ANALISI
Era Dio e Dio è morto
Maradona non conosceva il calcio come Mozart non conosceva la musica. Per questo era il calcio, per questo era la musica

di Andrea Leoni

Dio è morto, titola l’Equipe.  Un po’ come disse Nietzsche. E senza fede il calcio non sarà più come prima, riservandoci un futuro di decadimento edonista e commerciale.

Ma forse siamo già sintonizzati con quel domani, se consideriamo ideologici - come le grandi ideologie del ‘900 - il calcio totale e il catenaccio. Quel muro di Berlino pallonaro è già crollato, se pensiamo al calcio moderno che s’intreccia con la tecnologia, le statistiche, le architetture finanziarie e modelli di gioco non fideisti rispetto all’Idea superiore. In politica come nel rettangolo verde vediamo una somma di pezzetti delle grandi eredità del passato, mescolati con l’umore e il sentire mutevole del presente. La socialdemocrazia e il sovranismo come il gegenpressing di Klopp e il gioco di posizione di Guardiola. È tutto post ideologico.

Quindi la morte del Dio del calcio è come una profezia retroattiva, un timbro simbolico per confermarci che, sì, tutto questo è accaduto -  è già accaduto - anche se non ce ne eravamo accorti o non ci volevamo credere. Che tra la morte calcistica e quella terrena di Diego Maradona si è compiuto quel tratto di destino del calcio. E ora Dio non c’è più per davvero.

Ma perché Dio? Se il pallone è l’universo nei cui confini infiniti si sviluppa il calcio, nessuno ha mai avuto con la palla il rapporto di Diego Maradona. Un rapporto intimo, primordiale, rimasto inedito, impenetrabile e sconosciuto. Da quei primi palleggi infantili in bianco e nero, a quelli da vecchio e appesantito animale da circo quando durante le ospitate televisive, a un certo punto, inevitabilmente, qualcuno gli lanciava una pelota.

Attenzione: non parliamo qui del virtuosismo, dei freestyle alla Ronaldinho, di un “numero” che lascia a bocca aperta ma ti sembra comunque una cifra dimostrabile nella fisica del talento. Per Maradona la palla era una sorta di propaggine, una sfera a cui dare ordini per disegnare l’impossibile, per smontare e rimontare spazio e tempo, i principi fondanti del gioco, a suo piacere. E poi ricominciare daccapo. Parliamo di miracoli, che è un’altra cosa.

Maradona non conosceva il calcio come Mozart non conosceva la musica. Per questo era il calcio, per questo era la musica. Sapeva già tutto prima di cominciare, senza bisogno di conoscere, di apprendere, di praticare. Di allenarsi poi, non ne parliamo neanche. Per questo non ha mai potuto insegnare nulla sul pallone. Si insegna ciò che si fa, non ciò che si è.

Sapeva tutto e poteva fare tutto. Anche nella stessa partita. Il gol più antisportivo della storia e il più bello mai segnato. E riuscire ad ammantare entrambe le reti della stessa nobiltà (inglesi a parte, che le palle ancora gli girano, canterebbe Paolo Conte. Poveri loro…). Uno strapotere divino che nessun altro ha mai manifestato.

A Maradona nessuno ha mai chiesti i gol, quelli s’invocano con i cori ai fuoriclasse mortali, “facci un gol”, “segna per noi”. A Diego si chiedeva la presenza, bastava che ci fosse, per poter cantare “ho visto Maradona”. La stessa formula retorica che si utilizza per le apparizioni dei santi.

Così come non si può scindere il Maradona calciatore dal Maradona uomo, a meno che non si voglia fare esercizio d’ipocrisia. Un personaggio da realismo magico, capace di far esplodere le contraddizioni, le miserie e le virtù degli esseri umani. In quel Sudamerica dove il confine tra buono e cattivo, tra bandito e campione, non è una linea maginot ma un intreccio affascinante e pericoloso. E allora il Diego hombre del pueblo, intimo di Fidel e volto del nuovo bolivarismo di Chavez, e il Diego evasore fiscale e amico dei camorristi. Il Diego nemico di Bush e della Fifa e il Diego che andava a rimpinguarsi le finanze a Dubai e in altre lande poco raccomandabili. Il Diego cocainomane, alcolizzato, sfinito da ogni tipo di eccesso eppure esempio radioso di generosità, di coraggio e di ribellione.

Impossibile marcarlo, incastrarlo in un gabbia rassicurante, sul campo come nella vita. "Si yo fuera Maradona viviría como él", strimpellava Manu Chao in quella  serenata cantata in faccia al Mito nel finale struggente del film di Kusturica. Bisognava prenderselo tutto Diego Armando Maradona. Ed è per questo che era Dio e Dio è morto.

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