Intervista al professor Alberto Prestininzi a cura di Claudio Mésoniat per il Federalista
Quale dialogo? Se è difficile negare che sul clima domini nel discorso pubblico una versione ‘ufficiale’, supportata dai grandi organismi dell’ONU, è ancor più difficile tentare un confronto civile tra esponenti della comunità scientifica che hanno maturato visioni diverse senza che volino torte in faccia, stile accuse di complotti da una parte e marchiature di negazionismo dall’altra.
Oggi il Federalista intervista uno studioso che, dati alla mano, cerca di portare una lettura non allarmista del fenomeno ‘riscaldamento globale’. È autore, con altri 15 studiosi, di un recente volume sull’argomento. Sono tesi che volentieri sottoponiamo alla discussione, in particolare con chi avesse buoni motivi per contraddirle. E Berlusconi, la cui scomparsa è sulla bocca di tutti e domani farà l’apertura di tutti i giornali? Un uomo divisivo, Silvio Berlusconi, che tra successi e traversie ha occupato a lungo la vita politica, economica, massmediatica, sportiva, italiana ed europea. Ci sarà tempo per parlarne, senza rendere troppo faticosa la lettura di questa edizione.
“Se esci di casa e piove, prendi l’ombrello, non tenti di eliminare la pioggia”. Forse questo proverbio, estratto dall’intervista che vi proponiamo oggi, può aiutare a cogliere il punto di vista di numerosi e validi scienziati (tra i quali alcuni premi Nobel) esperti nelle varie discipline che concorrono a formare la scienza del clima. Studiosi secondo i quali si vorrebbe erroneamente far credere all’uomo di essere un Prometeo in grado di modificare i cambiamenti climatici, proprio perché al tempo stesso lo si accusa di averne provocato una deriva pericolosa tramite le emissioni carboniche dovute alle proprie attività.
Cavallo di battaglia invece -quest’ultima tesi che attribuisce alle “cause antropiche” un’incidenza decisiva sui mutamenti climatici - dell’”altra metà” della comunità scientifica, oggi dominante, non solo perché considerata assai più numerosa ma soprattutto perché affermatasi come scuola di riferimento all’interno dei consessi internazionali facenti capo alle Nazioni Unite, all’Unione europea nonché alla maggioranza degli Stati che la compongono o che vi fanno riferimento, come la stessa Svizzera. Scuola dominante, come tutti noi costatiamo quotidianamente nel flusso mediatico, fino al punto da piegare gli algoritmi che orientano i motori di ricerca della rete.
Iniziamo oggi con l’intervista al professor Alberto Prestininzi, ordinario di geologia applicata presso l’Università La Sapienza di Roma, un percorso che ci auguriamo partecipato e fecondo. Quale percorso, e perché? Perché non proporre semplicemente una tesi, parteggiando per l’una o per l’altra? Perché abbiamo l’impressione che ormai da anni si sia inceppata ogni forma di dialogo tra le due scuole, non solo sui media, ma prima di tutto nelle aule universitarie e nei consessi internazionali che prendono decisioni capitali per lo sviluppo scientifico- tecnologico ed economico dell’intera umanità, cui fanno seguito soluzioni politiche che toccano direttamente ogni cittadino.
Ovvio che stiamo facendo riferimento, anche, alla votazione di questo fine settimana. Ma si tratta soltanto di uno dei tanti passaggi referendari ai quali siamo abituati ormai da anni e che continueranno a chiamarci in causa nel prossimo futuro tramite i nostri “sì” e i nostri “no” a norme legislative inerenti al nodo climatico.
È uscito pochi mesi fa un libro intitolato “Dialoghi sul clima. Tra emergenza e conoscenza”. Sedici studiosi affrontano il tema del global warming secondo i diversi approcci tematici, che vanno dalla storia del clima sulla terra all’analisi delle cause del riscaldamento (che in quanto tale nessuno di loro nega), al vasto (e vitale) ruolo della CO2, alla questione dei ghiacciai, alla storia tormentata dell’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC), agli obbiettivi politico-economici, agli investimenti finanziari e agli scavi minerari conseguenti alla decarbonizzazione, eccetera. Continua e opportuna attenzione è posta nel ribadire la netta distinzione tra inquinamento e clima.
Un volume interessante (facilmente acquisibile anche nella versione eBook), dove il “dialogo” è inteso come intreccio tra le diverse discipline afferenti al tema climatico e non come discussione dialettica tra pareri opposti.
