Dopo le elezioni europee il Federalista propone l'analisi del voto di Mario Mauro, fondatore dei Popolari per l'Italia
di Claudio Mesoniat - Il Federalista
Sembra che nessuno –nei media mainstream- voglia dirlo fuori dai denti: il centro, e più precisamente i partiti popolari sono i veri vincitori di queste elezioni europee, e sono quelli che hanno messo un argine all’avanzata dei partiti sovranisti e antieuropeisti di destra.
È così? Lo chiediamo a lei, Mario Mauro che, dopo il lungo servizio nel Parlamento di Strasburgo, ha fondato una formazione politica dal nome inequivocabile: “Popolari per l’Italia”.
C'è un'espressione francese molto chiara che definisce il ruolo che avranno i popolari in questa legislatura e cioè “incontournable”: i popolari sono inaggirabili, non sono aggirabili per trovare un accordo di gestione della legislatura, questo sia nell'ipotesi più probabile di una riconferma dell’alleanza in atto, quella tradizionale con socialisti e liberali, sia invece nel caso si volesse valutare non dico un’alternativa a questa alleanza, ma un suo allargamento…
Su questo torneremo. Ma anzitutto, è possibile individuare gli elementi che formano un denominatore comune tra le diverse formazioni europee di centro?
Il denominatore comune di quelli raggruppati dal Partito Popolare Europeo è appunto che si riconoscono nel Partito Popolare Europeo. La matrice di questi partiti è normalmente o di tradizione cristiano-democratica o di tradizione liberale.
Ma per esempio la CDU tedesca viene solitamente collocata a destra e qualificata come “conservatrice”: è questa la sua vera natura?
Direi proprio di no. Questo è un modo di leggere le cose “da sinistra”, nel senso che la sinistra mette a destra tutto ciò che non è la sinistra. Ad esempio, per la sinistra erano di destra anche Renzi e Calenda, nonostante Renzi avesse fatto il segretario del PD. La CDU tedesca, in realtà, è una classica formazione che in Italia chiameremmo di “centro che guarda a sinistra”. La CSU bavarese è qualcosa di diverso, con un patrimonio più conservatore, ma la CDU proprio no, è il partito della Merkel, che infatti ha creato la “Grosse Koalition” con i socialdemocratici.
Torniamo sugli scenari che si stanno disegnando in queste ore. Lei parlava di “allargamento” e non di “alternativa“ a una maggioranza che farà in ogni caso perno sul PPE. Allargamento includendo quali formazioni?
Sicuramente non sarà possibile allargare includendo la sola ECR [il gruppo dei Conservatori e Riformisti, di cui fa parte Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni], ma dovrebbe essere fatta in quel caso allargando contemporaneamente sia all'ECR che ai Verdi.
E per quale ragione?
Perché i socialisti in queste ore stanno dicendo che loro senza i Verdi non intendono formare un'alleanza di Governo; e l'altra condizione che pongono è che venga esclusa l'ECR. Allora, delle due l’una: non possono tramutare la sconfitta in una vittoria e chiedere che i popolari diventino associati in una maggioranza di cui però sarebbero la minoranza (e questo succederebbe se l'alleanza venisse estesa anche ai Verdi, perché Verdi, socialisti e liberali sarebbero maggioritari rispetto al P.P.E); quindi o la maggioranza sarà quella attuale riciclata, con socialisti, liberali e popolari e basta, senza i Verdi, oppure sarà allargata sia con i Verdi che con l'ECR: in tal modo l'alleanza che ne risulterebbe sarebbe più del tipo “Governo di unità europea” (che non ci starebbe neanche male, considerato il problema della Guerra).
Una soluzione che i popolari potrebbero accettare?
Sì, penso che il PPE potrebbe ritenersi soddisfatto, nel senso che potrebbe contenere la spinta “a sinistra” (soprattutto su programmi tipo green deal e agricoltura) grazie alle presenze dei partiti dell'ECR; ma potrebbe parimenti contenere, grazie ai rosso-versi, anche la spinta “a destra” che verrebbe imposta dai partiti dell’ECR. A me comunque sembrano tutti atteggiamenti negoziali, penso che alla fina si ricostituirà l'alleanza che ha retto l’ultima legislatura.
