Alberto Siccardi show: "I salari minimi frenano lo spirito d'iniziativa. A chi ha fame bisogna dare la canna, non il pesce. Non sono uno sfruttatore di manodopera e non ho mai detto che i ticinesi sono fannulloni, anzi! Ma bisogna insistere sulla formazio
LUGANO - La metafora è: a chi ha fame bisogna dare la canna per pescare e non il pesce… Una metafora che usò Ken Powell, amministratore delegato di General Mills, multinazionale alimentare americana, quando, qualche anno, fa cercò nuove strade per combattere la fame nei paesi africani. Alberto Siccardi, vicepresidente di Area Liberale, la fa sua, e in questa metafora sta racchiuso il senso del suo pensiero politico-economico. Nei giorni scorsi, l’imprenditore, patron della Medacta, è stato stuzzicato pubblicamente dal ministro Manuele Bertoli.
Il titolo dell’intervento di Bertoli era: “Siccardi dai, alziamo davvero il livello dei salari minimi”. In sostanza, il ministro, invita l’imprenditore a farsi parte attiva per ottenere in Ticino livelli salariali migliori e dignitosi, in particolare nei settori economici regolati dai contratti normali di lavoro. Bertoli ha pure pubblicato i salari minimi previsti da tali contratti, dimostrando che in molti casi sono inferiori ai 20 franchi all’ora.
Liberatv ha chiesto a Siccardi di rispondere al ministro. E lui ha risposto così…
“Premetto che sui temi economici sono profondamente liberale. Ma non mi considero un affamatore di persone o un sostenitore dello sfruttamento della manodopera. Sono profondamente liberale perché in cinquant’anni anni di lavoro ho imparato una cosa: che dove ci sono la volontà e lo spirito di iniziativa le cose funzionano e le persone riescono a migliorare la propria situazione economica”.
Me venendo ai salari minimi sui quali la sollecita Bertoli?
“Guardi, se garantiamo a tutti dei salari minimi (e il Partito socialista ha tentato più volte di sdoganare questo principio) eliminiamo quella molla, quell’elemento, che deve essere, per ogni individuo, una spinta a migliorare la propria condizione. Lo Stato deve stabilire delle regole, certo, ma non deve compromettere la libertà economica. Il concetto che ho espresso va a mio avviso applicato anche alla scuola, che non deve tendere a uniformare i livelli di apprendimento ma deve invece valorizzare le capacità e le potenzialità di ogni allievo, senza penalizzare i migliori. Gli uomini sono tutti uguali davanti a Dio e alla Giustizia. Per tutto il resto ognuno e diverso e deve poter valorizzare e realizzare pienamente le proprie qualità”.
Quindi, se ho capito bene, al ministro Bertoli, lei risponde ‘no grazie, non ci sto’?
“Mi spiego, perché quando parlo vengo spesso frainteso: se veramente si tratta solo di colmare una differenza tra i minimi salariali previsti dai contratti normali e i livelli garantiti dalla pubblica assistenza, come mi pare sostenga il consigliere di Stato, facciamolo, ma con i dovuti distinguo, di cui dirò dopo”.
Ci dica almeno un distinguo…
“Allora, Bertoli, se ho capito bene il suo ragionamento, paragona le prestazioni assistenziali garantite a una famiglia (circa 3'800 franchi al mese) con il salario minimo che i contratti normali garantiscono invece a un singolo lavoratore. Nel senso: se marito e moglie che lavorano percepiscono ognuno uno stipendio attorno ai 20 franchi all’ora per 42 ore lavorative settimanali, alla fine del mese hanno una disponibilità di quasi 7'000 franchi, senza contare i vari sussidi pubblici. Quindi il discorso del ministro ci sta fino a un certo punto”.
Insomma, lei è contrario ad aumentare i salari minimi in modo generalizzato...
“Sì, perché se facciamo ancora un passo avanti in questo senso, togliamo ai cittadini, e penso soprattutto ai giovani, la molla che li spinge a migliorarsi. Lo dico a malincuore: in Ticino c’è ancora troppa gente che appena può va in disoccupazione. Se garantiamo a tutti la possibilità di guadagnare l’indispensabile per vivere indipendentemente dal loro impegno e dalle loro capacità avremo una società priva di stimoli, una società amorfa e la priveremo della forza necessaria ad affrontare le sfide che il mondo, volenti e o nolenti, ci pone. Questo è a mio pare l’aspetto più pericoloso di discorsi del genere”.
