di Oliviero Pesenti * (discorso pronunciato all’assemblea dell’Associazione industrie ticinesi)
“Confesso di sentirmi le mani sporche di sangue”. Così disse Robert Oppenheimer, fisico statunitense noto per la costruzione della prima bomba atomica, nell’autunno del 1945, al Presidente degli Stati Uniti Harry Truman dopo l’uso di due bombe atomiche in Giappone, che misero fine alla Seconda guerra mondiale. Quello che definiva un progresso per l’umanità, lo sviluppo dell’energia atomica, iniziava in realtà da una scia di morte che segnava l’evoluzione del mondo moderno e la sua successiva spartizione fra superpotenze, che conosciamo ancora oggi.
Viviamo in un mondo percorso da venti di guerra, anche a noi vicini, che sembra tornare a quel periodo nefasto della storia dell’umanità. Sconvolgimenti militari e politici, che creano un mondo frammentato e spostano i rapporti di forza fra nazioni e blocchi di paesi alleati. Tutto ciò ha conseguenze dirette per le imprese e gli imprenditori. Proprio per questo abbiamo deciso di dedicare questa 62esima Assemblea di AITI ai temi della geopolitica e della geoeconomia, per capire meglio come leggere la situazione e a cosa prestare attenzione. Ci faremo aiutare in questo in particolare da due ospiti con grande esperienza e preparazione, il dottor Paolo Magri, Vicepresidente esecutivo dell’Istituto per gli studi di politica internazionale, l’ISPI, che ha sede a Milano, nonché docente di relazioni internazionali all’università Bocconi, e dal Professor Franco Bruni, Vicepresidente dell’ISPI e Professore emerito presso il dipartimento di economia dell’Università Bocconi, che ringrazio per avere accettato il nostro invito. Non posso tuttavia non partire da qualche considerazione che riguarda il nostro contesto regionale e nazionale.
La politica ha abbandonato il paese?
Quella che io ho messo in forma interrogativa per diversi imprenditori del territorio si è invece trasformata in un’affermazione, anzi in una constatazione. Lo spettacolo messo in atto dalla politica per l’approvazione del preventivo 2024 del cantone Ticino è stato l’ultimo tassello di un’involuzione pericolosa del dibattito politico in questo Cantone. A fronte di una tenuta dell’economia nonostante tutto e dei gettiti d’imposta, siamo oramai entrati stabilmente in una dinamica di costi crescenti per le imprese e i cittadini. In parte la crescita dei costi è indotta da situazioni oggettive, pensiamo ad esempio all’invecchiamento della popolazione. In parte, invece, è causata dal crescente peso dello Stato, che per taluni è oramai diventato il comodo rifugio al quale chiedere soldi e protezione, dimenticandosi che il progresso economico e sociale deriva, prima di tutto, dalla nostra azione in quanto cittadini ma anche imprenditori.
Il Cosiglio federale, lo scorso 8 marzo, ha mostrato la via. Ha nominato un gruppo di esperti esterno che entro la fine dell’estate dovrà proporre delle misure per correggere il bilancio dello Stato, che è tornato a produrre disavanzi. Non abbiamo grossi dubbi sul fatto che Consiglio federale e Camere federali correggeranno la rotta delle spese, anche se ciò costerà parte del consenso popolare. Proprio qui possiamo cogliere la debolezza del cantone Ticino, quasi del tutto incapace a livello politico di intervenire con riforme e piani di risanamento.
Terrorizzata dal pericolo di poter perdere consenso, la classe politica evita concretamente di entrare in materia di un riequilibrio della spesa pubblica, nemmeno davanti all’evidenza dei fatti. Così facendo spinge il paese su un pericoloso piano inclinato, che conduce rapidamente al dissesto finanziario dei conti pubblici e alla sparizione di spazi finanziari per progettualità e
investimenti.
Noi di AITI, e non solo noi beninteso, abbiamo già detto cosa bisogna fare e lo abbiamo ribadito anche nel nostro Piano strategico “Ticino 2032” pubblicato nel 2022, nonché nell’Assemblea dello scorso anno. La politica deve avere una visione, una missione con degli obiettivi e una strategia per realizzarli. Di ciò in Ticino, purtroppo, non c’è quasi traccia. Eppure, di alternative non ce ne sono. Dobbiamo investire in formazione e innovazione, dobbiamo anticipare e gestire le fasi di cambiamento, come quella dell’invecchiamento della popolazione. Dobbiamo fare sviluppo economico migliorando le condizioni quadro per chi fa impresa, cioè gli imprenditori. Sappiamo insomma molto bene cosa è necessario fare, ma chi deve decidere non lo fa.
