IL FEDERALISTA
"Nucleare in Svizzera, vi spiego perché è una buona idea"
Intervista ad Annalisa Manera, docente di Sistemi Nucleari e Flussi Multifase al Politecnico Federale di Zurigo

di Beniamino Sani - articolo pubblicato su ilfederalista.ch

Nucleare sì o no? Necessario o superato? Fuori mercato o ancora appetibile? Oggi diamo la parola ad Annalisa Manera, ingegnere nucleare, docente di Sistemi Nucleari e Flussi Multifase al Politecnico Federale di Zurigo.

Le prese di posizione in questi giorni, sia da parte degli oppositori –diciamo così- di principio sia da parte di coloro che si vogliono più pragmatici, convergono sul principio che sul nucleare non vale nemmeno la pena di riaprire un dibattito. Il nucleare ha problemi di costi e di tempi troppo dilazionati: non sarà mai una via percorribile. Cosa ne pensa?
"Partiamo dalla durata di costruzione. Ci vuole tempo, certo, ma bisogna considerare che per l’approvvigionamento dell’elettricità in Svizzera dobbiamo risolvere un problema a breve termine (per i prossimi 10 – 15 anni) ed uno a lungo termine. Se guardiamo agli scenari energetici, vediamo che tutti quanti finiscono magicamente nel 2050, come se nel 2050 il problema dell'approvvigionamento di elettricità e della decarbonizzazione sarà altrettanto magicamente risolto. In realtà, proprio in quel momento, fra 30 anni, ci troveremo a dover sostituire tutti i pannelli solari installati oggi. Dunque anche se ci volessero vent'anni per costruire una centrale nucleare, arriverebbe comunque al momento giusto".

Una carenza però potrebbe manifestarsi già prima del 2050. È ciò che sembra temere il Consiglio federale. Lei che idea si è fatta?
"La Svizzera avrà bisogno di rimpiazzare i suoi 23 Terawattora attualmente prodotti ogni anno dal nucleare, oltre a doverne aggiungere altri 25, sempre TWh, per la decarbonizzazione di riscaldamento e trasporti. Se ci guardiamo intorno scopriamo che finora i Paesi che hanno decarbonizzato con successo il settore elettrico (come Francia e Svezia, ma anche la stessa Svizzera), l'hanno fatto combinando rinnovabili e nucleare. Al contrario, la Germania, che ha investito solo in rinnovabili, ha un bilancio di emissioni decisamente peggiore".

Però gli andamenti dei prezzi in Europa sembrano mostrare che le rinnovabili costeranno ogni anno sempre di meno, mentre il nucleare negli ultimi anni sta registrando costi in crescita.
"Facciamo chiarezza. I costi del solare sono diminuiti perché la produzione dei pannelli si è spostata in Cina, che oggi domina tutti gli aspetti del processo di lavorazione dei materiali necessari per turbine eoliche, pannelli solari e batterie, oltre a produrre il 95% delle celle fotovoltaiche che compongono i pannelli solari. In Cina però è successa la stessa cosa per quanto riguarda il nucleare: costruendo, i costi di costruzione e i tempi si sono ridotti, grazie all'aumento dell'esperienza e dell'efficienza. In Europa, però, la Francia, come altre nazioni, non hanno costruito centrali per oltre vent'anni. Di conseguenza, la catena di approvvigionamento di componenti specifici (valvole, pompe) qualificati per l’uso nucleare è sparita, poiché nessuno ha più richiesto questi prodotti di alta qualità, e ricostruirla necessita di tempo ed investimenti. Ora, con la costruzione di nuovi impianti in Francia, Finlandia e Inghilterra, questa catena di fornitura per i componenti nucleari viene ristabilita".

Intende dire che solo in questo modo anche in Europa si ristabilirà un’economia di scala nel settore e si recupererà il know how necessario?
"Certo, e per questo ci si aspetta che i prossimi reattori in Europa potranno essere realizzati più rapidamente e con costi inferiori. Un'altra cosa importante è distinguere tra i costi del capitale e il costo dell’elettricità prodotta. Il nucleare ha alti costi di investimento iniziale, ma ciò non significa che l'energia prodotta sia costosa: un singolo reattore nucleare, come quello costruito in Finlandia o quelli in Inghilterra o a Flamanville in Francia, può generare tanta elettricità quanto circa 500 impianti solari di grandi dimensioni sui quali la Svizzera ora vuole puntare, sussidiandoli per il 60% (come quelli previsti nelle Alpi vallesane, con il progetto Gondosolar). Bisogna quindi anche chiedersi quanto tempo e denaro servirebbe per costruire 500 impianti solari. E in questo confronto, i costi del nucleare risultano più bassi".

Alcune delle critiche di principio dicono: abbiamo deciso in un modo, non possiamo cambiare, le aziende si sono rivolte in una certa direzione, hanno previsto che non costruiranno più centrali nucleari, eccetera; quindi la questione è questa: chi vorrà investire nel nucleare in Svizzera se, appunto, a fronte di un impegno finanziario iniziale molto grande, poi non vi è certezza delle condizioni o che le centrali non vengano bloccate in corso d’opera (come avvenne in Austria o Italia)?
"La domanda è giusta. Dobbiamo considerare due punti di vista diversi: cosa conviene alla nazione e cosa conviene alle aziende private, come Alpiq o Axpo. A livello nazionale, la soluzione migliore è quella che comporta il minor investimento complessivo nel sistema, considerando non solo l'impianto nucleare, solare o eolico, ma anche le infrastrutture come le linee elettriche, i sistemi di backup (impianti a gas, batterie, ecc.)".

