Il discorso dell’ex consigliera di Stato all’assemblea annuale di Ticinomoda: “Dobbiamo salvaguardare i redditi e il lavoro, non spingere i cittadini a dipendere dai sussidi o a trasferirsi”
di Marina Masoni *
La pandemia con le misure di protezione dai contagi ha avuto ripercussioni gravi, la guerra avviata dalla Russia con l’aggressione dell’Ucraina e le conseguenti sanzioni economiche pure, il rarefarsi dell’offerta energetica con l’aumento dei costi anche. Ma quello che vediamo noi è un forte dinamismo imprenditoriale, una notevole capacità di rispondere ai cambiamenti e alle difficoltà.
Molte aziende hanno sofferto, alcune non ce l’hanno fatta e hanno chiuso, altre si sono trasferite o hanno ridotto gli effettivi. Altre ancora hanno però saputo trasformarsi, cogliere nuove occasioni, crescere. In base alla nostra esperienza possiamo dire che per ogni azienda che chiude, o riduce l’attività o lascia il territorio, altre crescono, potenziano i loro effettivi o si traferiscono qui. Le nostre associate hanno nel complesso lo stesso numero di addetti che avevano nel 2019.
I più pessimisti potrebbero dire che il saldo è stagnante, ma guardando a tutto quello che è successo in questi quattro anni, oso dire che è un buon risultato. Nella nostra tradizione ultracentenaria sul territorio Ticinese, a partire dal settore dell’abbigliamento, la moda ha dovuto reinventarsi e rinnovarsi continuamente. Ma ha dimostrato e sta dimostrando di saperlo fare. Non saremmo qui oggi se non fosse così. Ticinomoda fa la sua parte: come associazione di categoria ci concentriamo sui contratti collettivi, sulla formazione e sulle condizioni quadro.
Per quanto riguarda i primi, Ticinomoda ha sottoscritto due contratti collettivi di lavoro che si applicano a ognuna delle nostre associate (uno per gli addetti alla produzione e uno per gli impiegati di ufficio, compresa la logistica): le commissioni paritetiche controllano che vengano applicati. Anche in questi anni difficili, con i sindacati le discussioni sono spesso vivaci, ma sempre costruttive. È una tradizione del nostro Paese che cerchiamo di tenerci stretta.
Riguardo alla formazione, oltre le attività ordinarie (formazione di base e continua con la camera di commercio e con le scuole della moda SAMS e STA), abbiamo programmato e avviato nel gennaio di quest’anno il secondo master in Fashion Innovation in stretta collaborazione tra le nostre aziende e SUPSI. Stiamo ora lavorando al progetto di un premio per il migliore lavoro di master di studenti sia USI sia SUPSI che abbia per oggetto la moda.
Per le condizioni quadro, sosteniamo gli sforzi generali e le fatiche di Sisifo della Camera di Commercio, che ringraziamo, consapevoli che lo spirito del tempo non è favorevole all’impresa e al lavoro.
Approfitto però della presenza del ministro delle finanze e dell’economia per perorare la causa degli sgravi fiscali alle persone fisiche: soprattutto dopo la prevedibile prossima approvazione dell’imposizione minima internazionale per le grandi aziende, il fattore del carico fiscale delle persone fisiche acquisisce maggior importanza nella competitività del territorio. Vale per i manager, che devono scegliere dove stabilirsi, ma naturalmente anche e soprattutto per chi nel nostro territorio già vive e lavora. Dobbiamo salvaguardare i redditi e il lavoro, non spingere i cittadini a dipendere dai sussidi o a trasferirsi. La correzione della progressione a freddo fa la sua parte, ma non è sufficiente.
E non dimentichiamo che ogni aumento di valutazione fiscale (come quelli intervenuti negli scorsi anni) o delle stime immobiliari (come quello previsto entro due anni) è un secco, doppio aumento delle imposte. Di certo, il clima politico non è dei migliori e men che meno è dei più costruttivi. La campagna elettorale per le elezioni cantonali si è appena conclusa, per le elezioni federali già si sono accesi i motori, e dietro l’angolo stanno le elezioni comunali, che tradizionalmente scaldano gli animi dei Ticinesi più delle altre.
Oggi sentiamo parlare di “permacrisi”: è un neologismo poco elegante, a dire il vero, che è stato designato parola dell’anno 2022 da Collins, nel mondo anglofono, e sta arrivando anche qui. Sta a dire che da qualche tempo saremmo entrati (e ci si riferisce normalmente all’Occidente) in uno stato nuovo di crisi ravvicinate, tensione permanente, emergenze sovrapposte: crisi permanente, abbreviata in permacrisi.
