La svolta disperata sulla terza dose, la durata del certificato Covid e l'aria di lockdown
di Andrea Leoni
Finalmente il Consiglio Federale ha pigiato l’acceleratore sulla nuova fase della campagna vaccinale: quella legata alla “terza dose”. Un elemento decisivo che era rimasto finora confinato ai margini della strategia di contrasto a questa nuova ondata pandemica. “Eppure è l’arma migliore che abbiamo”, scrivevamo in tempi non sospetti (clicca qui), increduli di fronte alla lentezza con cui Berna tentennava sull’opzione booster.
Poi, venerdì scorso, tra il chiaro e lo scuro, senza preannunciare nulla ai Cantoni, il Governo ha tagliato d’imperio i tempi di accesso alla terza iniezione: da sei a quattro mesi dall’ultima puntura. Con incentivo allegato: chi fa il richiamo ottiene il 2G plus e può quindi accedere ovunque senza tampone. L’accelerazione di Berna somiglia tanto a una mossa della disperazione. Per troppe settimane si sono dormiti sonni profondissimi sulla terza dose e ora si cerca affannosamente di recuperare il clamoroso ritardo, gettando con un’iniziativa improvvisata la patata bollente nelle mani dei Cantoni. Cantoni che non erano organizzati per gestire una svolta tanto repentina da stravolgere la logistica che era stata pianificata. Un pasticcio, il solito pasticcio, che il nostro Paese compie per la seconda volta a cavallo dell’inverno, in un mix esplosivo di attendismo al limite dell’incoscienza, di beghe federaliste, di rimbalzi nelle responsabilità.
Il risultato è stato che mentre la nuova ondata cresceva minacciosa all'orizzonte, abbiamo cominciato a montare le difese partendo dalle catapulte e dalle cerbottane. Il cannone, la terza dose, lo abbiamo lasciato in cantina, presi come eravamo a discutere sulla catena di comando e sull’utilità dell’estensione dell'obbligo d'indossare le mascherine….
La mossa della Confederazione, benché disperata, è comunque corretta anche se insufficiente. Resta inspiegabile come non sia stato ancora ridotto, perlomeno a 9 mesi, la durata del certificato Covid. Una misura urgente che trova solide ragioni anche solo nella logica. Già con la variante Delta sappiamo che dopo 5/6 mesi la protezione vaccinale cala drasticamente il che, senza booster, rende spuntato, se non inutile, lo strumento del green pass così come inteso oggi. Non parliamo di Omicron: i primi studi sembrano indicare come due dosi, siano del tutto insufficienti. Da qui appare poco comprensibile anche l’ottenimento del 2G plus per coloro che hanno completato il ciclo vaccinale con due dosi negli ultimi 4 mesi.
A proposito di Omicron. In questa fase, con dati ancora traballanti, diffidiamo di qualunque ipotesi sull’impatto sanitario che avrà questa nuova variante. La verità è che oggi una risposta solida non esiste e occorre solo aspettare l’evolversi della situazione.
Certo è che i chiari di luna nella Svizzera tedesca e intorno a noi non sono rassicuranti. Credevamo che la parola “vaccino” avrebbe cancellato la parola “lockdown”. Non è successo. La prima a cadere è stata l’Austria, seguita in queste ore dall’Olanda e tutto lascia credere che altri Paesi europei seguiranno a ruota. La Svizzera, non nascondiamocelo, è tra i principali indiziati. Tutti ci auguriamo che non accadrà, ma dobbiamo essere pronti. La sensazione, sinistra e sgradevole, è che stiamo cercando di tenere in piedi la casa con gli stuzzicadenti, ma ogni giorno viene giù una parete: forse è troppo tardi. Vedremo se chi, come l'Italia, ha preso tempestivamente misure preventive, accanto a un'ottima copertura vaccinale, sfuggirà al confinamento.
Tutto questo ci fa desumere che il vaccino è stato finora un’ottima arma dal punto di vista sanitario, ma si è rivelato insufficiente dal profilo sociale. Almeno con la copertura vaccinale raggiunta in Svizzera. Ha salvato la vita a migliaia di persone, ha fatto drasticamente calare le ospedalizzazioni, ma non ci ha restituito né le libertà individuali né la tanto agognata normalità pre pandemica. Occorre prenderne atto, anche se la frustrazione è enorme. Credevamo di aver fatto un passo da gigante verso la fine del tunnel e invece abbiamo fatto solo un passettino. Va meglio di un anno fa ma non abbastanza.
Occorre essere onesti: non sappiamo quel che ci riserverà il futuro. Un giorno finirà, perché tutto ha un inizio e una fine, ma nessuno può dire come e quando. Ci sono incognite gravose, soprattutto legate alle nuove varianti, ma anche speranze, come vaccini più efficaci, nuovi farmaci e un’evoluzione meno aggressiva della malattia. Non abbiamo consolazioni da offrire, ma solo crudo realismo.