Per quanto tempo ancora? Per quanto tempo ancora la politica potrà evitare di fare quello che pochi hanno il coraggio di dire pubblicamente, cioè, incidere sulla carne viva della spesa? Lanciamo qui un monito alla politica: di fronte all’esplosione della spesa pubblica, sentiamo sussurrare, anche negli ambienti politici borghesi o ritenuti tali, che inevitabilmente bisognerà trovare nuove entrate, il che si traduce comprensibilmente in un aumento delle imposte per tutti. Quella che è una strategia precisa della sinistra, cioè, andare a prendere i soldi laddove, secondo loro, ci sono, si sta facendo spazio anche in parte del fronte politico più moderato. Nuove imposte per qualche categoria di contribuenti, nuove tasse per tutti e attacco alla sostanza immobiliare che al momento sembra essere il piatto più ricco del banchetto. Noi ci opporremo con tutte le nostre forze a questa sorta di saccheggio delle tasche dei cittadini e delle imprese, e, se del caso, contribuiremo a chiamare il popolo a esprimersi in votazione tramite iniziative e referendum.
Beninteso, lo abbiamo detto più volte, l’imprenditore non si sottrae alla discussione sul reperimento di nuove risorse, ma deve trattarsi di risorse finalizzate a garantire gli investimenti necessari per fare sviluppo economico durevole, prima di tutto in materia di formazione e innovazione.
Nessuna cambiale in bianco da parte nostra fino a quando la classe politica non ci dimostrerà visione, obiettivi e strategia per fare evolvere economia e società. Noi chiediamo con forza la revisione dei compiti dello Stato, per troppo tempo rimasti immutati, e non accetteremo arrampicate sui vetri per dire che non si può fare.
Perché “SÌ” alla riforma fiscale in votazione il 9 giugno
In attesa di votare a settembre o a novembre sull’abolizione della tassa di collegamento, cioè la “famigerata” tassa sui posteggi, abolizione beninteso che le organizzazioni economiche sosterranno, a meno che il Gran Consiglio non trovi il coraggio di abolirla direttamente lui, non posso non accennare all’importante votazione cantonale del prossimo 9 giugno: la riforma della
legge tributaria, contro la quale è stato lanciato il referendum. Una riforma che il mondo economico sostiene in maniera compatta e che vi invita a sua volta a sostenere.
Purtroppo, e puntualmente in questo Cantone, attorno a questo importante tema, si è sviluppato un dibattito nutrito di preconcetti e argomenti falsi, da parte degli avversari della riforma, naturalmente, ma anche da parte dei mass media: e questo è molto grave! La si definisce infatti una riforma per i ricchi quando invece non è così. Intanto, iniziamo con il ricordare che, qualora la riforma fiscale venisse bocciata, tutti i cittadini contribuenti si vedranno aumentare le imposte di almeno un 3 per cento, già a partire dalla dichiarazione fiscale valida per il 2024. Certo che la riforma fiscale prevede una riduzione dell’aliquota massima d’imposta, per cui i redditi più alti ne beneficeranno. Ma chiamarla “regalo ai ricchi” è falso oltre che sbagliato.
Prima di tutto è nostro dovere togliere il cantone Ticino dagli ultimi posti della classifica della competitività fiscale intercantonale per collocarlo nella media svizzera. Una scelta sensata e obbligata. Le aziende sono confrontate a un problema di reperimento del personale qualificato sempre più grave e uno dei sistemi per fare fronte alla situazione è anche quello di non penalizzare fiscalmente i quadri dirigenti delle aziende, perché sappiamo che le imprese si insediano in un territorio anche giudicando quante imposte devono pagare i propri collaboratori.
