Se la condanna penale del giudice Villa è stata mite - pena pecuniaria sospesa con la condizionale - il giudizio morale è stato assai severo. E ora si chiede chiarezza sul ruolo dello Stato
LUGANO - La sentenza è arrivata ieri sera dopo due giorni di dibattimento in aula: pena pecuniaria sospesa con la condizionale e un solo caso di coazione riconosciuto. Si è chiuso così il processo all’ex funzionario del DSS, con una pena molto diversa dai 4 anni richiesti dalla procuratrice pubblica Chiara Borelli. La difesa, per contro, aveva chiesto l’assoluzione: l’imputato, infatti, si è sempre proclamato innocente.
Ma la sentenza pronunciata da Marco Villa, dice molto di più rispetto alla pena inflitta. Il giudice, infatti, ha detto di credere interamente al racconto della vittima principale, ma vuoi per la prescrizione di alcuni fatti, vuoi per la mancanza di prove, vuoi perché altri episodi non erano penalmente rilevanti...la quantificazione della pena ha dovuto fermarsi a quanto detto. Troppi i 15 anni trascorsi dai fatti, nell’ambito di un processo indiziario, per giungere a conclusioni diverse. Più o meno lo stesso canovaccio che ha portato a far cadere le accuse, più tenui e meno circostanziate, delle altre due vittime.
Ma se la condanna giuridica è stata mite, il giudizio morale di Marco Villa è stato assai severo: “Siamo tristi - ha detto iil giudice in aula - perché siamo stati confrontati con una persona che per anni ha sfruttato la sua posizione quale punto di riferimento dei giovani per soddisfare le proprie voglie. Tristi perché la vicenda poteva essere fermata nel 2005, ma le vittime non sono state ascoltate. E questo malgrado abbiano raccontato quanto loro accaduto ad un alto funzionario dello Stato, che non molto ha fatto, se non stendere un rapporto e mettere l’imputato in panchina per un po’, senza dar seguito a procedure amministrative. Tristi perché le vittime, dallo Stato, non sono state accompagnate”.
Quindi il giudice, con un atto insolito, si è rivolto direttamente alle vittime: “Vi chiedo scusa. Sia a titolo personale che come rappresentante di questo Stato. Il vostro percorso di rinascita avrebbe potuto essere meno doloroso e più rapido”
L’interrogazione di Matteo Pronzini
Il processo ha avuto un’ampia copertura mediatica. E oggi sono cominciate a giungere le reazioni politiche alla sentenza. Il deputato MpS Matteo Pronzini ha interrogato il Governo: “Durante il dibattimento è emerso a più riprese il ruolo complice e omertoso dell’amministrazione cantonale. In tutti e tre i casi le vittime infatti si sono rivolte al superiore per raccontare quanto accaduto senza però ottenere nessun riscontro. Di fronte al racconto delle vittime l’amministrazione è rimasta immobile senza dare seguito a quanto emerso nei colloqui con le donne. Un comportamento inaccettabile e che non può passare sotto silenzio.
Chiedo quindi se:
1. Corrisponde al vero che nel 2005 due delle vittime avessero segnalato quanto accadeva sul posto di lavoro senza che questo desse avvio a nessun processo di verifica interno o inchiesta?
2. Se si come mai? Chi è responsabile di questo atteggiamento?
3. Corrisponde al vero che quando la terza vittima ha raccontato quanto stava accadendo (nel 2007) le è stato risposto che la situazione era complicata, senza procedere in nessun modo?
4. Per quale ragione malgrado queste ripetute segnalazioni il funzionario è rimasto responsabile delle politiche giovanili del cantone?
5. Sono attualmente in corso inchieste interne sui fatti accaduti?
6. Come intende agire il cantone affinché questi episodi non accadano più?
7. Come agisce oggi l’amministrazione in caso di segnalazioni o denunce interne?
La rabbia di Marco Romano
Anche il Consigliere Nazionale PPD Marco Romano, ha esternato su Facebook il suo disappunto: “Rabbia, rabbia, rabbia: la canalizzo nell'impegno a Berna per l'introduzione di pene minime e per termini di prescrizione più consoni a queste schifezze! Resta tuttavia l'imbarazzo e la tristezza per i contorni mediatatici e istituzionali di questo caso: una persona venerata per anni negli ambienti della politica giovanile e di cui oggi si tace il nome (quando per altri funzionari coinvolti in questioni in confronto ridicole si sparò subito la foto su siti e prime pagine), per l'evidenza di un'amministrazione che per anni ha saputo ma ha insabbiato, per una cerchia di persone vicine al condannato che mensilmente sentenziano urbi et orbi (con toni talvolta fuori misura) che ora generano un silenzio assordante! Non voglio giudicare, ma non trovo risposte razionali a queste dinamiche!”