Molti dei 16 autori che vi hanno collaborato sono pure firmatari di una petizione dal perentorio titolo “Non esiste alcuna emergenza climatica”, sottoscritta da oltre 1500 scienziati e inviata all’ONU ma rimasta finora inevasa. Nella speranza di suscitare interesse nei nostri lettori e in particolare tra chi si occupa professionalmente della materia e voglia sottoporre a discussione le tesi e i pareri esposti dal professor Prestininzi (o eventualmente nei capitoli del libro), vi auguriamo buona lettura.
Professor Prestininzi, mi pare che né lei né gli altri esperti che hanno partecipato alla stesura del volume “Dialoghi sul clima” neghiate che vi sia un riscaldamento in questa nostra epoca.
Certo, nonostante il termine di “negazionista” stampato in fronte a chi non segue l’onda. Noi non neghiamo che sulla terra ci siano i cambiamenti climatici, è esattamente il contrario. Noi diciamo che i cambiamenti ci sono sempre stati e sono naturali: oggi noi siamo in una fase di uscita da un periodo freddo, siamo cioè verso la parte finale della cosiddetta “piccola era glaciale” che ha caratterizzato un periodo tra il 1500 e il 1600; dalla fine del 700 in poi, abbiamo un aumento di temperatura di 1,1 gradi, dovuto appunto all’uscita da questa, chiamiamola, “piccola glaciazione”, quando ad esempio d’inverno si pattinava nella laguna di Venezia. Ciò non significa che in quel periodo non vi fossero giornate calde.
Quindi dal 1800 siamo entrati in una fase di riscaldamento?
Sì, siamo in una fase calda e le fasi calde hanno fatto sempre bene al pianeta, tanto che l’umanità è cresciuta. L’uomo ha raggiunto i maggiori obiettivi, anche di espansione numerica, nei periodi caldi: ad esempio nel periodo romano, quello della massima espansione dell’Impero romano attorno al 200 a. C., quando la temperatura era un paio di gradi più alta di quella attuale.
Nelle vostre pubblicazioni ricostruite l’evoluzione del clima sulla terra lungo la storia del pianeta. Cosa ne avete ricavato?
Che il clima ha avuto grandi cicli che si ripetono ogni 100.000 anni. Una volta si chiamavano “ere glaciali”, oggi “cicli glaciali”. Poi studi successivi hanno mostrato che all’interno di questi grandi cicli -massimo freddo, massimo caldo- ci sono intervalli in cui il clima cambia più frequentemente, in termini di intervalli temporali, e con variazioni di temperatura più lievi. Per esempio, abbiamo, come detto, il caldo romano, poi nel 400 d.C. un abbassamento della temperatura (e vediamo che dal nord Europa molti popoli che vivevano in quelle regioni si sono riversati verso sud, conquistando parte di quello che era l’Impero romano). Poi abbiamo avuto il caldo medievale, intorno al 1200, poi la citata “piccola era glaciale” intorno al 1600, e adesso siamo di nuovo in una fase calda. Ci avviamo a un caldo simile a quello del periodo romano, tra il 200 e il 100a.C., 2000 anni fa.
Quindi questi cicli sono relativamente brevi rispetto a quelli di 100.000 anni studiati da climatologo serbo Milankovic. A cosa sono dovuti?
Alle variazioni e oscillazioni dell’asse della terra. Il nostro pianeta, all’interno del sistema solare, modifica come tutti i pianeti l’inclinazione del proprio asse. Questo comporta ovviamente una diversa esposizione rispetto ai raggi solari. Alcuni punti ricevono la radiazione solare in maniera normale, altri no. Varia quindi la temperatura la cui sorgente fondamentale è il sole. Poi ci sono tutti gli effetti legati alle interazioni sulla superficie della terra.
Allora noi siamo in questa “piccola fase”, non in una fase di grandi sconvolgimenti?
Esatto, parliamo di modesti riscaldamenti. Se lei guarda cos’è accaduto dal 1800 ad oggi, abbiamo nel 1970 un abbassamento abbastanza rapido, misurato anche con l’estensione dei ghiacciai (addirittura i giornali parlavano dell’arrivo di una nuova glaciazione); poi dalla fine dei 70 in poi fino al 2000 abbiamo avuto un aumento della temperatura; dal 2000 al 2015 è rimasta stazionaria e adesso c’è un piccolo aumento, ma che immediatamente pare si stia di nuovo modificando. Insomma, cambia continuamente, quello che chiamiamo “clima” e che non andrebbe ridotto a temperature né tanto meno confuso con l’inquinamento.
