SALUTE E SANITà
Suicidi giovanili, lo psicoterapeuta: "La pandemia è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso"
Pierre Kahn non è sorpreso dei numeri che parlano di un aumento importante dei tentativi di suicidio tra i giovani. "Il disagio e il malessere esistono. Col Covid ci si sente legittimati a parlare della propria sofferenza"
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Sempre più giovani svizzeri tentano il suicidio. "Siamo in uno stato d'emergenza"

23 GENNAIO 2022
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MENDRISIO – I tentativi di suicidio sono in netto aumento tra giovani e giovanissimi. Causa della pandemia? Esacerbazione di problematiche già esistenti? La Svizzera ha un problema serio? I dati resi noti dalla SonntagsZeitung domenica, dove si citava una crescita del 50% dei tentati suicidi oltre a una esponenziale dei pensieri suicidali.

Ne abbiamo parlato con lo psicoterapeuta FSP Pierre Kahn, che certamente vede un aumento della problematica e della sofferenza giovanile in genere, ma non solo riconducibile al Covid. Che anzi ha avuto anche un effetto che si potrebbe definire positivo, di legittimazione del dolore.

Cosa pensa dei dati, l'hanno sorpresa o era una tendenza che si aspettava?

“Purtroppo non mi hanno sorpreso. Il disagio e il malessere giovanile esistono, sono palpabili. Nei miei 40 anni di attività clinica è sempre esistito. Se il giovane li può esternare è meno probabile che sfocino in un gesto estremo. Quando si parla di questa delicata tematica è però necessario essere prudenti ma anche chiari e fare delle distinzioni. Esiste il pensiero suicidale, che per il giovane è visto come una alternativa ad altre possibilità quando non si vedono vie di uscita a un altro problema. Poi c’è l’idea suicidale dove si inizia a considerare una tempistica e delle modalità specifiche. Abbiamo il tentativo di suicidio o tentamen, un atto suicidario compiuto ma non andato a buon fine. E infine il suicidio con esito tragico, che è la categoria numericamente più esigua ma anche meno chiara ed esaustiva. Il motivo? Non comprende certi incidenti stradali o situazioni pericolose che coinvolgono mortalmente i giovani, e che non vengono classate come suicidi mascherati. Purtroppo non sono casi isolati, anche se difficilmente quantificabili”.

La pandemia ha influito sicuramente, ma probabilmente non è l'unica causa. dicono gli esperti. A suo avviso, dove sta la verità? Il Covid ha esacerbato la situazione e in che misura?

“Gli esperti hanno ragione nella misura in cui la pandemia rappresenta la goccia che fa traboccare il classico vaso. Nella maggior parte delle situazioni posso ipotizzare senza troppi margini di errore che la radice era preesistente. Il Covid ha esasperato queste situazioni, principalmente per due motivi. Da un lato ha limitato le libertà, riducendo le interazioni sul territorio e gli scambi quotidiani anche di contatto visivo, fisico e affettivo in senso lato. Dall’altro ha accentuato il sentimento di insicurezza che è già molto presente tra i giovani, molto più di 40 anni fa. Insicurezza riguardo la propria identità, il proprio valore, il futuro, il piacere agli altri, le aspettative altrui, il farcela, l’essere amati e l’essere degni di essere amati”.

I giovani, sostiene qualcuno, soffrono maggiormente degli adulti la pandemia. Si tratta di una questione di restrizioni e di scarsi contatti sociali, oppure incidono anche problematiche lavorative e paura per la salute?

“Come evidenziato in precedenza restrizioni e limitazioni sociali sono fattori importanti. Anche la problematica del lavoro ha avuto comunque una sua incidenza. Penso per esempio alla non possibilità o alla grande difficoltà ad effettuare stage da quando è emerso il Covid, il che preclude un cimentarsi concretamente con alcuni mestieri per capire la propria attitudine. E se già non si è sicuri di quel che si vuol fare e non si può sperimentare sul campo, diventa doppiamente difficile. Oppure penso alla difficoltà o paura concrete di trovare dei posti di apprendistato, viste le evidenti difficoltà dei datori di lavori. Non escluderei la sofferenza vissuta dagli studenti universitari, che si sono trovati per tante ore confinati in una stanza invece di vivere nuove esperienze e conoscenze in un contesto variegato e ricco, unico dal mio punto di vista nella traiettoria di vita di un giovane che accede a studi accademici. Ho incontrato anche molti giovani che hanno evidenziato paure, ansie, angosce sino a giungere ad attacchi di panico riguardo alla loro salute. Sono ragazzi che spesso hanno una matrice di insicurezza, che temono la perdita di controllo della propria esistenza o che hanno una predisposizione a essere ipocondriaci.