Lo status quo, dunque. Ma non sarebbe troppo risicata, una maggioranza di 403 parlamentari in un Parlamento di 732 membri?
Direi che un margine di una trentina di parlamentari rispetto al quorum è sufficiente per votare il Presidente della Commissione e in teoria anche per votare i commissari; assolutamente insufficiente però per gestire tutti i dossier, perché su ogni dossier le delegazioni si spaccano.
In Italia si dice che sarebbe difficile avere Forza Italia nella maggioranza senza imbarcare anche la Meloni, visto che FI e Fratelli d’Italia fanno parte della coalizione che governa il Paese?
Qui si sta facendo confusione. Non si può leggere lo scenario europeo come se fosse una discussione italiana e neppure lo si può leggere nella logica di una maggioranza parlamentare. Questo perché l'Unione Europea è fatta di due istituzioni pregnanti. Una è il Parlamento, dove si capisce con chiarezza quale sia la maggioranza, ma l'altra è il Consiglio dei Capi di Stato e di Governo, dove le maggioranze sono d’altro genere, perché nel Consiglio non si vota per testa, in quanto il voto è ponderato rispetto al numero di abitanti di ogni Stato.
Quindi Giorgia Meloni, che vi fa parte, può facilmente mettere il veto, laddove si decida all’unanimità…
Infatti, e la nomina del Presidente della Commissione la fa il Consiglio all’unanimità, anche se poi dovrà essere approvata dal Parlamento, perciò il Consiglio dovrà tener conto del risultato delle elezioni europee; ecco perché la von der Leyen è favorita, in quanto espressione del gruppo politico che ha vinto le elezioni del Parlamento europeo. Quindi è facile dire “la Meloni va tenuta fuori dalla maggioranza”. In Consiglio le devono riconoscere una partecipazione, se no il Presidente della Commissione non lo nominano.
Questo però non è un problema che riguardi solo la Meloni, riguarda lei come riguarda Sanchez o Macron.
Diciamo che nel Consiglio europeo è la ragion di Stato a prevalere, quindi siccome ci vuole un Presidente della Commissione, non è la maggioranza parlamentare che ne determina la nomina ma sono gli accordi tra i capi di Stato e di Governo (che poi dovranno trovare la copertura parlamentare). Ma la Meloni –per restare su di lei-avrà interesse a dire il suo “sì”, perché se non riparte la Commissione Europea (guidata o meno dalla von der Leyen) finisce il flusso dei soldi verso il PNRR italiano…
Circola una tesi (per esempio sostenuta da Catherine Fieschi del Centro Robert Schuman di Firenze) secondo cui l’estrema destra in Paesi come la Francia, la Germania o l’Italia avrebbe sottratto elettori che storicamente avrebbero votato per i partiti di sinistra. Conclusione: “Parte della storia della destra è il fallimento della sinistra in alcuni di questi Paesi”. Sta in piedi?
Guardi, secondo me è una faccia della medaglia. Personalmente ho invece notato che, sebbene popolari e populisti non abbiano affatto le stesse idee, hanno spesso gli stessi elettori. Esempio: quando ha stravinto in Italia il Movimento 5 Stelle, ha stravinto nelle tradizionali regioni bianche, in Sicilia, nel Sud, non nelle tradizionali regioni rosse. Credo che questo avvenga sulla base di un ragionamento molto semplice: quando la visione politica è orientata al coraggio, a prevalere sono i partiti popolari, quando la visione politica è orientata alla paura, quindi alla coltivazione delle paure per far scattare meccanismi di difesa che producono consenso, se ne avvantaggiano i partiti di natura populista. Altrove, come in Germania o in Francia, può essere stato un elettorato di sinistra a cedere elettori a formazioni di matrice demagogico-populista. Perciò direi che se c’è un fallimento all’origine del fenomeno "populismo" è un fallimento dei partiti, nel senso che quando i partiti non sono più capaci di proporre una visione positiva e si mettono a rincorrere il rumore degli elettori, ovviamente chi la spara più grossa vince.