Il Federalista intervista l'avvocato Paolo Bernasconi sui nostri rapporti con la Cina: "Il partito comunista ci spia, rendiamocene conto"
Articolo a cura della redazione de ilfederalista.ch
Un gioco cinico e pure rischioso. È questa la realtà dei rapporti economici che il nostro Paese intrattiene con la Repubblica Democratica Cinese? Relazioni che di recente sembrano aver ripreso slancio dopo i colloqui, tenutisi anche al WEF di Davos, che hanno aperto la strada a un ampliamento dell’accordo di libero scambio sino-elvetico secondo i desideri di Berna.
È stato poi il turno della visita a Pechino del capo degli “Esteri”, Ignazio Cassis, accolta molto positivamente, almeno a parole, dalle controparti cinesi. Non tutti però guardano con entusiasmo a questo new deal dei rapporti con il gigante orientale. È il caso del prof. Paolo Bernasconi, che il Federalista oggi incontra per approfondire le ragioni del suo scetticismo.
Avvocato, partiamo dai rapporti commerciali. La Svizzera ha un rapporto privilegiato, nel contesto europeo, con la Cina: un accordo di libero scambio che viene considerato un successo dal mondo economico. A lei però non piace, perché?
"Grazie all'accordo di libero scambio del 2013, la Cina è diventato il terzo partner commerciale della Svizzera, dopo l'Unione europea e gli Stati Uniti. Siamo però l'unico Paese al mondo che ha stipulato un’intesa commerciale col Dragone, approvata dal nostro Parlamento, priva di clausole sui diritti umani e contro i lavori forzati, che usualmente tutti introducono in tali accordi".
Questo inquieta, ma è difficile rinunciare ai buoni affari con la Cina quando si ha una bilancia commerciale complessiva positiva (esportazioni superiori alle importazioni), e questo per diverse annate. La Cina è per noi un partner commerciale difficilmente rinunciabile, non crede?
"No, perché in realtà è un rapporto pieno di incognite. Negli ultimi anni UE e Stati Uniti hanno introdotto sanzioni nei confronti della Cina e del PCC. I rapporti commerciali sono in bilico. Tant’è vero che vi sono molte aziende occidentali che si sono ritirate dalla Cina e specialmente dallo Xinjiang. Il gigante della chimica tedesca BASF sta annunciando in queste ore che intende spostare i suoi stabilimenti. Sui giornali tedeschi infuria la polemica affinché Volkswagen faccia altrettanto. Fare affari con un Paese accusato da anni di commettere un genocidio, nello Xinjiang e anche in Tibet, inizia a diventare scomodo. Oltre a ciò, dal punto di vista degli affari, va considerato che il Partito comunista cinese è lo Stato. Una coincidenza totale".
Vuole alludere al noto problema dello spionaggio?
"Sì, il furto di informazioni è sistematico. Ciò espone a rischio le singole aziende ma anche gli Stati d’origine. Il PCC sta anche cominciando a mettere al bando le grandi società di revisione occidentali che controllano i bilanci aziendali (ulteriore rischio per chi investe). Vi è poi da tematizzare la pericolosa dipendenza per determinate risorse e materie: Francia e Paesi dell’Anglosfera stanno già lavorando nella direzione del cosiddetto disaccoppiamento".
Da un altro punto di vista però, In un’intervista al Federalista lo stesso Cassis ci spiegò che il nostro ruolo di Paese neutrale “ci obbliga ad avere rapporti con tutti i Paesi del mondo”, non tanto per fare affari ma per permetterci di mediare nelle situazioni difficili o drammatiche che possono presentarsi.
"Il capo del DFAE è appena andato a Pechino per ottenere l’adesione cinese alla famosa conferenza di pace sull'Ucraina. I dirigenti cinesi però sono furbi, tutto ciò che si è ottenuto è una bella dichiarazione pubblica in cui hanno detto quanto fossero contenti che la Svizzera come la Cina sia un Paese che lavora per l'armonia, aggiungendo quanto apprezzino che la Svizzera non faccia come l'Unione europea e continui a lavorare con loro. Insomma, il Governo cinese ha sfruttato le nostre ingenuità per tentare di scindere pubblicamente la posizione della Svizzera da quella dell'Europa. Ricordiamoci anche che sei mesi fa il Politecnico di Zurigo ha ridimensionato le sue collaborazioni con imprese e studenti cinesi perché constata casi di spionaggio. Il PCC ci spia, rendiamocene conto. Addirittura -episodio quasi grottesco che ha fatto il giro dei media- acquistando un albergo di fianco a un aeroporto militare. Tengono sotto vigilanza gli oppositori in esilio: tibetani, uiguri e così via".
