Il listone di Lega e UDC potrebbe ipotecare il successo della destra, mentre gli altri partiti giocano sulla difensiva
di Andrea Leoni
In Ticino potremmo andare incontro a delle elezioni cantonali con un finale già scritto, un po’ come l’ultima tornata elettorale in Italia. La destra, infatti, rischia di vincere a mani basse, per manifesta superiorità, quasi senza dover giocare la partita. La sola alleanza tra Lega e UDC, ormai virtualmente chiusa, mette una mezza ipoteca sul mantenimento dei due seggi in Consiglio di Stato, ma il “listone” che i due partiti si apprestano a varare potrebbe rappresentare la pietra tombale sulle ambizioni di chicchessia.
Ovviamente parliamo di Consiglio di Stato e non di Gran Consiglio - che è tutta un’altra storia - e ragioniamo sulla carta, di pronostico, come si fa alla vigilia di una competizione sportiva. Non ci sono certezze scolpite nella pietra anche perché la politica oggi corre a una tale velocità che basta un nonnulla per bruciare ambizioni e carriere. Sei mesi di campagna elettorale sono lunghi e insidiosi.
Il negoziato tra Lega e UDC è stato duro, aspro, pieno di litigi, intoppi e contraddizioni, ma finora non ha mai rischiato di naufragare davvero. Ora manca l’ultimo passaggio e salvo imprevedibili colpi di testa last minute, in pochi giorni tutto sarà ufficiale, messo nero su bianco.
Se fumata bianca sarà, giusto o sbagliato che sia, la destra dimostrerà ancora una volta di aver un grado di pragmatismo, un’attitudine alla realpolitick, superiore a quella degli avversari. Così sono diventati la prima area politica del Cantone, mirando all’obbiettivo senza perdersi in distinguo schizzinosi e nell’arte pugnettista di spaccare il capello.
Questa è la promessa, poi c’è il contenuto. L’occhio dell’osservatore non può rimanere indifferente di fronte alla forza e alla competitività della lista. Nonostante vi siano due uscenti, di gran lunga avvantaggiati rispetto agli altri candidati, Lega e UDC schiereranno il capogruppo in Gran Consiglio Boris Bignasca, il presidente democentrista Piero Marchesi e un quinto nome comunque non trascurabile, che sia il deputato Paolo Pamini o il municipale di Lugano Tiziano Galeazzi. Non solo nomi ma anche concorrenza dichiarata, in particolare con la sfida di Marchesi a Zali, con Bignasca incaricato di sbarrare la strada al Consigliere Nazionale. Manca una donna, ma a destra non si fanno di questi problemi.
Al momento nessun partito sembra in grado di schierare una lista altrettanto competitiva. L’area rossoverde, nonostante il seggio lasciato libero da Manuele Bertoli, ad oggi punta tutto sulla candidatura blindata di Marina Carobbio, tra i noti malumori scissionisti, mentre la lista PLR sembra un po’ un piano B, un vorrei ma non posso. Del PPD non si hanno notizie. Gli avversari di Lega e UDC sembrano i primi a riconoscere la superiorità della destra, preferendo giocare sulla difensiva.
La lista “demoleghista”, a livello di panachage, rischia anche di creare un’emorragia di voti al centro come nell’area rossoverde. Non è infatti difficile immaginare che la contesa tra Zali e Marchesi, produrrà un massiccio soccorso di socialisti ed ecologisti al ministro del territorio, mentre l’area liberale e pipidina legata all’economia andrà in sostegno del presidente democentrista.
Game over?