Sappiamo bene che il cantone Ticino continua a perdere possibilità di fare insediare attività economiche, proprio perché l’imposizione fiscale a carico di chi lavora e guadagna è fortemente penalizzante. Gli avversari della riforma fiscale concentrano il fuoco sul tema del regalo alle persone che hanno redditi elevati. Un’assurdità nelle cifre. A parte il fatto che stiamo parlando di una riforma che costa una quarantina di milioni di franchi a fronte di un bilancio dello Stato di 4 mila milioni, senza considerare le ricadute positive per lo Stato in termini di gettito fiscale, vorrei ricordare che in Ticino una minoranza di contribuenti pagano quasi i due terzi delle imposte delle persone fisiche: parlo di 18'000 persone con un reddito imponibile di almeno 100'000 franchi su 200'000 contribuenti effettivi, di cui 50'000 all’atto pratico non pagano imposte. La riforma fiscale in votazione prevede altre misure importanti:
- Aumento delle deduzioni per spese professionali, che va dunque a vantaggio di chi lavora
- Limitazione del tasso d’imposizione per chi preleva il capitale di previdenza
- Riduzione delle imposte di donazione e successione per chi non è parente diretto, dunque partner di fatto, fratellastri, figli di un partner, ma anche quando l’azienda viene lasciata a un collaboratore meritevole
- Il Gran Consiglio ha voluto aggiungere un taglio lineare dell’imposta cantonale dell’1,66 %, di cui beneficeranno tutti i cittadini contribuenti e cui si aggiungerà in proporzione ai moltiplicatori d’imposta anche un adeguamento delle imposte comunali
Le cittadine e i cittadini devono aver ben chiaro che non approvando la riforma tributaria del 9 giugno, saranno loro stessi ad aumentare le imposte che devono pagare! Quindi bisogna votare SÌ. Vorrei inoltre sottolineare il fatto che una bocciatura popolare della riforma fiscale chiuderebbe il discorso per molti anni e il cantone Ticino resterebbe stabilmente nelle ultime posizioni della classifica intercantonale, compromettendo la possibilità di fare sviluppo economico sul territorio. Non si tratta affatto di un regalo ai ricchi. Si tratta piuttosto di non impoverire e di modernizzare il Cantone, anche dal punto di vista fiscale.
Parco dell’innovazione sì, ma non dimentichiamo le aziende “tradizionali”
AITI diventerà fra qualche settimana azionista del Parco dell’innovazione del cantone Ticino, insieme ai colleghi della Camera di commercio, il Cantone, BancaStato, Università della Svizzera italiana e Supsi. Questo Parco si svilupperà attorno a centri di competenza tematici (ne esistono già tre attivi) e l’obiettivo è quello di irrobustire l’economia cantonale attraverso lo sviluppo innovativo di attività che dovranno far crescere il territorio da un punto di vista economico. Ci impegneremo dunque affinché questi progetti mettano radici in Ticino e permettano al nostro Cantone di creare ulteriore valore aggiunto.
A noi preme però ribadire, e lo abbiamo detto più volte anche ai rappresentanti del Cantone e alla politica, che tutte le altre aziende che non faranno parte del Parco dell’innovazione, e sono la gran parte della nostra economia, devono essere sostenute e supportate realmente nei loro sforzi di creare economia e valore sul territorio. Non stiamo chiedendo soldi, bensì attenzione, che per noi significa mettere a disposizione condizioni quadro che permettano agli imprenditori di operare al meglio. Oggi non è del tutto così. La burocrazia legata ad esempio ai permessi di lavoro e di costruzione deve essere ridotta e velocizzata; il decreto esecutivo del Governo sull’impiego di manodopera residente, deve essere eliminato perché impedisce a molte aziende di accedere agli strumenti della legge cantonale per l’innovazione economica.
Mancano sul territorio opere infrastrutturali viarie e di altro genere attese da anni. L’amministrazione pubblica è purtroppo ferma a modi di lavorare e operare del passato. La formazione scolastica e professionale deve essere promossa ulteriormente, ascoltando anche le richieste e le necessità delle imprese; occorre aumentare gli sforzi privati e pubblici per digitalizzare le imprese e ampliare l’uso delle tecnologie e dell’intelligenza artificiale. Insomma, constatiamo che diversi altri territori, sia vicini che lontani, a nostro giudizio dedicano molta più attenzione al mondo delle imprese esistenti. L’autorità non deve dare per scontata l’esistenza sul territorio di realtà industriali, anche se sono qua da alcuni decenni, perché ora si trovano in una situazione strutturale e congiunturale ben più difficile.
Bisogna ascoltare chi fa impresa, perché è oggi confrontato da un inasprimento delle difficoltà legate al franco forte, dalle barriere commerciali all’estero che colpiscono le nostre esportazioni, dall’aumento dei prezzi dell’energia e dei costi delle catene logistiche e di fornitura. Lo Stato non può cullarsi nell’idea, sbagliata, che le aziende esistenti sul territorio saranno sempre
qui anche se le condizioni per fare impresa peggiorano. Autorità e politica: ascoltate cosa vi stanno dicendo le aziende e reagite nella maniera dovuta e appropriata!
