E il fatto che i professionisti della RSI vengano giudicati dal Consiglio del Pubblico, resta una stortura assurda
Stimo Luigi Pedrazzini. Pur avendo caratteri e idee assai distanti, gli riconosco le qualità dell’uomo democristiano del 900: cultura politica, una spiccata capacità nel saper muovere gli ingranaggi del sistema, un riserbo felpato e quell’astuzia da sagrestia, anche vallerana, che cela la mossa più audace dietro un mite sorriso.
Conversare con Pedrazzini, sin dai tempi in cui sedeva in Consiglio di Stato, è sempre stato stimolante. Polemizzare con lui, altrettanto, anche perché Gigio, come tutti i politici del secolo scorso, è un amante della stampa, sia locale che internazionale, e perciò gli piace confrontarsi con i giornalisti, sia in pubblico che in privato. Non avesse fatto il politico penso avrebbe fatto questo mestiere, come del resto suggeriscono le sue origini da direttore di Popolo e Libertà.
Spesso e volentieri la pensiamo diversamente, come sul ruolo della CORSI, la cooperativa della quale è presidente. Dopo le polemiche seguite all’ormai celebre puntata di Politicamente Scorretto, su Liberatv abbiamo criticato con asprezza il Consiglio del pubblico, intervenuto in tempi record per demolire la trasmissione condotta da Nicolò Casolini (leggi articolo correlato). L’avvocato Renzo Galfetti,in un articolo pubblicato sul Corriere del Ticino, ha rincarato la dose: "Questi illustri concittadini - cioè le persone che siedono negli organi dirigenziali della CORSI, ndr. - che qualifiche hanno per insegnare ai professionisti della tv come si deve fare televisione?”.
Luigi Pedrazzini, in un pezzo pubblicato ieri sempre sul CdT, ha difeso il ruolo dell’istituzione che presiede, definendolo “necessario”. Perché? “In primo luogo - scrive l’ex Consigliere di Stato - per preservare l’autonomia dell’azienda radiotelevisiva che si esporrebbe a condizionamenti inevitabili qualora dovesse assumere direttamente la responsabilità di dialogare sulle proprie scelte con il pubblico e con i differenti attori della società civile (partiti, associazioni, eccetera)”.
Tale affermazione è davvero sbalorditiva. Se c’è un’organizzazione che non tiene a debita distanza i partiti dalla RSI, questa è proprio la CORSI, che al contrario li avvicina, portandoli direttamente nel ventre di Comano.
È sufficiente leggere i nomi che compongono il Comitato del Consiglio regionale, cioè il “CdA” della cooperativa, per notare come siano presenti due ex Consiglieri di Stato, due Gran Consiglieri e un rappresentante del mondo dell’economia, quest’ultimo in corsa per il Governo alle ultime elezioni. Personalità, tutte stimabili (non è questo il punto), chiaramente espressione di PLR, PS e PPD. Mentre la Lega, da qualche anno, si è chiamata fuori dai giochi, scegliendo l’Aventino.
Del resto non è un mistero per nessuno che le forze politiche partecipino attivamente per cercare di accaparrarsi i posti migliori, o comunque più posti possibili, in CORSI. E tutti sanno del mercanteggiare di voti che si svolge dietro le quinte delle assemblee: senza il sostegno dei partiti, il candidato non passa. Tutto legittimo, nessuno scandalo, ma questa è la realtà. Una realtà inconciliabile con la tesi disneyana di Pedrazzini che dipinge la CORSI come una sorta di benevolo cuscinetto a protezione della RSI dalla politica.
Più ragionevole, per contro, la seconda mission che l’ex ministro attribuisce alla cooperativa: “Un «corpo intermedio» qualificato che, nella valutazione dell’offerta, ponga l’accento sul rispetto della missione e dei valori del servizio pubblico”. La CORSI, aggiunge Pedrazzini, serve anche a proteggere la RSI dal mercato che tende “a imporre i risultati di ascolto quale elemento decisivo per valutare la bontà dell’offerta. Ma così non è, e non deve essere!”.
E qui obiettiamo di nuovo. La tesi sugli ascolti, infatti, benché condita con una dose di sano populismo (prima la qualità, poi l’auditel!), cela una grande ipocrisia. Che la RSI non debba inseguire l’audience ad ogni costo - attraverso programmi spazzatura - è pacifico dal momento che ogni anno riceve un cospicuo assegno dai cittadini proprio per potersi muovere al di fuori delle strette logiche del mercato. Così ha voluto il popolo, me compreso. Ma da qui a snobbare gli indici ce ne passa. Cosa accadrebbe ai responsabili dell’azienda se una rete perdesse troppi spettatori? O a quelli di un programma, in onda in fasce pregiate, incapaci di catturare l’attenzione di chi sta dall’altra parte dello schermo? Verrebbero messi in croce. E giustamente. Perché il principale obbiettivo di qualunque azienda mediatica è quello di raggiungere la maggior fetta di pubblico possibile. Gli ascolti sono un dato decisivo, altroché, non si scappa, soprattutto se, come nel caso della RSI, si ha un ruolo para-monopolista e il vantaggio di avere garantite ampie risorse per campare. Il resto sono solo turbe da intellò.
Per questo abbiamo difeso Politicamente Scorretto, con la sua ottima media vicina al 30%, e criticato il Consiglio del pubblico che ha sparato a zero contro una trasmissione - criticabile ma non certo spazzatura - non tenendo minimamente conto del parametro di cui si fregia nel titolo (il pubblico).
E qui veniamo all’ultimo passaggio del Gigio pensiero: “La CORSI - ha scritto Pedrazzini sul Corriere - non fa radio e televisione, né insegna a farlo, non fa giornalismo. (…) Ha però la missione e l’obiettivo di essere uno strumento al servizio dei cittadini che credono nel servizio pubblico e che vogliono contribuire a definire il livello e la qualità della sua offerta”.
“Il Consiglio del pubblico non capisce nulla di televisione”. Un’affermazione ruvida che ho scritto e che ribadisco. La responsabilità non è certo di chi siede in tale consesso ma del meccanismo che porta a comporre il sinedrio corsista sulla base di meriti partitici. Per curiosità sono andato a rileggermi alcune delle prese di posizione del Consiglio. Non insegnerà a fare televisione e radio, come afferma Pedrazzini, ma nei suoi “monitoraggi” (accipicchia!), snocciola una serie di giudizi su “ospiti”, “tempi” , “conduzione”, “spalle”, “tipi di intervista”, “studi”, “orientamenti”, “contenuti allargati” e via di questo passo. Si tratta di opinioni di merito, di pura tecnica radiotelevisiva, che possono essere espressi con cognizione di causa solo da chi è del mestiere. Oppure sono chiacchiere da parrucchiere, senza dunque alcuna pretesa istituzionale. Ed è esattamente per questo motivo che, talvolta, il Consiglio del pubblico, con i suoi giudizi un tanto al chilo, si espone a strafalcioni che maltrattano la più elementare grammatica televisiva.
Il fatto che giornalisti, autori, conduttori, e tutte le persone che fanno la RSI, debbano essere giudicati nella loro attività professionale dal Consiglio del pubblico della CORSI, resta ai miei occhi una stortura assurda. Sogno un ritorno alla normalità, ossia a un confronto diretto tra chi fa la televisione e il pubblico, quello vero. Senza il bisogno d’inutili “corpi intermedi”.