IL FEDERALISTA
Clima: Svizzera condannata. La sentenza della CEDU secondo Gysin, Regazzi e Rossi
L'ex giudice Baudenbacher: "La Corte ha reso un cattivo servizio agli sforzi del Consiglio federale per concludere un Accordo Quadro 2.0 con l'UE"
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di Beniamino Sani - contributo da ilfederalista.ch

A larga maggioranza (16 a 1) i giudici della Grande Camera della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU) hanno dunque tirato le orecchie al nostro Paese reo di scarsa solerzia nel dare seguito ai trattati internazionali sottoscritti in materia di protezione del clima. La Corte ha così abbracciato le tesi delle ricorrenti (le ormai famose “Anziane per il clima”, spalleggiate dall’organizzazione ambientalista Greenpeace), bacchettando inoltre i tribunali elvetici che (sempre secondo la CEDU) avrebbero fatto orecchie da mercante alle denunce di gruppi di attivisti preoccupati, come le citate pensionate per il clima, per l’inerzia delle autorità svizzere nella lotta contro i mutamenti climatici.

Gli aspetti della sentenza, che ha suscitato stupore a livello internazionale, sono molteplici. Per incominciare, prendiamo sul serio i rimproveri e chiediamoci: come potrebbe realizzarsi, concretamente, l’impegno chiesto alla Svizzera dalla Corte di Strasburgo? Ovvero, c’è davvero la possibilità di fare di più di quanto già si faccia? Lo chiediamo a un esperto, da sempre attivo nel settore e buon conoscitore delle tecnologie richieste dalla transizione energetica, l’ex direttore di AET e di AEM Paolo Rossi.

Ci stiamo lavorando, ma non esistono ricette magiche

Rossi, la CEDU dice che non rispettiamo i trattati che abbiamo sottoscritto: esiste un modo, una ricetta per accelerare il processo?
Lasciatemi dire che a priori l’approccio delle sentenze è sbagliato. Perché la Svizzera comunque è una democrazia semidiretta: è già successo infatti che alcuni atti legislativi con i quali si è cercato di applicare gli accordi sottoscritti dalla Svizzera siano stati respinti dal popolo. La legge sulla CO2, per esempio, nella prima versione. Andrebbe però anche considerata la necessità negli Stati democratici di creare consenso sui progetti, a partire da una maggior consapevolezza nella popolazione. Una sentenza in questo senso non serve a nulla. La legge sulla CO2 non era sostenibile e accettabile per il popolo? Va bene. Quello che è stato fatto è esemplare: bocciata la prima proposta, se ne è formulata un’altra, e in tempi relativamente veloci.

Ricette magiche non esistono, insomma?
Il Paese però ha una strategia energetica, che è estremamente significativa e comunque in via di implementazione in maniera coerente. Abbiamo una politica di riduzione delle emissioni legate al riscaldamento domestico che è altrettanto chiara. In più vi sono visioni cantonali e locali: per esempio Zurigo proibirà dal 2030 tutti gli impianti di riscaldamento a combustione. Quindi c'è un'articolazione molto ricca dentro il processo complessivo.

Ma la Corte dice che abbiamo mancato gli obiettivi che ci eravamo dati (tralasciando che in questi anni il Paese è esploso demograficamente).
Sì certo, anche se oggi come oggi alcune tappe intermedie di questo processo non le abbiamo interamente rispettate. Ma il processo è in corso e comunque non può prescindere dal nostro spirito democratico. Anzi, se proprio devo schierarmi, direi che la democrazia è la priorità; anche sull’ambiente. Altrimenti c’è il rischio di costruire una dittatura ambientalista. Anche perché una parte della transizione la devono fare i privati in quanto tali: se una persona dieci anni fa ha messo in casa un impianto di riscaldamento a combustione, non può cambiarlo dall’oggi al domani.

Vi sono anche ambiti in cui stiamo bruciando le tappe: in Ticino, per esempio, abbiamo di gran lunga superato gli obbiettivi che ci eravamo dati per il fotovoltaico. Giusto?
Certamente. Bisogna capire che tutti questi elementi di politica climatica non hanno un tasto on/off: è un processo ed esige tempo. Per esempio, la sostituzione delle automobili. Si dice: nel 2035 non venderete più macchine a combustione. Ma anche qualora si raggiungesse questo obbiettivo, va considerato che le vetture endotermiche resteranno sulle nostre strade per altri 10-15 anni dopo il ‘35. E d’altra parte, se dobbiamo chiudere alcune centrali nucleari per obsolescenza e in parte ci toccherà sostituirle per qualche tempo con il termoelettrico a gas o gasolio, forzatamente il nostro bilancio ambientale potrebbe, entro certi limiti, peggiorare temporaneamente, in attesa di raggiungere gli obbiettivi fissati.

