei stata cordiale, sei giovane e bella, e hai detto che non volevi, però è chiaro che “no” non basta. Non basta nulla, quando vivi in una società marcia e destinata al fallimento.

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