Professore, nelle varie epoche e nei vari cicli non ci sono mai stati riscaldamenti tali da mettere in pericolo la sopravvivenza della specie umana in determinate parti del pianeta?
Beh, se così fosse, l’Africa dovrebbe essere vuota: lì vivono normalmente con temperature di 40 °. Ovviamente noi rispetto al clima ci siamo adattati. L’adattamento è la risposta migliore. Se lei esce di casa e piove, prende l’ombrello, non tenta di eliminare la pioggia!
Mi sposterei sulla questione dei ghiacciai (siamo in Svizzera…), che si stanno visibilmente riducendo, quasi scomparendo: alcuni piccoli ghiacciai non ci sono più, mentre molti grandi si ritirano vistosamente. Non è un brutto segnale?
Guardi, 3000 anni fa non c’erano più i ghiacciai alpini, spariti quasi tutti fino a 5000 metri. Sono i glaciologi svizzeri che hanno fatto un lavoro meraviglioso sull’evoluzione dei ghiacciai su tutto l’arco alpino. La Groenlandia stessa è stata oggetto di migrazioni oscillanti in funzione delle coperture di ghiaccio. Non è che noi dobbiamo immaginiamo di stare in un mondo statico. Per fortuna il clima cambia sulla terra. Questo indica che il nostro è un pianeta vivo. Dovremmo esserne felici, mi preoccuperei se noi non avessimo più cambiamenti climatici (e, purtroppo, terremoti, alluvioni, frane). Questi eventi indicano che il nostro pianeta è vivo. Sui pianeti morti questo non avviene, c’è una staticità generale.
Sempre a proposito di ghiacciai, lo scioglimento documentato dei ghiacci dell’Artico non potrà provocare il temutissimo innalzamento delle acque marine, con allagamento delle terre costiere?
Sa di quanto ci sono innalzati i mari finora? Di zero virgola otto millimetri (0,8 mm). Il sollevamento del mare ha una dinamica che riguarda il sollevamento terrestre dovuto all’orogenesi, ma in tempi molto lunghi; alla subsidenza: aree costiere, soprattutto i porti, che sono ubicati su terreni molto recenti e sono soggetti ad abbassamento, a consolidamento. Una grande compagnia americana ha studiato per anni, con delle campagne oceanografiche, l’aumento del livello del mare dovuto o all’inserimento di materia, che sarebbe acqua dovuta allo scioglimento dei ghiacci, oppure a un fenomeno che riguarda l’espansione dell’acqua dovuta a riscaldamento. Se abbiamo un riscaldamento di 1 o 2 gradi abbiamo qualche millimetro di sollevamento. Ma per dettagliare entreremmo in una spiegazione molto complessa. Comunque, non esiste che le nostre coste se ne debbano preoccupare.
Veniamo al nodo gordiano di tutto il dibattito attuale sul clima. Qual è il reale influsso delle cosiddette “emissioni antropiche” - cioè le emissioni di CO2 dovute ad attività umane - sui cambiamenti climatici?
Guardi, i numeri li prendo dai rapporti dell’IPCC, che ci assicura che per contrastare questo cambiamento climatico dobbiamo ridurre le emissioni. In particolare, c’è l’accordo di Kyoto e, meglio ancora, quello di Parigi, che dice che le nazioni devono ridurre del 40% le emissioni antropiche. Entro il 2030. L’Europa emette, delle circa 33,9 giga tonnellate di emissioni, l’8%. Tutta l’Europa messa insieme. Si immagini l’Italia, tra 0,7 e 0,8%, o la Svizzera, mi pare attorno allo 0,1%. Sono quantità tanto piccole da non essere neppure misurabili, non c’è uno strumento capace di rilevare queste quantità. Uno dice “va bene, è una precauzione, è una questione di principio”. Ma l’Europa sta costringendo i suoi cittadini a pagare 1000 miliardi l’anno per fare questo (aumento della bolletta della luce con cui paghiamo i bonus per tutta una serie di cose, eccetera). Sono dati ufficiali, questi. Nel nostro libro c’è un capitolo sull’accordo di Parigi che mostra come questo sia un accordo fatto da economisti, che non sanno nulla di scienza, perché l’IPCC è gestita da economisti. Il presidente dell’IPCC è stato Pachauri, che è un economista, e adesso è Lee, sudcoreano lui pure economista.