Regoliamo in forma duratura i nostri rapporti con l’UE e con il resto del mondo
Come tutti sappiamo, il nostro è un settore quasi totalmente votato all’esportazione. Per metà l’economia svizzera vive grazie alle esportazioni. Dipendiamo dai nostri clienti all’estero e dalla regolazione delle nostre relazioni istituzionali ed economiche con il resto del mondo. Saggiamente negli ultimi dieci anni la Svizzera ha quasi raddoppiato il numero degli accordi di libero scambio con altri paesi al di fuori dell’Europa, fra cui la Cina, l’Indonesia e ultimamente anche l’India. Questi accordi sono di fondamentale importanza per le nostre esportazioni. Ma l’Unione europea resta di gran lunga il nostro principale mercato di riferimento. Proprio in questo ambito è iniziata la partita decisiva. Lo scorso mese di marzo, Svizzera e Unione europea hanno infatti avviato nuovi negoziati per regolare le future relazioni fra i due partner. L’UE e la Svizzera intrattengono forti relazioni commerciali ed economiche basate sugli attuali pacchetti di accordi bilaterali settoriali, che tuttavia devono essere adattati all’evolversi delle situazioni. Abbiamo bisogno di maggiore stabilità nel tempo nelle nostre relazioni con l’UE e, dunque, salutiamo con favore l’avvio di questi negoziati, che devono portare però a una conclusione in tempi sufficientemente rapidi.
Dopo il fallimento delle trattative sull’Accordo quadro, ora nessuna delle due parti può più sbagliare. Bisogna dunque trovare un compromesso accettabile sull’utilizzo delle regole istituzionali per la partecipazione della Svizzera al mercato unico europeo.
Chiediamo quindi ai negoziatori svizzeri di dimostrarsi capaci nel difendere le prerogative della Svizzera ma anche a trovare i giusti compromessi, laddove opportuno, anche per noi.
Situazione geopolitica e conseguenze per le aziende
Vengo alla conclusione della mia relazione presidenziale. Perché il disordine, la violenza, il caos, danno la sensazione di essere le nuove regole del sistema internazionale, mentre la pace, la prosperità, lo Stato di diritto, le libertà, che furono dati alcuni anni fa come premesse della fine delle guerre, non sembrano più valere? Quali dinamiche dominano il mondo oggi? Il mercato o la forza? L’economia o i fatti della geopolitica? Il mondo nuovo che sta nascendo ha urgente bisogno di giovani leader audaci e capaci di comprendere le sfide che ci attendono, fatte di nuove prospettive e opportunità.
In sostanza, di una nuova era politica capace di abbracciare un nuovo modo di pensare e spingere ad un cambiamento sistemico e comportamentale. La posta in gioco è troppo alta se il mondo non si unisce per sfruttare al meglio le nostre capacità collettive. Dalle grandi elezioni in tutto il mondo alle catastrofi simultanee e convergenti, il 2024 sarà un anno cruciale che plasmerà il panorama geopolitico e il futuro dell'economia e dell’umanità. Una cosa è certa però, qualsiasi progresso globale nel 2024 passerà, obbligatoriamente, dalla pace, perché non ci può essere sviluppo economico e sostenibile senza pace e stabilità politica. La pace, quella vera la si ottiene mettendo attorno ad un tavolo i due contendenti... non uno solo. La guerra è distruzione e morte anche per le nostre imprese. La guerra è povertà generalizzata. In un simile contesto, sono pertanto fuori luogo e inaccettabili certe dichiarazioni di presidenti nazionali di partiti di governo che chiedono all’economia di tornare ad assumersi maggiori responsabilità.
L'economia e gli imprenditori di questo paese si sono sempre assunti le loro responsabilità e continueranno a farlo nel limite delle loro possibilità. È invece ora che la politica tutta si assuma le sue di responsabilità, senza se e senza ma, e che la smetta di passare il suo tempo a correre dietro ai consensi elettorali e a fare del marketing partitico.
Il paese ha bisogno di visione, coesione e lungimiranza politica. È il senso di responsabilità degli imprenditori che va piuttosto riconosciuto, compreso e apprezzato. Il nostro impegno di imprenditori e aziende non è cambiato: fare profitti per investire e far crescere le aziende, soprattutto in termini di posti di lavoro; contribuire, così facendo, allo sviluppo economico e sociale del territorio. Essere responsabili socialmente per contribuire a consegnare alle future generazioni un tessuto economico all’altezza delle situazioni e delle sfide. Tutto ciò non è affatto scontato e ci piacerebbe sentire maggiore ascolto e vicinanza da parte delle istituzioni, della politica e della popolazione.
Stiamo tutti navigando nello stesso mare, purtroppo oggi molto agitato. Sta a tutti noi scegliere la rotta giusta, per arrivare infine in un porto sicuro. Vi ringrazio dell’attenzione e vi invito ad ascoltare con interesse quanto avranno da dirci i nostri due ospiti sui temi di attualità legati agli eventi geopolitici e alle loro conseguenze per le imprese.
*Presidente AITI