Il cambio di passo del Consiglio Federale nel contrasto alla pandemia e le tre scommesse perse
di Andrea Leoni
Abbiamo vissuto in un’illusione: quella di poter fronteggiare la seconda ondata pandemica con misuricchie nazionali, e restrizioni più o meno rigide a livello locale, mentre tutti i Paesi intorno a noi andavano nella direzione opposta. E nella culla di questa illusione abbiamo fatto tre scommesse. La prima è che saremmo riusciti a mettere a cuccia il virus in tempo per il periodo natalizio, che sappiamo esser gravido di socialità e di buoni affari per commercianti ed esercenti. La seconda è che con un federalismo a briglie sciolte - quello che amiamo, quello di sempre - saremmo stati in grado di gestire la pandemia. La terza è che la responsabilità individuale avrebbe agito come una sorta di vaccino sociale in grado di contenere il virus. Le abbiamo perse tutte e tre.
Per questo, dopo il cambio di passo annunciato a sorpresa martedì sera dal Consiglio Federale, il risveglio dalla contemplazione dell’Ircocervo è stato così duro e spiazzante. Foriero di rabbia e frustrazione in chi sarà colpito dalle ultime misure e di una nuova semina di smarrimento sull’umore fiaccato dei cittadini.
Negli ultimi tempi abbiamo pensato intensamente ai regali di Natali, al cenone di Capodanno e alle stazioni sciistiche, dimenticandoci gli ospedali pieni, i turni massacranti che da settimane sopportano medici e infermieri, i morti che ogni settimana contiamo a grappoli.
Uso il plurale perché sarebbe troppo facile scaricare ogni colpa sul Governo, quando questa “distrazione” è stata condivisa da tutto il Parlamento (escluso l’MPS), dalla gran parte della società civile e dalla maggioranza dell’opinione pubblica. Ci siamo rifiutati per due mesi di fare l’esame di realtà e la realtà oggi ci ha sbattuto il conto in faccia.
Bisogna dire la verità alle persone, scrivevamo in un commento di fine ottobre. Anche se queste verità sono spiacevoli e cozzano con il legittimo desiderio di normalità che alberga in un ognuno di noi. Invitavamo ad agire subito e preventivamente, con misure forti, smettendola d’inseguire il virus e senza speculare come apprendisti inventori dell’acqua calda. Purtroppo non esistono scorciatoie o soluzioni miracolose che non prevedono sacrifici per fronteggiare la pandemia. C’è solo da stare a casa, limitare i contatti personali, seguire le regole e stringere i denti. E sì, purtroppo la realtà è cruda, triste e assai meno seducente delle ricette dei negazionisti.
Gli specialisti ci avevano avvisato che sarebbe finita così. In un appello del 9 novembre Christian Garzoni e Franco Denti avevano chiesto a gran voce interventi sovrapponibili a quanto in quei giorni avveniva in Romandia (che oggi è fuori dalla lista dei peggiori) e nel resto d’Europa. Sono stati ignorati, rimbrottati e tacciati di essere degli uccellacci del malaugurio. Ma avevano ragione.
E così, in queste ore ad alta tensione, la crisi oltre che sanitaria ed economica è diventata anche politica ed istituzionale. Il Consiglio Federale si è mosso in maniera caotica e sgangherata. Prima ha delegato tutto ai Cantoni (o quasi). Poi, vista la malparata, li ha strigliati e richiamati pubblicamente all’azione. Infine, oggi, per evidente insoddisfazione, il Governo federale è entrato a gamba tesa nella gestione della crisi. E come se non bastasse, lo ha fatto prospettandoci altre tre giorni d’attesa, d’incertezza e di polemiche per concertare con i Cantoni. E chissà che venerdì non ci aspetti un’altra giravolta. Del resto, solo venerdì scorso, gli stessi Consiglieri Federali prospettavano la chiusura all'1 dei ristoranti la sera di Capodanno....Ormai si vive sulle note dell’improvvisazione.
Il problema delle mezze misure, è proprio questo: da un lato non incidono a sufficienza per raggiungere gli obbiettivi sanitari (e quindi devono essere costantemente modificate), dall’altro scavano come una goccia cinese nella pazienza delle persone. Sono sorgente d'incertezza, metronomo dell’agonia. Al posto che darci paletti e obbiettivi, ci siamo dati speranze e crocini: e che Dio ce la mandi buona.
La chiarezza, benché brutale, assicura stabilità, anche nei passaggi più difficili. Bastava fissare dei criteri sanitari chiari, oltrepassati i quali sarebbero scattate restrizioni già definite. Si trattava insomma di definire una strategia - del resto un approccio tipicamente svizzero - da applicare sia a livello nazionale che nei singoli Cantoni. Sarebbe stato tutto più comprensibile ed accettabile.
Forse così avrebbe potuto funzionare una gestione federalista della crisi, che continuiamo a ritenere un giusto approccio, seppure con il grande limite della geografia (non essendo mai entrato in linea di conto in Svizzera, come invece accade all’estero, la chiusura - in entrata e in uscita - di singole parti del Paese). Per dirla semplice: ristoranti chiusi nel Canton Friborgo e a Berna no?
Detto questo, concretezza. Le restrizioni proposte stamane dal Consiglio Federale restano comunque le meno invasive adottate in Europa in questa seconda ondata. In parte ricalcano quelle già decise dal Consiglio di Stato lunedì. Il timore più che sui singoli provvedimenti dovrebbe essere rivolto sulla loro efficacia. La paura, infatti, è che ancora una volta non bastino e che il 18 dicembre, o nel mese di gennaio, si dovrà procedere a una nuova stretta, come già ventilato dal Consiglio Federale. Speriamo di no.
Ma nonostante la melanconia del momento, non perdiamo di vista la notizia più importante. Questi sono gli ultimi sacrifici. Il vaccino è alle porte. E tra pochi mesi saremo fuori dal questo stramaledetto tunnel. Coraggio!