Lo Stato deve insomma valutare il costo dell'intero sistema. E le aziende?
"Alle aziende come Alpiq o Axpo di per sé non interessa la sicurezza dell'approvvigionamento, perché non sono responsabili in caso di blackout; è lo Stato ad esserlo. Quindi, per loro non è una priorità garantire che l'elettricità sia disponibile quando serve. Inoltre, le aziende non guardano al costo del sistema nel suo insieme, ma solo a quanto spendono direttamente. Ad esempio, con il solare o l’eolico ricevono magari il 60% delle sovvenzioni, quindi pagano solo il 40% del capitale. Non devono coprire i costi di backup, stoccaggio o estensione delle reti elettriche, che invece sono a carico dei contribuenti. Per questo, è chiaro che ora per le aziende private è più conveniente investire nel solare e nell’eolico piuttosto che nel nucleare. C’è poi un altro punto importante".

Ovvero?
"L’investimento nel nucleare è a lungo termine: una centrale nucleare moderna può operare per 80 anni, e i costi vengono distribuiti su questo periodo, rendendo l'elettricità prodotta competitiva nel lungo periodo. Tuttavia, le aziende private per natura tendono a focalizzarsi sui guadagni a breve termine. Investimenti di lungo termine interessano di più al Governo, ai fondi pensione o ad altri enti con una visione più ampia".

C'è quindi una differenza di prospettiva tra ciò che conviene alla nazione e ciò che conviene alle aziende.
"Precisamente. È il Paese che deve pianificare. Axpo aveva annunciato un investimento di 1,5 miliardi di franchi per produrre 1,5 Terawattora l’anno di energia solare. Ma la domanda che sorge è: e i restanti 46,5 Terawattora di cui avremo bisogno entro il 2050? Dove troveremo altre 31 aziende come Axpo disposte a investire una cifra simile? E dobbiamo anche ampliare le infrastrutture di trasmissione elettrica, cosa che richiede non pochi anni, ma almeno 15-20".

Dal punto di vista tecnico, l'obiezione principale sollevata resta quella delle scorie. C’è una risposta a questa preoccupazione?
"Il problema delle scorie è sempre stato essenzialmente politico e anche molto esagerato, perché non c'è mai stato nessun incidente con le scorie. Inoltre occorre aggiungere che tra i rifiuti tossici le scorie radioattive sono solo uno dei tanti: in realtà noi produciamo nelle varie industrie una quantità molto più grande di rifiuti chimici altamente tossici. Anche questi devono essere stoccati in depositi, sottoterra".

E come se la cavano gli altri Paesi europei in questo campo?
"Paradossalmente la Germania ha lo stato dell'arte più avanzato per questo tipo di depositi geologici. A Herfa-Neurode ha un deposito geologico tra i più avanzati al mondo per le sostanze chimiche altamente tossiche che contrariamente alle scorie nucleari non decadono mai, per cui fra un milione di anni, ma anche fra un miliardo di anni, rimarranno tossiche come lo sono oggi. Quindi semmai il nucleare ha un vantaggio, la radiazione diminuisce col tempo. Questa è la prima cosa".

Vediamo le altre.
"L'altro vantaggio dei rifiuti nucleari, soprattutto quelli fortemente radioattivi, è conseguenza del fatto che il combustibile nucleare ha una densità di energia enorme: perché una reazione di fissione nucleare genera più di un milione di volte l'energia di una reazione chimica. Una reazione chimica è quello che accade quando bruciamo il gas, la legna, il carbone, il gasolio. Dunque, vuol dire che se noi prendiamo un cubetto di combustibile nucleare di un centimetro di lato, questo produce la stessa energia di una tonnellata di carbone, o la stessa energia di quasi 500 metri cubi di gas. Che conseguenza ha ciò? Se per produrre energia è necessaria una quantità piccolissima di combustibile, alla fine i rifiuti tossici saranno anch’essi in quantità esigue".

Quindi non richiederanno spazi enormi per il loro contenimento?
"Infatti. Se noi consideriamo tutti gli impianti nucleari della Svizzera, dopo 60 anni di esercizio avranno prodotto 1500 metri cubi di rifiuti altamente radioattivi, l'equivalente di meno di due case unifamiliari: parliamo di volumi piccolissimi. Un volume trascurabile se paragoniamo agli ordini di grandezza ben più grandi delle sostanze chimiche altamente tossiche che produciamo in altre industrie. Ma c'è dell'altro..."

Prego, professoressa, andiamo fino in fondo.
"C'è il fatto che, siccome dal combustibile nucleare abbiamo estratto molta energia, con conseguenti guadagni significativi, possiamo permetterci un “contenitore” di gran lunga più costoso e sicuro dei “contenitori” che vengono utilizzati per lo stoccaggio delle sostanze chimiche. Infatti i produttori di energia nucleare svizzeri hanno già accantonato un fondo a questo scopo, affidandolo al Governo federale".

 

 

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