IL FEDERALISTA
Ritorno al nucleare? Maggi, Pesenti e Leonardi a confronto
Il Consiglio federale ha riaperto la discussione e a dicembre 2024 ha indetto una consultazione per valutare l’abolizione del divieto di costruire nuove centrali. Il Federalista approfondisce il tema

Redazione Il Federalista

Il nucleare è ancora un’opzione? Nonostante la votazione popolare del 2017 che, ancora sotto l’impressione del disastro di Fukushima (2011), indicò la via dell’abbandono graduale dell’atomo, il Consiglio federale ha riaperto la discussione e a dicembre 2024 ha indetto una consultazione per valutare l’abolizione del divieto di costruire nuove centrali nucleari.

L’idea del Governo è di giungere a una proposta legislativa (un cosiddetto controprogetto indiretto) che rielabori i contenuti dell’iniziativa Costituzionale “Energia elettrica in ogni tempo per tutti (Stop al blackout)”. Quest’ultima chiede in sostanza l’ammissibilità di tutti i generi di produzione elettrica rispettosi del clima. L’ultima parola spetterà, a buon conto, al popolo (anche qualora il Parlamento federale rifiutasse il controprogetto).

Conviene ricordare che in Svizzera sono tuttora operative tre centrali nucleari che coprono circa un terzo della produzione nazionale. Produzione e consumo tuttavia non corrispondono, poiché il nostro Paese intrattiene un rapporto di interdipendenza con gli Stati confinanti. Spesso, in particolare nella stagione fredda, dobbiamo importare elettricità da un Paese come la Francia, che in massima parte la produce tramite centrali nucleari; in altri momenti ne esportiamo verso Germania e Italia.

Il nucleare ha storicamente rappresentato per la Svizzera un’ancora di salvezza nel periodo invernale, mentre Paesi come la vicina Penisola, che vi hanno rinunciato da tempo, altro non fanno che importare energia dall’estero (l’Italia, a conti fatti, consuma più energia nucleare oggi di quando aveva reattori attivi sul proprio territorio).

Il Governo svizzero teme oggi che, con il graduale smantellamento delle centrali e la crescita della popolazione (ovviamente dovuta al fattore migratorio), le energie rinnovabili, sebbene prioritarie, non siano sufficienti a colmare i momenti di vuoto energetico.

La Svizzera si trova dunque a un bivio: scegliere tra un futuro energetico dominato dalle rinnovabili o mantenere aperta l’opzione nucleare come alternativa. Prendendo spunto da un dibattito (si veda qui) che si svolgerà giovedì a Tesserete – organizzato da LEA (“Libertà, Energia, Ambiente”, piattaforma interna ai liberali ticinesi), dal titolo “Nucleare sostenibile?"- anticipiamo qualche domanda ad alcuni relatori della serata.

Rimangono molte le obiezioni

Esiste un nucleare sostenibile? Storicamente le due obiezioni principali all’atomo ruotano attorno alla gestione delle scorie e ai timori per la sicurezza. I dati, specialmente quanto rapportati alla quantità di energia prodotta, però mostrano come quella nucleare sia, con le energie eolica e solare, la fonte energetica che ha causato in passato meno danni diretti alla vita umana (e non solo). Persino l’idroelettrico ha storicamente causato un numero enormemente maggiore di morti premature.

Anche i bilanci a freddo sull’incidente di Fukushima hanno contribuito a stemperare questa preoccupazione. La vetusta centrale giapponese fu sottoposta a un livello di stress quasi inaudito (il terzo terremoto mai registrato nella storia e un’onda anomala di quasi 15 metri), ma fu comunque in grado di non crollare e limitare la fuga di radioattività (la commissione ONU dedicata all’incidente ha concluso che non vi furono morti causate da radiazioni).

Quanto alle scorie, l’ingegner Giovanni Leonardi, presidente di Azienda Elettrica Ticinese, lo definisce “un problema politico, più che tecnico”, poiché una soluzione, quella del deposito geologico in strati profondi stabili per milioni anni, è già stata identificata e pure già finanziata. “L’esempio della Finlandia, che l’ha appunto già realizzato, sta a dimostrare come questo problema non sia più tale”.

“Una distrazione”

Ma le obiezioni all’atomo si spostano proprio sul piano politico. Francesco Maggi, coordinatore di WWF Svizzera Italiana: “A mio avviso non ha molto senso tornare a parlare di nucleare in Svizzera”, ci anticipa. “Si tratta per me di una mossa politica, di area UDC, che in questi anni ha fatto di tutto per rallentare la transizione energetica, sostenuta invece a più riprese dal popolo svizzero in votazione”.