Nei suoi pazienti nota dei peggioramenti o ha conosciuto casi che sono sfociati in un tentativo di suicidio?

Sicuramente dopo marzo 2020 ho riscontrato dei peggioramenti nei miei pazienti. Ho dovuto anche accogliere nuovi pazienti particolarmente scossi con l’inizio della pandemia. Fortunatamente non ho avuto nessuno che ha tentato il suicidio o si è suicidato. Ne ho diversi che hanno esternato dei pensieri suicidali o che hanno messo in pratica comportamenti seri o gravi per lenire le loro sofferenze, penso a situazioni di anoressia o bulimia, o a giovani che hanno accentuato l’abuso di sostanze o usato il catting, nel quale si privilegia la sofferenza fisica a quella psichica troppo insopportabile. Penso che le mie considerazioni siano simili a quelle di altri colleghi, anche se non succede quotidianamente di confrontarci.

Cosa si può fare? Da luglio gli interventi degli psicologi saranno pagati dalla cassa malati, non manca troppo? Basta una terapia, strategia individuale dunque, oppure la situazione è tale da richiedere delle modifiche sostanziali nelle misure da parte della politica?

“Riguardo gli psicoterapeuti preciso che da luglio 2022 saranno riconosciuti dalla cassa malati di base, ma che quelli formati e accreditati lo sono già dalle complementari. Le politiche sociali e giovanili sono utili e devono fare la loro parte. Sicuramente anche le istituzioni sociali possono essere un valido aiuto, anche quelle specialistiche, come il Centro di Ginevra attivo da anni nel campo del suicidio giovanile. Dal mio punto di vista credo che la strada maestra sia la comunicazione. Il giovane deve poter esprimere il malessere, anche se passeggero, in modo privilegiato a un adulto che lo ascolti veramente senza banalizzare: un genitore, un parente, un insegnante. Non deve essere necessariamente un esperto, poi nel caso può indirizzare il ragazzo o la ragazza verso un professionista.  Questo adulto non deve essere necessariamente un esperto in un primo momento: nel caso poi non si ritenesse in grado d’aiutarlo sufficientemente, potrà sempre indirizzare il ragazzo/a verso un professionista. Quando un giovane parla di un’idea suicidale bisogna sempre drizzare le antenne. Il Telefono Amico o iniziative simili? Sono utili perché possono dare un conforto o una risposta oppure, essendo persone formate, possono comprendere che la semplice telefonata non è sufficiente e di fronte a un malessere profondo consigliano un professionista”.

Prima a microfoni spenti parlava di legittimazione del malessere. Ci spiega?

“Il nesso tra il bisogno di comunicazione del giovane e i disagi esasperati dalla pandemia, come ha sottolineato il Professor Matteo Lancini di Milano, ha legittimato, che per me è la parola chiave, questi giovani a esprimere a altra voce i malesseri che covavano in loro da tanto tempo. In un periodo dove possiamo esternare la sofferenza perché è il vissuto generale della collettività, c’è la possibilità di esprimere anche questo tipo di sofferenza. Non è qualcosa per cui ci guardano in modo strano. Nella mia pratica clinica ho notato che alcuni ragazzi che già seguivo mi hanno espresso vecchie sofferenze di cui non parlavano prima o altre sofferenze di cui non avevano parlato prima a nessuno. Mi hanno permesso di andare più in profondità nel loro malessere”.

Insisto: secondo lei gli esperti dovrebbero togliere le restrizioni per far star meglio i giovani?

“Difficile rispondere. Ci sono dei livelli di priorità, possiamo discutere per giorni se essa è la salute pubblica, l’aumento dei casi, il sovraccarico degli ospedali oppure il giovane che non può uscire. È delicato stabilirlo. Il mio punto di vista strettamente personale mette prima la salute pubblica, sperando che i giovani possano comunque comunicare e aprirsi a qualcuno anche se vivono momentaneamente più isolati. Devo dire che gli stessi ragazzi sono comunque molto attenti al discorso della salute personale e dei propri familiari e non è da sottovalutare. Non dicono comunque che vogliono uscire e divertirsi, andare in discoteca e al bar a ogni costo, sono consapevoli di quanto sta accadendo e entro un certo limite comprendono il discorso restrizioni”.

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