Senza contare che altre tecnologie necessarie alla transizione non hanno per ora raggiunto una maturità commerciale.
Esatto, elementi necessari per completare il quadro, come il cosiddetto power to gas (produrre combustibile dall’elettricità), o la costruzione di centrali di teleriscaldamento legate alla cogenerazione, sono processi tutti in divenire, sui quali non vi sono certezze a livello di tempistiche. Ecco perché non mi pare abbia senso che un decreto giudiziario sanzioni uno Stato che ha iniziato dei processi per i quali occorrerà un certo tempo e molta innovazione. La Svizzera per giunta è all’avanguardia in questi campi di ricerca, che per sua natura richiederà almeno decenni per ottenere risultati. Se poi consideriamo gli investimenti necessari, c’è da chiedersi se nell’orientare la spesa pubblica e tenendo conto delle spese sociali e infrastrutturali, valga la pena cercare di guadagnare quattro o cinque anni attraverso sussidi spropositati che potrebbero non dare neppure i risultati sperati.

Una sentenza politica

Veniamo agli aspetti propriamente di carattere giuridico-politico che, come abbiamo visto, aprono inevitabili interrogativi sulla compatibilità della sentenza di Strasburgo con la struttura stessa della democrazia elvetica. Lo facciamo con l’aiuto di un docente universitario già noto ai nostri lettori , Carl Baudenbacher, per le sue puntuali osservazioni a proposito dei tribunali di arbitraggio cui la Svizzera si sottoporrebbe in caso di controversie con l’UE qualora l’attuale negoziato con Bruxelles andasse in porto.

Professore, come giudica la "storica sentenza"?
Occorre essere cauti nel criticare le sentenze. Tuttavia, in questa di Strasburgo non vedo proprio nulla di positivo. È un giudizio politico. Evidentemente i 16 giudici volevano emulare la decisione sul clima della Corte costituzionale federale tedesca. È difficile capire perché la protezione del clima debba essere principalmente compito dei tribunali. Mi sembra che qui si stia creando un nuovo “diritto umano” attraverso la libera interpretazione della legge. Per quanto riguarda la presunta sofferenza delle anziane signore ricorrenti, vorrei ricordare che l'aspettativa di vita in Svizzera era, nel 2019, di 81,9 anni per gli uomini e di 85,6 anni per le donne.

La Svizzera si era espressa sul tema in votazione popolare respingendo una revisione della “Legge CO2” nel giugno del 2021. La sentenza della CEDU entra in collisione con il sistema di autogoverno del popolo elvetico?
“Collisione” è forse un po' troppo dire. Ma nell’ottica di una politica democratica la questione è delicata. Gli attivisti per il clima hanno minato in una certa misura i meccanismi democratici con l'aiuto della giustizia internazionale. E questo a scapito del Parlamento, del popolo e dei Cantoni.

La sentenza fa più volte riferimento alla famosa soglia di 1,5 gradi Celsius di surriscaldamento. Da parte elvetica mancherebbe, a parere della Corte, il “commitment”, l’impegno per restare sotto questa soglia. Ci si chiede come possa una corte di giuristi che si occupano di diritti umani valutare e giudicare la quantità di emissioni in forza delle quali la Svizzera potrebbe raggiungere un dato obbiettivo. È un giudizio su cui la stessa scienza climatica difficilmente può esprimersi con precisione.
Non sono sicuro di cosa ci sia esattamente dietro la sentenza. Come scrive giustamente la NZZ, è assurdo che la Svizzera, con il suo piccolo contributo allo sviluppo del clima globale, venga messa alla gogna internazionale come un grande peccatore climatico. Potrebbe darsi che la sentenza voglia prendere di mira la mancanza di giurisdizione costituzionale sulle leggi federali in Svizzera.

Affermare come fa la CEDU che “vista la complessità e la natura delle questioni in gioco” essa non può indicare delle misure specifiche alla Confederazione, non è un po’ come dire: ‘vi condanniamo per ciò che non avete fatto, anche se a dire il vero non sappiamo di preciso cosa andrebbe fatto’? 
Purtroppo, come dicevo, la sentenza è un atto politico. La Svizzera dovrà comunque implementare quanto chiede la sentenza, sebbene la Corte non dica come. La Svizzera può dunque scegliere i mezzi, ma se a Strasburgo ritenessero che non siano azzeccati, avranno sempre la facoltà di redarguirci. Ci sono due istituzioni che possono agire in questo senso: la Corte stessa, ma anche il Comitato dei Ministri del Consiglio d'Europa, che ha il dover di sorvegliare l'implementazione corretta delle sentenze. Solitamente le lamentele che si sentono riguardano questioni di diritti umani in Paesi come la Turchia o l'Ucraina, ma in teoria ora hanno uno strumento per tenere sotto controllo anche la Svizzera. Credo però che nella pratica non potranno fare molto.

E a livello di politica interna, che scenario immagina?
Il risultato della sentenza sarà soprattutto che i nostri Verdi e i nostri socialisti d’ora in poi diranno che ci vogliono soldi per questo e per quello, che bisogna fare questo e bisogna fare quest’altro.