Recentemente lei ha detto che la Cina vuole dominare il mondo, non sta esagerando?
"I dirigenti cinesi sono espliciti sulle loro intenzioni. Dicono chiaro e tondo: il nuovo ordine internazionale sarà il nostro. Basta questa storia dei diritti umani e dell'individuo. Il nuovo criterio è quella che chiamano “armonia”: armonia fondata sul genocidio poiché bisogna tagliare ciò che non è in armonia. Armonia con chi? Col Partito. È una nuova religione. Infatti, ciò spiega la persecuzione, universale, contro tutte le religioni nel Paese. Suggerisco la lettura della prima dell’ultimo Monde Diplomatique, che sì intitola “Ciò che vuole la Cina”, un saggio che si allinea con i contenuti del recente illuminante libro di Steve Tsang e Olivia Cheung: “The political thought of Xi Jinping”. Non nascondono nemmeno la loro aggressività. Hanno invaso il Tibet, occupano il Turkestan orientale e la Mongolia interna. Trasformano delle isolette contese in basi militari. Si scontrano con l'India per la frontiera sull’Himalaya. Di pochi giorni fa l’ennesimo caso di una nave cinese che ha aggredito una nave filippina. E annunciano, per finire, l’intenzione di occupare Taiwan".
Però la Svizzera ha il privilegio esclusivo di intrattenere una piattaforma di dialogo sui diritti umani con i membri del PCC. Non è un’occasione unica per mettere a tema simili questioni delicatissime?
"Si tratta di una sceneggiata, e pure macabra. Ci sono di mezzo milioni di persone nei campi di rieducazione! A me preoccupa moltissimo ciò che mi veniva riferito di recente, attraverso i miei contatti, riguardo ai bambini strappati alle famiglie nello Xinjiang: messi nelle cosiddette boarding school dove, per cominciare, vengono educati a parlare solo in mandarino e vengono bombardati con racconti negativi sulla loro cultura, sulla loro identità, e quindi sulla loro famiglia. Una famiglia che perde un figlio è già di per sé un grande dolore, ma questi trasformano addirittura i figli in nemici dei genitori. Dunque, è possibile parlare di dialogo? È una mascherata totale. L’ex ambasciatore in Cina Bernardino Regazzoni ha parlato di recente di un “dialogo tra sordi” ".
Insomma, sembra che si chiudano diversi occhi perché ci sono grosse convenienze (pensiamo -un solo esempio- a pannelli solari e batterie a basso costo utili alla nostra “transizione verde”). Ma intanto la Commissione europea ha dichiarato pubblicamente che la Cina fa dumping sui diritti umani e sull’ambiente. Che dire?
"Condivido in pieno, anche se qui si dovrebbe aprire un altro, enorme, capitolo. Ora, io sono evidentemente iper sensibile (come voi del Federalista, del resto) al tema dei diritti umani, ma torno a sottolineare quello che dicevo prima: ovvero che l'investimento in Cina è diventato estremamente pericoloso a medio termine. Parliamo di uno Stato in cui scompaiono generali e ministri, e dunque può scomparire chiunque. Ma poi scusate, il nostro Paese è sempre stato anticomunista. Avevamo forse questo tipo di rapporti con l’URSS? C’è il tema della transizione verde, giusto. Io penso anche al Municipio di Lugano, che ha un gemellaggio con Genova, Buenos Aires. Più 5 città cinesi. Per interessi economici? Guardate che ogni interlocutore cinese è un membro del Partito, ha degli obblighi nei confronti dello Stato e dell'esercito, e basta. Pure USI e SUPSI hanno accordi con la Cina, quando l’ETH non vuole più saperne. È una bella contraddizione".