Mi scusi, ma non è un po’ un discorso da uno che, come si dice, ‘ha il culo al caldo’?
“Bazzi, non mi faccia anche lei la morale sui soldi… Anni fa i nostri genitori ci insegnavano a lavorare sodo, dando il meglio delle nostre possibilità, ci spronavano a migliorarci continuamente… Non mi interessa tanto il tecnicismo contabile, quanto il discorso di fondo: lo Stato non deve diventare il tutore dei cittadini e dell’economia. Deve limitarsi a fare da arbitro. E poi, diciamocelo chiaramente: in Svizzera nessuno muore di fame o finisce a dormire sotto i ponti”.
D’accordo, però è vero che praticando salari troppo bassi, che non consentono alla gente di sbarcare il lunario, si ottengono tre effetti negativi: lo Stato deve intervenire con aiuti sociali per colmare il divario, si innescano fenomeni di dumping e si favorisce la manodopera frontaliera, che può permettersi di accettare paghe inferiori… In più, si induce qualcuno a preferire l’assistenza al lavoro, tanto cambia poco… No?
“Allora, i salari minimi vanno considerati come una garanzia di base. Ma nessun lavoratore deve accontentarsi di quelli. Per questo ritengo fondamentale lo spirito di iniziativa, la voglia di migliorarsi costantemente, di impegnarsi, di dimostrare le proprie capacità. Se uno lavora bene e dà tutto se stesso, qualsiasi cosa faccia, verrà remunerato per quel che vale. E se questo non accadesse è comunque sempre libero di cercarsi un lavoro più redditizio: se io non sono contento della paga che mi danno, o se quella paga non mi basta, cerco un altro posto di lavoro. O miglioro la mia formazione: per restare alla teoria di Bertoli, prendiamo il salario minimo dei gommisti: i non qualificati prendono poco più di 16 franchi all’ora, quelli qualificati sfiorano i 20. Sono quasi 700 franchi al mese di differenza. Se io facessi il gommista farei di tutto per ottenere una qualifica. Capisce cosa intendo?”
Ma ammetterà, Siccardi, che è più facile a dirsi che a farsi in una situazione economica come quella che stiamo vivendo, caratterizzata da una forte pressione sui salari e dalla grande disponibilità di manodopera estera determinata dalla libera circolazione…
“Non nego che i problemi esistano e che oggi sia più difficile di qualche anno fa trovare lavoro, soprattutto per i giovani. Ma sa, io le posso citare dei casi concreti che dimostrano che alcune persone si fanno male da sole. Persone che cercano lavoro ma lo vogliono a non più di dieci chilometri da casa, o che pretendono un salario di partenza eccessivo. Insomma, gente che pone condizioni che altri, penso in questo caso agli italiani, che ‘hanno fame’, come si dice, non si sognerebbero mai di porre”.
Sta dicendo che i ticinese sono un po’ fannulloni?
“Assolutamente no! Non faccio generalizzazioni. Dico solo che, nella mia lunga esperienza di imprenditore ho visto alcune persone che hanno preferito restare in disoccupazione piuttosto che rimboccarsi le maniche, ma non ho mai detto e non dirò mai che i ticinesi non hanno voglia di lavorare. Quindi, non mi induca negli equivoci. Sto parlando di pochi casi rispetto alla totalità, però non bisogna banalizzarli. Ecco perché vorrei che si facesse un’analisi ‘qualitativa’ dei disoccupati, per capire esattamente chi sono e perché si trovano senza lavoro. In quell’analisi troveremo probabilmente anche ingegneri che hanno rifiutato i miei 4mila, 4’500 franchi di primo impiego”.
Beh, però, se uno ha studiato duro per anni vorrebbe una paga adeguata…
“D’accordo, ma la paga adeguata bisogna meritarsela sul campo, e non pretenderla perché si ha in mano una laurea… Pensi agli avvocati, per esempio, che per due anni, durante la pratica post-laurea, devono accontentarsi di meno di 2'000 franchi al mese! Ai giovani dico una cosa: dovete mettervi sul mercato con tanta buona volontà e voglia di lavorare, che sono le cose che contano di più. Solo dopo che avrete fatto tutto il possibile potrete lamentarvi”.
