L'avvocato bellinzonese, e volto storico del PPD, analizza la disputa pubblica scoppiata tra il procuratore generale e il Consigliere di Stato leghista
Zali, si ricorderà, aveva risposto duramente alle critiche e soprattutto, ai metodi di inchiesta, utilizzati dal PG nei confronti del Governo per far luce sulla vicenda dei rimborsi e delle indennità a beneficio dei Consiglieri di Stato e dell’ex Cancelliere. Due procedimenti penali entrambi sfociati in altrettanti decreti di abbandono. Metodi contestati anche dal presidente del PLR Bixio Caprara, mentre quello del PPD, Fiorenzo Dadò, aveva difeso l’operato di Noseda.
L’avvocato bellinzonese, e volto storico del PPD, oggi sulla Regione analizza la faccenda da un profilo giuridico e filosofico: “A mio giudizio - scrive - hanno ragione sia l’uno sia l’altro. Ha ragione il Procuratore perché, a differenza del Giudice che deve attenersi allo stretto giudizio legale (Balzac, al riguardo della natura di tale giudizio, ha una bella similitudine: “Come la morte è morte”), talvolta, in casi eccezionali, può sconfinare nell’opportunità di commentare l’abbandono anche se tutto il nostro ordinamento si basa sulla legalità dell’accusa. Questo perché egli non giudica e, benché magistrato, la sua natura è di “semplice” avvocato dello Stato”:
“Ha pure ragione - prosegue Gianoni nel suo scritto pubblicato sul quotidiano bellinzonese - Claudio Zali. Questo perché lo Stato deve sì, nella persona del Consigliere, rispettare rigorosamente la legge (patem legis quem fecistis, rispetta la legge che hai fatto), ma, a questo dovere, per la pars condicio, principio fondamentale in Democrazia, deve corrispondere il diritto di difendersi, quindi anche di criticare la Giustizia stessa, in particolare il Procuratore. Questo diritto è stato consacrato nella sentenza del 23 aprile 2015 della Corte europea dei diritti dell’uomo”.
Un appunto, tuttavia, l’avvocato bellinzonese lo muove a entrambi: “Rimane però - chiosa il suo scritto - sia per il Procuratore sia per il Consigliere, la forma. A questo proposito lascio la parola a uno dei più famosi avvocati civilista e penalista nonché letterato (era membro dell’Accademia francese, il Panteon della cultura) Maurice Garçon: “Non è vero che la moderazione nuoce alla fermezza. Essa non esclude nemmeno la durezza, ma evita di dar adito a facili rimproveri suscitati dall’invettiva e dalla volgarità. Tutto può essere detto con cortesia e si è tanto più forti quanto più si è corretti. I polemisti più crudeli sono quelli la cui violenza si traduce in un cortese disprezzo” (in “L’avocat et la morale”). La mia povera zia Ellen, contadina alla quale devo tutto, in frangenti simili, avrebbe usato una splendida parola: “prudenza”, nel senso di garbo, quindi critica sì da ambo le parti, ma con garbo, soprattutto da parte dei Magistrati”.