Per Maggi non ci si deve lasciar distrarre dalla via imboccata: “Occorre seguire queste decisioni prese in modo coerente, ed entro il 2035 avremo sufficiente energia rinnovabile per coprire il fabbisogno della Svizzera. Non esiste alcuna emergenza o necessità di tornare al nucleare, specialmente in un Paese come il nostro che beneficia del 60% di produzione elettrica da idroelettrico”.

È realistico puntare oggi solo sulle rinnovabili intermittenti? “Certamente”, ribadisce, “ma ciò richiede che la politica si muova in modo coerente. Permangono troppi ostacoli di natura burocratica, incentivi insufficienti, poca innovazione e così via. Molti tetti di palazzine sono ancora privi di impianti fotovoltaici. Inoltre, in Ticino l’elettricità fotovoltaica viene pagata ai produttori da AET a un costo troppo basso (3cts). Questo sta mettendo in grande difficoltà un settore che potrebbe garantire posti di lavoro sicuri”.

Il problema dei prezzi è però legato al fatto che il solare genera sovrapproduzione in alcuni momenti (e scarsità in altri). Come si risolve questo squilibrio? “Bisogna obbligare a prevedere colonnine di ricarica per auto elettriche negli edifici, accelerare l’introduzione dei contatori intelligenti associati a tariffe dinamiche per ottimizzare i consumi, Inoltre, occorre promuovere l’uso di batterie di accumulo, ancor meglio se a livello regionale. Tutto ciò permetterebbe di sfruttare meglio l’energia prodotta”.

Gli industriali (quasi) lo bramano

Tra gli ospiti invitati da LEA, si nota la presenza del Presidente di AITI, l’associazione degli industriali ticinesi. “Sinora temi come questi sono stati trattati esclusivamente in ambito politico”, ci dice Oliviero Pesenti. “Eppure alla fin fine le dirette interessate sono le imprese, le quali trasformano l’energia in benessere e progresso. Un errore degli ultimi anni è stato ignorare questo fatto”. Le decisioni prese dal 2011 a oggi sono state avventate? “Assolutamente sì, frettolose e dettate dall’emotività. Guardando ai dati globali, il nucleare resta una delle fonti più sicure e affidabili”.

Di recente sì è molto parlato di acciaierie che riscontrano problemi legati ai crescenti “costi di rete” dovuti all’intermittenza delle rinnovabili. Il nucleare offrirebbe garanzie migliori per gli stabilimenti industriali? “Le aziende energivore – spiega Pesenti –, che producono intensivamente e di continuo, non possono sopravvivere senza una fornitura costante, 24 ore al giorno, 365 giorni l’anno. Se questa certezza viene meno, sono costrette a interrompere la produzione o delocalizzare”.

“Vi sono impianti nella zona di Bodio, per esempio”, continua l’industriale, “che non possono praticamente mai essere spenti. Lo stesso vale per le acciaierie o le industrie chimiche. Una fornitura energetica instabile significa per loro costi enormi”. Per Pesenti riaprire il dibattito sul nucleare è “non solo positivo, bensì un atto dovuto per il Paese e per chi produce ricchezza". Troppe decisioni sono state prese seguendo ideologie. Gli errori della Germania, che ha scelto di dipendere da altri Paesi, sono un monito”.

Pesenti denuncia l’assenza di una chiara progettualità: “Le aziende produttrici (Alpiq, Axpo, eccetera) sono contente di investire nel solare perché ci sono i sussidi: ma esse non sono tenute a occuparsi della sicurezza dell’approvvigionamento. Questo compito spetta alla Confederazione, la quale dovrebbe invece puntare su investimenti a lungo termine, combinando rinnovabili e nucleare come fanno Francia, Svezia o Finlandia. Non bisogna dimenticare che un impianto nucleare produce costantemente e ha una vita utile di 70-80 anni, molto più lunga rispetto alle rinnovabili”.

Tecnicamente sarebbe fattibile: molti Paesi lo rivalutano

Ma è davvero pensabile che il nucleare torni un’ipotesi per il nostro Paese? Giovanni Leonardi: “Sì, il nucleare potrebbe tornare a essere un’opzione – ci dice –, ma la decisione dipenderà dal voto popolare. Richiederebbe un cambiamento di approccio, ma la Svizzera non sarebbe sola, molti altri Paesi, europei e non, come Svezia, Cina, India e Giappone, lo stanno rivalutando”.