Immagino invece che gli ingegneri italiani facciano i salti di gioia di fronte a un salario di 4'000 franchi mensili…
“È chiaro che per loro è una paga molto interessante. Ma guardi che i salari di entrata, se uno è capace e si dà da fare, con gli anni aumentano… E non credo che un giovane ingegnere svizzero faccia la fame con uno stipendio del genere. Questa storia che i ticinesi sono discriminati per motivi salariali deve essere chiarita con i dati. Molti ticinesi sono ben qualificati e hanno voglia di lavorare, o di riqualificarsi quando è necessario. E garantisco che noi imprenditori ci diamo e ci daremo da fare per favorirli nelle assunzioni. Le faccio un esempio pratico: ho recentemente assunto un grafico (non un ingegnere) ticinese a 4'000 franchi al mese. E sa perché? Perché è un cannone! Bravo, capace e pieno di iniziativa”.
Ma se uno proprio non ce la fa? Se non lo trova proprio ‘sto benedetto lavoro?
“Non deve arrendersi. Deve cercare di imparare cose nuove, seguire dei corsi di riqualifica, migliorarsi, e aumentare le proprie capacità. Succede in tutto il mondo, è una regola della vita. Ecco perché insisto tanto sulla formazione scolastica e professionale. In un paese come il nostro, che confina con una nazione come l’Italia, dove molta gente muore davvero di fame, le persone devono essere oggi più combattive, più determinate. Nessuno può pretendere che lo Stato gli garantisca indirettamente un lavoro e un salario ‘dignitoso’ senza mettersi in gioco fino in fondo. Come nessuno può pretendere dallo Stato di essere assunto al salario che vorrebbe in settori dove quei salari sono impraticabili per le aziende”.
Però sappiamo che, per esempio nel terziario, è in atto una speculazione al ribasso sui salari, determinata proprio dalla pressione che c’è sul mercato del lavoro a causa della libera circolazione. Del resto, lei ha pubblicamente sostenuto, pur con motivazioni sue personali, l’iniziativa ‘Prima i nostri’…
“Se è vero che nel terziario è in atto un effetto di sostituzione dei lavoratori svizzeri o residenti, sono il primo a dire che la questione va assolutamente regolata. Ma questo non ha nulla a che vedere con il discorso del ministro Bertoli sui salari minimi. Bertoli dice dobbiamo assicurare a tutti gli svizzeri e residenti un salario decente per vivere in Svizzera. Ma non fa i necessari distinguo sull’età, la formazione, la situazione famigliare… Io non sono d’accordo nel garantire a tutti, in modo generale e indiscriminato, un minimo di 20 franchi all’ora… È un discorso da Stato assistenziale che danneggia e indebolisce la società e il suo tessuto. Sarebbe un errore madornale, in una situazione di forte concorrenza come quella che stiamo vivendo tutti, dai lavoratori agli imprenditori, mettere le persone nella condizione di accontentarsi”.
Che cosa dovremmo fare invece?
“Dobbiamo insistere sull’iniziativa individuale, partendo dalla scuola, dalla scuola media, intendo, dove chi non ce la deve avere chiaramente un sostegno, ma quel sostegno non deve essere un regalo, deve essere la spinta a farcela, a porsi degli obiettivi, ad arrivare. Negli Stati Uniti i ragazzi che hanno problemi a scuola vengono affidati a un tutor che li aiuta a raggiungere il livello di apprendimento più alto possibile. Perché dobbiamo essere da meno degli americani a livello di istruzione? Le promozioni facili nei primi anni di scuola penalizzano il percorso scolastico dei figli delle classi meno abbienti”.
Però molto dipende anche dalla guida all’orientamento…
“Questo è il passo successivo: un ruolo fondamentale lo deve giocare l’orientamento scolastico e professionale: bisogna convincere i ragazzi e le loro famiglie che ci sono molte professioni onorevoli, gratificanti e anche redditizie, dove c’è e ci sarà sempre di più richiesta di personale. E che il senso della vita non è trovare un posto in banca o negli enti pubblici o para-pubblici. E qui dico un’altra cosa: oggi paghiamo anche l’eccessiva invadenza del partitismo, che per anni ha distribuito posti di lavoro, colonizzando in parte anche alcune strutture bancarie, in cambio di voti, e ha promosso a cariche e salari elevati persone che non lo meritavano. Così si è fatto largo nella gente la convinzione che alla fine, tanto, se sei ticinese e hai qualche santo (o anche qualche beato) in Paradiso il lavoro lo trovi”.