Ma per quanto le emissioni antropiche in Europa siano sostanzialmente irrisorie rispetto alle emissioni complessive di CO2 nell’atmosfera (quelle cinesi, indiane e americano sono assai più importanti), la CO2 ha realmente un’incidenza sul cambiamento climatico?
Sì, sono gas serra. Anche se prima di tutto va detto che senza CO2 noi non potremmo vivere. Lei sa quanta CO2 emettiamo respirando?
Sinceramente no.
Un chilogrammo al giorno, quindi 8 miliardi di persone emettono 8 miliardi di Kg al giorno di CO2. Grazie a questa respirazione – ossigeno/CO2 - e attraverso le piante noi sintetizziamo gli zuccheri. Il mondo vivente sulla terra, sia vegetale che animale, vive sulla CO2. È il gas che consente la vita. Lo dico perché stanno inculcando nei nostri ragazzi l’idea che sia una sorta di veleno. Quando vado nelle scuole e dico che la respirano, che ce l’hanno nei polmoni e ce l’abbiamo tutti, loro rimangono un po’ sgomenti. La cosa mi sembra preoccupante. Quindi la CO2 è un gas serra, ma aumenterà la temperatura di qualche decimo di grado, se mai, ma è una cosa che noi diciamo intuitivamente, che non riusciamo a calcolare, perché le interazioni che accadono in atmosfera sono talmente complesse e poco conosciute che i migliori fisici dell’atmosfera si trovano di fronte alla impossibilità di scrivere un’equazione su questo. Sono cose che dicono tutti gli scienziati in questo campo. Per andare oltre ci vuole una sorta di fede (forse per questo a volte sembra di essere di fronte a una nuova religione). Intendiamoci, le persone sono in buona fede, l’uomo comune, che subisce questo martellamento ininterrotto da parte del sistema di comunicazione, è convinto. Mi scrivono tante persone, e alcune (che mi hanno forse visto parlare in televisione) mi dicono “Finalmente posso guardare in faccia i miei nipoti. C’è un futuro allora, il pianeta non muore”.
Ma secondo lei quale sarebbe il fattore determinante, presumibilmente più importante dei gas serra come causa del riscaldamento?
Il calore sulla terra, come la vita, sono garantiti dal vapore d’acqua: senza vapore d’acqua non ci sarebbe vita sulla terra perché la temperatura sarebbe fissa a meno 18 °. C’è vita grazie al vapore acqueo, che è infinitamente più imponente di questi gas serra. Tra l’altro, se posso aggiungere un dato sulla CO2 e il mare…
Prego, professore.
Il mare è avido della CO2, quando la CO2 è a portata il mare l’assorbe immediatamente. Perché nel mare si trovano disciolti gli ioni calcio e magnesio, che reagendo con la CO2 formano carbonato di calcio e carbonato di magnesio, che precipitano e che sono le future montagne di lì a 5 milioni di anni. Se lei guarda il sistema delle montagne, le Alpi, l’Himalaya sono tutte CO2 sequestrata dal mare nella storia della Terra. Capisce? Qui ci stanno riportando a una ignoranza incredibile. Il mare non è mai stato bene come adesso. Mare acido? Dotatevi di un piccolo misuratore di PH, misurate l’acidità del mare col PH: non scende mai sotto 8, è basico il mare. Quando dicono “acidificazione del mare” dicono delle bugie spudorate. Io queste cose le dico perché come professore di università ho il dovere costituzionale di dirle, perché ne sono convinto. Ma resta che sono disposto a confrontarmi. E se qualcuno mi dimostra che io dico delle cose inesatte io modifico la mia visione. Questo è il mondo della scienza, non è il mondo della comunicazione, dei talk show.
Ma professore, uno si chiede come sia possibile che tutti i Governi del mondo sottoscrivano questi rapporti dell’IPCC. Nessuno si è mai ribellato, che si sappia.
È una convenienza politica. Politica. Noi diciamo “più scienza e meno politica”, su questo tema.
D’accordo, ma per quale ragione politica i rapporti dell’IPCC vengono accettati come Vangelo?