Il nucleare, prosegue Leonardi, ha i suoi atout: produce energia in modo continuo, 24 ore su 24, tutto l'anno, indipendentemente dalle condizioni atmosferiche. Garantisce sicurezza di approvvigionamento a costi accessibili: oggi in Svizzera un chilowattora nucleare, non sussidiato, costa circa 5 centesimi, inclusi i costi per lo smantellamento e lo smaltimento”.

Sì, ma una centrale richiede tempo per essere costruita. Tra dieci anni il nucleare sarà sostenibile economicamente rispetto a fotovoltaico ed eolico, considerando la rapidissima riduzione nei costi delle rinnovabili? “Le energie rinnovabili intermittenti non garantiscono la stessa affidabilità del nucleare”, osserva Leonardi. “Per esempio, un pannello solare produce energia per circa 2.000 ore l'anno, contro le 8.700 ore di una centrale nucleare”.

Vi è poi il nodo dei sussidi. Leonardi è impietoso: “Il fotovoltaico è ancora sussidiato e le batterie per lo stoccaggio energetico rimangono troppo costose. Un dato: fino ad oggi abbiamo speso per soli sussidi (che hanno coperto solo una frazione del prezzo dei pannelli installati) il costo di un’intera grande centrale nucleare, e siamo a malapena al 10% dell’elettricità. Anche tra dieci anni, la competitività del nucleare potrà contare su questo equilibrio tra sicurezza di approvvigionamento, ecologia ed economia”.

È scettico in proposito Francesco Maggi: “Vorrei proprio vedere se le grandi fabbriche e imprese ticinesi, che finora hanno sempre preferito acquistare energia all'estero quando era disponibile a costi inferiori rispetto a quella locale, si impegneranno a comprare energia nucleare da una nuova centrale svizzera, poniamo, per vent'anni. Firmino un documento in cui si impegnano a farlo, anche qualora sul mercato europeo sarà disponibile energia, ad esempio quella fotovoltaica spagnola, a prezzi più economici”.

Capitolo chiuso?

“Penso”, conclude Maggi, “che chi vede il nucleare come necessità è perché ragiona ancora all’interno di un vecchio paradigma, fatto di una rete, grandi produttori e piccoli consumatori. Ma ora tutti possono divenire produttori e consumatori al contempo. Questo, en passant, dovrebbe essere uno sviluppo positivo per chi si definisce liberale. Bisogna puntare su progetti di smart grid locali, come quello premiato dal WWF in ambito immobiliare a Barbengo (progetto Brughette)”.

Di tutt’altra opinione Oliviero Pesenti: “Gli ecologisti”, controbatte, “si oppongono all’atomo per ragioni storiche, ma oggi dovrebbero essere i primi a sostenerlo. Il loro obiettivo dichiarato è ridurre le emissioni di CO2. È un controsenso ignorarlo. Purtroppo, l’intermittenza delle rinnovabili è un problema importante. Senza una tecnologia di stoccaggio avanzata, non possiamo dipendere interamente da queste fonti. Inoltre, la filiera ‘verde’ è oggi quasi interamente spostata in Cina: una dipendenza altamente problematica.

È indubbio che le nuove rinnovabili aprano oggi una vulnerabilità, chiamata dipendenza dalla Cina. Come risponde Maggi? “La dipendenza dalla Cina è una conseguenza della globalizzazione, che non abbiamo scelto noi. È stata una scelta spostare certi settori in Cina; mentre l’industria dell’auto, quella no, quella dobbiamo tenercela noi, perché quella “è strategica”. Sull’altro lato invece abbiamo la Cina che ha fatto la scelta assolutamente cosciente di dominare il settore delle tecnologie green; e sta pure aprendo la pista installando il 50% dei pannelli solari del mondo e puntando sulle auto elettriche. L’Europa è rimasta indietro perché frena l’innovazione invece di cavalcarla”.

Pesenti e Leonardi sottolineano, da parte loro, come la Cina stia spingendo su sole e vento ma al contempo anche sul nucleare (come del resto l’India e molti altri Paesi emergenti). In particolare sul nucleare di ‘quarta generazione’ che promette di risolvere radicalmente molte delle preoccupazioni sollevate fin qui, dalla sicurezza, alle scorie, al costo.
Un elemento, quest’ultimo, che dovrebbe interrogarci: l’atomo è davvero una storia del passato? O un capitolo, decisivo, del futuro?

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