ANALISI
Il PLR, il raddoppio e il soccorso radicale al PS: forse il partito non è ancora pronto per tornare a vincere
I liberali radicali rischiano di abbandonare i sogni di gloria a causa del solito tallone d’Achille: la divisione fra le due anime del partito

di Andrea Leoni

Al PLR, ai nastri di partenza della campagna elettorale, non sembrava proprio mancare nulla per tornare a vincere, raddoppiando la propria rappresentanza in Consiglio di Stato.

Ha una nuova e corposa classe dirigente, allevata nella cantera di Rocco Cattaneo e già protagonista sul palcoscenico istituzionale. Ha alla testa Bixio Caprara, un generale fortunato, napoleonicamente parlando, e Christian Vitta, che sa fare il mestiere del Consigliere di Stato. Nell’ultimo periodo ha inanellato una serie di successi elettorali e politici - la conquista del sindacato di Mendrisio e la nomina di Ignazio Cassis in Consiglio Federale, per citare i due più eclatanti - che hanno permesso psicologicamente al partito di rimettersi in salute, di tornare a correre, di sentirsi di nuovo forte e competitivo: pronto per spiccare il volo.

Uno stato di grazia che pareva scalfito solo dal risultato del referendum sulla Scuola che verrà. Anzi, più che dal risultato dalla gestione della sconfitta, con la repentina e poco decorosa fuga dalla nave affondata che avevano condotto per mesi a braccetto con Manuele Bertoli. La gente queste cose ci mette un po’ a scordarsele: meglio sconfitti che cattivi perdenti.

 
Tuttavia tale inciampo non pareva sufficiente per frenare la corsa liberale radicale. Serviva altro e altro è arrivato. Ci riferiamo agli ultimi roboanti segnali interni, che hanno spalancato le finestre a vecchi spettri, da molti ritenuti ormai esorcizzati.


Il PLR, infatti, rischia di abbandonare i sogni di gloria a causa del solito tallone d’Achille: la divisione fra le due anime del partito. Nel momento cruciale della campagna elettorale, infatti - quando bisognerebbe accelerare e mettere la freccia per il sorpasso - ecco che dal motore hanno cominciato a sentirsi scoppiettii da sosta obbligata. 


Il primo è stato Dick Marti, seguito da Diego Scacchi e ieri, addirittura, l’ex ministra Laura Sadis. Tutti convinti che il seggio del PS in Consiglio di Stato vada salvato, a costo di affossare l’obbiettivo del raddoppio del partito di appartenenza.

Un “soccorso radicale” che trova crescente forza e rappresentanza attraverso la voce dei propri leader. I socialisti, giustamente, gongolano nel vedersi per una volta nel ruolo dei soccorsi e non dei soccorritori, dopo decenni di onorato “soccorso rosso” a sostegno proprio di quell’area radicale che ha sempre goduto dei voti della sinistra.


Questo, insieme alla lista unica Lega-UDC, è senza dubbio il dato politico più significativo che ci ha fin qui regalato questa campagna elettorale, afrodisiaca come una tisana alla malva.

Confessiamo che si tratta di un elemento imprevisto per le dimensioni che sta assumendo. Pensavamo che l’obbiettivo di raddoppiare in Governo e più ancora la possibilità di riprendersi l’amato DECS - ferita che ancora sanguina nei cuori di molti liberali radicali - fossero un bottino talmente ghiotto, da non farsi sedurre da aspirazioni samaritane. Invece pare proprio che una parte del PLR sia disposta a sacrificare il partito, dividendosi, come una qualsiasi sinistra europea.

La matematica, infatti, non lascia spazio alle opinioni. Se il PLR riuscirà a raddoppiare lo farà solo a scapito dei socialisti. E del resto su questa ovvietà la dirigenza del partito ha costruito sin dal principio la propria imponente campagna, attaccando apertamente il seggio del PS e costruendo proprio sul tema della formazione, cioè del DECS, la narrazione elettorale.

Una strategia polverizzata dalle indicazioni di voto dei big radicali. Il che concretizza un paradosso nel paradosso: nel momento in cui il PLR ritrova una guida a trazione statalista - vedasi, a mo’ di esempio, il mancato sostegno in Gran Consiglio al principio della sussidiarietà nella Costituzione, strabiliante per un partito liberale… - è proprio l’ala sinistra a giocare lo scherzaccio. Si può senz’altro osservare come l’assenza di un candidato radicale eleggibile, sia un fattore che favorisca il voto di soccorso a sinistra. Ma basta questo per mandare tutto a carte e quarantotto? Forse, semplicemente, il PLR non è ancora pronto.

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