Riflessioni sulla cacciata dei giudici Siro Quadri e Francesca Verda Chiocchetti e sul caos che ha investito la giustizia ticinese
di Andrea Leoni
Un ideale viaggio nel tempo, per una gita collettiva nel Tempio di Delfi, sarebbe stata utile ai protagonisti, politici e magistrati, del caos che ha investito la giustizia ticinese. Nel santuario di Apollo avrebbero potuto leggere le massime di sapienza, ispirando il loro agire. “La certezza porta rovina” oppure “conosci te stesso”, invito ad individuare i propri limiti e a non oltrepassarli. Oppure la mia preferita, “nulla di troppo”, balsamo di misura e antidoto ad ogni esagerazione per non sconfinare nella hybris.
Nella triste vicenda andata in scena al Tribunale penale cantonale, invece, tutto è stato di troppo. Lo sono stati i meme di Mauro Ermani, la sua reiterata disinvoltura nei comportamenti e nell’uso del telefonino, così come le censure e i killeraggi mediatici che ha dovuto subire il capo dei giudici. Troppo vaga è stata la gestione del suo ufficio e della bega di segretariato. Troppo grande, forse, l’accusa di mobbing, ma altrettanto grande, troppo, il lassismo verso comportamenti comunque scorretti o inadeguati per luogo e funzione. Troppo lungo il tempo in cui si è deciso di non decidere.
E poi troppa nebbia, troppa segretezza, su alcuni passaggi e documenti chiave della vicenda, come il rapporto Galliani, che invece meritano la luce della trasparenza, la sola in grado di trasmettere fiducia e autorevolezza a una cittadinanza incredula e sconfortata.
Troppa agitazione, troppa foga e troppo interventismo, da parte della Commissione giustizia e diritti. Troppa voglia di anticipare i fatti, senza conoscerli tutti. Troppe parole anche da parte del Direttore del Dipartimento istituzioni, troppe invasioni di campo e troppe profezie per non alimentare cattivi pensieri su inopportune commistioni.
Troppo grave la sanzione verso i due giudici defenestrati con disonore, a dieci giorni da Natale, in un apogeo d’insensibilità che impietrisce i decisori. Troppo grave la pena, almeno per la motivazione. Una sentenza alle intenzioni, troppo criptica per essere accolta senza una solida spiegazione. Un castigo troppo severo innescato da una segnalazione per pornografia, quella dei due giudici, troppo spregiudicata.
Troppo incompleta, infine, la decisione del Consiglio della magistratura. Spacchettare il caso, colpendo due protagonisti e lasciando sub judice il terzo, magari per consentirgli l’ultima occasione per una via d’uscita onorevole, lascia spazio a sospetti di parzialità. Bastava poco, un po’ di saggezza, per una decisione complessiva. Ma qui nessuno è stato a Delfi e questa è la storia del tutto di troppo.