Semplicemente perché si tratta di una narrazione che conviene in questo momento alla politica. Perché? Il mondo della comunicazione, che è governato dal sistema finanziario, produce una narrativa che la gente ha assimilato e il politico se ne giova in termini di consensi elettorali, mentre il sistema finanziario banalmente in termini di soldi. Se lei guarda la Borsa - e c’è un articolo del professor Giaccio nel mio libro in cui si fanno nomi e cognomi dei gruppi finanziari che attraverso la Borsa del carbonio si stanno riempiendo di soldi - vedrà che questi gruppi hanno più risorse degli Stati: facile che li condizionino. Io credo che i gruppi finanziari nel mondo abbiano una grossa responsabilità in questo processo.
E l’ONU con il suo panel sul clima, l’IPCC, asseconda tutto ciò?
Questo panel è nato, legittimamente, per verificare che incidenza avessero le emissioni sul clima. Dopo i primi anni, in cui collaboravano fior di scienziati, come Richard Lindzen o Rex Fleming, tutti scienziati di primissimo livello, molti se ne sono andati perché le loro osservazioni venivano travisate e modificate nei report finali. Quindi l’IPCC è diventata un gruppo intergovernativo, politico. Quando si riuniscono per stilare il rapporto finale, chi decide sono i funzionari dei vari ministeri dell’Ambiente, che tutto sono meno che scienziati. Sono politici. Purtroppo la politica, in questo caso, gioca un ruolo determinante e passivo (anche se ci sono alcuni politici che per ignoranza sono convinti che bisogna “salvare il pianeta”). Insomma, se andassi a parlare con Romano Prodi, il politico, mi direbbe che sì, forse, bisogna essere prudenti… ma quando parlo col fratello, Franco, che è uno dei maggiori esperti al mondo di fisica dell’atmosfera, delle nubi, invece è pienamente d’accordo con me.
In realtà mi sembra che quelli del IPCC dicano: “Noi facciamo una sintesi degli studi prodotti dal 98% degli scienziati”.
Ah certo, come no… Un esempio. Per capire se negli ultimi trent’anni fosse cambiata la distribuzione delle piogge sul pianeta, in termini di intensità e di frequenza, hanno intervistato degli scienziati e il 94% di loro ha risposto che l’analisi delle stazioni pluviometriche ha mostrato, negli ultimi trent’anni, una situazione stazionaria (pagina 1560 dell’ultimo rapporto IPCC). Qual è la conclusione? Che c’è una tendenza all’aumento o alla diminuzione? Dove sono gli scienziati che dicono questo? Queste - mi permetta di dirlo - sono truffe scientifiche. Lo può scrivere a nome mio. E poi questa storia ricorrente del “98% degli scienziati”. Se fosse vero che quel migliaio di studiosi sono il 98%, visto che la nostra petizione è stata sottoscritta, finora, da 1500 scienziati a livello internazionale, faccia lei le proporzioni… Ma sono polemiche spicciole che non portano da nessuna parte. Io non voglio aprire una polemica e un confronto basato su queste cose. Io vorrei una discussione nei luoghi deputati alla discussione scientifica, nelle aule universitarie, attraverso argomenti, testi scientifici e dati. Vengano a confrontarsi, noi saremmo felici, lo chiediamo da una vita, ma non sembra possibile un confronto.
Perché non è possibile un confronto?
Non vogliono. Come le dicevo, bollano immediatamente l’interlocutore come negazionista. Ma che bisogno c’è di offendere e demonizzare chi non la pensa come te?
Si ha l’impressione che nell’opinione pubblica sia frequente la confusione tra clima e inquinamento, che rappresenta un problema innegabile e grave, mi pare.
Eccome, ed è vero che viene fatta confusione tra i due aspetti. Si fa circolare l’idea che l’inquinamento cambi col clima. Noi, nella petizione abbiamo messo in evidenza il fatto che in realtà si trascura la lotta all’inquinamento, che non ha nulla a che vedere con il riscaldamento del pianeta. I rifiuti, l’utilizzo e la gestione delle acque e degli scarichi e tutto ciò che buttiamo in mare e in atmosfera: tutte queste attività antropiche che la tecnologia ci consentirebbe di controllare bene, noi le trascuriamo, immersi come siamo in queste logomachie sul clima. Analogamente nei Paesi ad alto rischio sismico si trascura la prevenzione, cioè il costruire in un certo modo le case. E invece ci costringono a spendere un sacco di denari perché dovremmo difenderci dal caldo… Ma l’inquinamento è un problema serio, perché fa male per davvero alla nostra salute. Nonostante la vita si sia allungata, le tecnologie ci consentano di vivere meglio e siamo diventati 8 miliardi. Ma le malattie che ci sono in giro sono dovute all’inquinamento, non al clima, non al caldo.