Ma è davvero una situazione così nuova? Da parte mia ho seri dubbi. Ho dubbi di principio, naturalmente, perché l'incertezza e l'instabilità sono intrinseche alla vita; le crisi e le difficoltà sono intrinseche a qualsiasi attività. Nell’idea che una crisi permanente sia una novità del terzo millennio giuoca certamente un ruolo una naturale dose di egocentrismo umano e la debolezza della nostra memoria storica che fa pensare a ogni generazione e a ogni tempo di essere unici e nuovi. Da un certo punto di vista è una verità, anche perché ogni essere umano è unico e nuovo, ogni momento storico lo è. Ma le difficoltà e le crisi non sono nuove. Non è nemmeno nuovo che siano gravi, ravvicinate. Impreviste, anche quando a ritroso ci sembrano evidenti.
Pensiamo a un esempio concreto: per l’Europa, i primi 23 anni del terzo millennio sono stati davvero peggio dei primi 23 anni del Novecento? Da che punto di vista? Non da quello della pandemia: l’influenza del 1918-20 era stata più drammatica ancora del Coronavirus, le stime più prudenti arrivano a almeno cinquanta milioni di morti, una vera strage. Non da quello dell’inflazione: in Svizzera abbiamo i dati precisi solo dal giugno del 1914, ma tra il 1914 e il 1923 si oscilla tra la deflazione e l’inflazione, che arriva a superare il 20% annuo. Per confronto: dal giugno del 1914 all’aprile del 1923, l’inflazione complessiva in Svizzera è del 61,7%; dal giugno 2014 all’aprile 2023, l’inflazione totale è del 4,7%. In Germania, tra il 1919 e il 1923 l’inflazione aveva superato il 600% all’anno; in Italia il 300% annuo; in Austria il 1000%: da farci rabbrividire e da far impallidire anche le peggiori inflazioni dei giorni nostri. Dal punto di vista dell’instabilità geopolitica e delle guerre nemmeno: non occorre ricordare gli orrori e le devastazioni della prima guerra mondiale. Fatico a trovare in cosa i nostri tempi sarebbero peggiori. Naturalmente la prospettiva cambia se scegliamo riferimenti temporali a caso (come mentalmente facciamo spesso): se paragoniamo gli ultimi 4 anni a un qualsiasi quadriennio di pace e prosperità dell’Occidente. O magari se pensiamo ad altre regioni come gli Stati Uniti: ma il Novecento non ha risparmiato difficoltà nemmeno a loro.
Forse la percezione diffusa di trovarci in una modalità nuova di crisi continue è dovuta all’accelerazione portentosa e alla diffusione capillare delle informazioni e delle comunicazioni, al fatto che tutto quello che succede in ogni angolo del mondo sembra succedere “qui e adesso”. Le ragioni di questa sensazione possono essere molteplici, non tutte concrete e misurabili, e non vogliamo né possiamo analizzarle oggi. Però è giusto innanzitutto esaminare la fondatezza di questo termine. E poi chiederci come vogliamo, semmai, rispondere. Mi pare contraddittorio concludere che siamo entrati in permacrisi e rispondere con l’immobilismo, con la domanda perpetua di sicurezza senza libertà, con l’incapacità di aggiornarci. Questa espressione non può diventare un alibi. Se nel terzo millennio è davvero iniziata una permacrisi, dobbiamo concludere che le aziende hanno saputo rispondere e rispondono con agilità permanente, adeguamento permanente. E che le nostre liberaldemocrazie devono riflettere bene sul da farsi: non potremo rispondere con il diritto d’emergenza permanente. Non potremo trasformare gli strumenti di necessità e di urgenza in utensili quotidiani.
Se la permacrisi è davvero qui, dobbiamo seriamente lavorare per creare strumenti con cui le liberaldemocrazie la possano affrontare. Si tratta di scongiurare i rischi e le tentazioni totalitarie, antidemocratiche, illiberali e - continuando con il paragone con i primi anni del Novecento - anche devastanti, distruttive, che una situazione di crisi permanente aggraverebbe. Si tratta di aggiornare le liberaldemocrazie, rimanendo società aperte liberaldemocratiche, vivaci, pluraliste, coinvolgenti e ben preparate, in grado di creare benessere, capaci di trovare il consenso sulle risposte da dare. Se la ragione concludesse che la permacrisi c’è davvero, ci troveremmo di fronte a un compito difficile, da affrontare con l’ottimismo della volontà.
* Presidente Ticinomoda