Tra i giudici della CEDU espressisi sul ricorso vi è anche un giudice svizzero (Andreas Zünd). Dal punto di vista dei nostri rapporti con l’Europa che incidenza avrà questa condanna?
La Corte dei Diritti dell'Uomo ha reso un cattivo servizio agli sforzi del Consiglio federale per concludere un Accordo Quadro 2.0 con l'UE. Se infatti la CEDU è un tribunale riconosciuto dalla Svizzera, del quale fa parte appunto un giudice svizzero, nel caso dell'Accordo Quadro, invece, a dirimere le controversie sarebbe la Corte Europea di Giustizia, ovvero un tribunale semplicemente della controparte. Ora, se già siamo trattati in questo modo dal “nostro” tribunale europeo, c’è da chiedersi come andranno le cose quando saremo giudicati da un tribunale al 100% della controparte. 

Regazzi: decisione inapplicabile. Gysin: sentenza giusta, non si rispettava il diritto superiore

Per saggiare le reazioni in ambito politico federale, ci rivolgiamo a due parlamentari ticinesi, Fabio Regazzi e Greta Gysin. “A differenza della nostra Presidente della Confederazione, - ci dice Regazzi, consigliere agli Stati per il Centro – io non mi posso dire sorpreso dalla decisione. Me l'aspettavo, perché si può constatare in generale che ormai sempre più i tribunali tendono a prendere decisioni che sono, come in questo caso, almeno in parte politiche”.

Per Greta Gysin, consigliera nazionale dei Verdi, il tribunale ha invece correttamente giudicato nel merito: “Quello che c'è di storico nella sentenza di ieri è che il diritto a vivere nel contesto di un clima sano viene considerato un diritto fondamentale dell’umanità, alla pari del diritto alla vita, o del diritto alla salute”.

Il diritto a un clima sano va dunque considerato tra quelli fondamentali. Cosa ne dice Regazzi? “Si può discuterne”, ribatte il senatore locarnese. “Di sicuro la CEDU va a sanzionare la Svizzera, che io ritengo comunque uno dei Paesi virtuosi nel processo di riduzione delle emissioni di CO2. Chissà, forse si nasconde qui l’intento di punire un Paese che viene spesso considerato come il primo della classe. In realtà sono molti i Paesi inadempienti in questo campo e punire la Svizzera è quasi una provocazione. Se vogliamo parlare di diritto a un clima sano bisognerebbe colpire veramente chi ha sulle spalle le responsabilità più gravi. La Svizzera emette, ricordiamolo, l’1 per mille dei gas serra globali. Se anche azzerassimo domani le nostre emissioni non cambierebbe praticamente nulla”.

Per Gysin però quanto imputato alla Svizzera, “ha ora valore per tutti gli Stati europei, perché spiana la strada ad altre cause identiche”. La CEDU ci richiama ai nostri doveri, ma –facciamo notare- lo fa tre anni dopo un referendum nel quale il popolo ha respinto una legge sul tema: non è un problema? Per Gysin, “anche gli impegni che ci siamo assunti a livello internazionale, come l’Accordo di Parigi, sono stati votati democraticamente. Sono leggi in vigore e non facciamo evidentemente abbastanza per rispettarle. Sostenere che una sentenza di un tribunale non sia democratica potrebbe riflettersi, per assurdo, su ogni livello di giudizio, anche cantonale: non è colpa dei tribunali se le autorità democraticamente elette talvolta prendono decisioni contrarie al diritto superiore”.

Tuttavia la Svizzera degli obbiettivi li ha fissati, non è così? “È vero che c'è questo obiettivo netto di zero emissioni entro il 2050, confermato anche dal popolo in votazione”, secondo Gysin, “però ci mancano a tutt'oggi gli strumenti per arrivarci. È chiaro che come per ogni sentenza a qualsiasi livello (vale anche per quelli inferiori) spetterà all'autorità competente applicarla. E lì bisognerà vedere quando riusciremo e come riusciremo ad aumentare l'impegno climatico della Svizzera. In sostanza la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha affermato che, considerata l'evidenza scientifica, si fa troppo poco”.

Per Regazzi invece, “questa sentenza non potrà essere applicata più di tanto. L’ultima parola l’ha il popolo nel sistema svizzero, in ogni caso”. Dunque non cambierà nulla? “Prevedo che nelle prossime sessioni parlamentari assisteremo a una pioggia di interpellanze e di altri atti parlamentari; poi ritorneremo a fare quello che abbiamo sempre fatto, con pragmatismo, anche con compromessi, indipendentemente da questa sentenza che, semmai, si rivelerà un boomerang in altri ambiti”.

A cosa si riferisce il senatore? “Che arrivi una corte europea e dica al popolo svizzero che la sua volontà non conta nulla perché bisogna fare molto di più, a me sembra un assist formidabile agli oppositori di qualsiasi tipo di accordo con l'Unione europea – anche se, beninteso, si tratta di due istituzioni ben distinte”. A conferma di quanto, poco sopra, pronosticava Carl Baudenbacher.

 


 

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