ANALISI
Ritiro Inter: quello che sta succedendo a Lugano non è normale
Il calcio è della gente e se alla gente lo neghi, ritirandoti in una blindatissima torre d’avorio, il risultato è solo un tristissimo stadio incartato

di Andrea Leoni

Spiace dirlo ma quanto sta accadendo a Lugano non è normale. Il ritiro dell’Inter in riva al Ceresio da grande occasione per la Città di mettersi in mostra in una vetrina internazionale, si sta trasformando giorno dopo giorno in una rappresentazione insipida. Una sorta di palcoscenico con i protagonisti che recitano dietro il sipario di un teatro vuoto.

Le poche immagini che le televisioni italiane trasmettono da Lugano, riprendono infatti gli inviati con alle spalle un stadio di Cornaredo impacchettato come se fosse la brutta copia di un’opera di Christo. Una fotografia piuttosto desolante. La consueta relazione, colorata e festante, che si instaura tra la società calcistica e il luogo che ne ospita il ritiro, in questo caso non c’è, non esiste. E, ripetiamo, non è normale.

Si dice che quello nerazzurro è un campo d’allenamento atipico. Che è un po’ come se l’Inter avesse spostato la Pinetina nel cuore di Lugano. Dunque porte chiuse e massimo distacco dal resto del Mondo esterno. Ma anche se così fosse la scusa non regge. Il Milan, ad esempio, si è radunato ieri nel quartier generale di Milanello. E il primo allenamento è stato visibile a tutti i tifosi, con i calciatori ben disponibili al contatto con gli appassionati per gli autografi e le foto di rito. Oggi uguale bagno di folla anche per la Juventus.

L’Inter invece non ha concesso neppure una seduta, o almeno una parte, ai propri supporter. Un divieto d’accesso annunciato da tempo. Questa scelta, oltre a una mancanza di sensibilità verso i tifosi e il territorio che ospita la società, ha evidentemente sconsigliato a migliaia di simpatizzanti di mettersi in viaggio verso Lugano. Il che ha provocato un danno alla Città, ai suoi commerci e alle sue strutture turistiche, che non hanno potuto accogliere nessuno o quasi.

Oltre a un allenamento a porte aperte, in questi casi si organizza anche un evento pubblico. La squadra al completo, o una sua delegazione guidata dal tecnico, incontra i tifosi in una piazza oppure in un villaggetto (Inter Village). Un luogo, quest’ultimo,  che avrebbe potuto essere attivo per tutta la durata del ritiro, con la possibilità di proporre attività collaterali e dare la possibilità ai tifosi d’incrociare almeno qualche dirigente o qualche vecchia gloria (brand ambassador, come li chiamano oggi), di quelle che gravitano attorno ai grandi club.

È vero, a chiusura del campo di allenamento, l’Inter disputerà un’amichevole con il Lugano, dove finalmente i tifosi potranno ammirare (a pagamento) la compagine di Antonio Conte. Ma, anche qui, nulla di nuovo. Le grandi squadre italiane disputano quasi ogni anno partite estive in Ticino.  L’11 luglio di appena due anni fa a Lugano venne il Milan, per dire.

Il Municipio, dal canto suo, difende l’operazione Inter, appellandosi agli incontri istituzionali ed economici (con vista Cina) e al social marketing che sta portando il nome di Lugano nei quattro angoli del globo, grazie in particolare agli account della società e dei calciatori. Per carità, non abbiamo le competenze per valutare né l’impatto né i benefici che tali relazioni promozionali porteranno alla Città. E concordiamo con l’Esecutivo che i mugugni sui costi a carico dell’ente pubblico (polizia, securitas, strutture d’allenamento messe gratuitamente a disposizione) sono da ritenersi infondati e insensati.

Ma se fossimo nei responsabili politici cittadini valuteremmo anche il costo dell’esperienza cancellata per migliaia di tifosi e il sentimento negativo che questo meccanismo innesca. L’associazione Lugano-Inter nella testa del pubblico non sarà positiva. Colpa del club, d’accordo, però….

Il calcio è della gente e se alla gente lo neghi, ritirandoti in una blindatissima torre d’avorio, il risultato è solo un tristissimo stadio incartato.

Il business è il business?  D’accordo, ma non diteci né che è giusto né che è normale. Perché non è vero.

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