Ovvero la strumentalizzazione degli atti di teppismo alla Foce, pur di dare contro al Consiglio federale
di Andrea Leoni
È tragicomico il sofismo in cui si è cacciata nelle ultime ore parte della destra (non tutta, per fortuna: elogio alla coerenza per Marco Borradori), pur di alimentare la propria battaglia contro il Consiglio Federale sul tema delle riaperture. Ormai siamo al di là del bene e del male, della strumentalizzazione con doppio salto mortale carpiato per i paladini nostrani del law e order. E così, voilà, di punto in bianco ecco spuntare un rosario di giustificazioni, per convertire le scene da barrio napoletano di sabato sera alla Foce di Lugano, in propaganda politica.
Attenuanti specifiche, originali, mai concesse ad alcuno finora, neppure nel recente passato. Perfino la solidarietà alla polizia, di solito declinata perentoriamente “senza se e senza ma”, stavolta si fa “pelosa”: poveri agenti, ma la colpa è del Governo federale - e di Berset soprattutto - che con le sue decisioni ha armato di sassi e bottiglie i teppisti.
La scusante perfetta per coprire il fallimento, nell’occasione, della gestione dell’ordine pubblico (micidiale la scena dei poliziotti scacciati dai facinorosi) e per proseguire nella propria battaglia politica contro la linea governativa. Due piccioni con una fava. Ma le contraddizioni sono talmente enormi, da sfuggire alle briglie della narrazione. Certi elefanti non si possono cancellare o addomesticare, neppure con la più fervida fantasia. Vediamo perché.
È sufficiente tornare indietro di una decina di giorni, l’8 marzo, alla stazione di Lugano, per rendersi conto del doppiopesismo macroscopico che taluni esercitano. Allora nessuno dei neo coccolatori dei giovani scalmanati della Foce, aveva espresso uguale comprensione per altri ragazzi, i cui atti di violenza abbiamo unanimemente condannato. In quell’occasione non c’erano cazzi pandemici a cui appellarsi: manganellare, sprayare, zitti, muti e tutti a casa. Con piena solidarietà alla polizia, ovviamente. Tralasciamo, per carità di patria, il diverso dispiegamento di agenti, con relativa attrezzatura, e i rapporti di forza tra manifestanti e forze dell’ordine nelle due occasioni.
Seconda contraddizione. Se i giovani si fossero semplicemente radunati alla Foce per un maxi party illegale, si sarebbe potuto certamente calare una carezza di comprensione per il disagio e la frustrazione che i ragazzi stanno vivendo in questo anno drammatico. La polizia li avrebbe dispersi e morta lì, per quanto ci riguarda, come avvenuto più volte in varie parti della Svizzera e dell’Europa. La violenza da hooligans che invece ha innescato l’intervento della polizia, non ha ragion d’essere, né in tempi di pandemia né in tempi normali. Né alla Foce, né allo stadio, né alla pista, né in discoteca. Perché qui sta la falla nel ragionamento: illudersi che senza restrizioni questa aggressività strafottente sarebbe scomparsa anziché sfogarsi altrove, come sempre accaduto in passato peraltro. Ah, sia detto di passata, tra i neo giustificazionisti vi sono anche coloro che per anni hanno chiesto l’istituzione di un riformatorio per combattere il disagio giovanile…
In tutta Europa assistiamo a manifestazioni contro le restrizioni dei vari governi. Alcune pacifiche, altre no. E va bene così, è la democrazia. La gente è stanca, impaurita, arrabbiata, smarrita. La piazza può essere una valvola di sfogo. Ma il compito delle istituzioni, in una crisi senza precedenti, è quello di mostrarsi unite, di tenere il punto, di spiegare, di lenire le ansie, non di fare gli incendiari, alimentando le esasperazioni con una propaganda di tesi false o irragionevoli (“dittatura sanitaria”), né di giustificare le violenze.
La pandemia si è poggiata sulla vita di ognuno di noi e sulla società, come un’enorme cartina di tornasole. Ha fatto emergere, e ha aggravato, le nostre contraddizioni, le nostre mancanze e i nostri limiti. Lo stesso vale per i giovani e il loro mondo: tutti i nodi stanno venendo al pettine in modo deflagrante, dalla mancanza di spazi aggregativi a un disagio che ha radici che affondano molto più in profondità del pur terribile strato pandemico.
Ultime contraddizioni. Prendiamo pure per buona la tesi delle mancate riaperture come innesco della follia di sabato sera. Detto che il Consiglio Federale non avrebbe in ogni caso potuto aprire stadi, discoteche, rave e concerti, qualcuno crede davvero che se il Governo avesse autorizzato l’apertura delle terrazze dei ristoranti, la bomba sarebbe stata disinnescata? Per rispondere basterebbe ricordarsi di quanto avvenuto quest’estate, quando le limitazioni erano assai leggere, e il Municipio di Lugano fu costretto a chiudere la Foce nel weekend a causa di episodi di vandalismo e di violenza. E quindi come la mettiano?
Chiudiamo con un articolo apparso oggi sul Corriere del Ticino, a firma del presidente del Consiglio di Stato Norman Gobbi. Egli propugna la tesi della correlazione tra le restrizioni e i fattacci della Foce, chiedendosi “se davvero il Consiglio federale abbia capito quanto stia avvenendo a livello sociale”. Gobbi contesta le decisioni del Governo federale in ambito di riaperture (“La paura fa novanta”, “sorgono dubbi e insoddisfazioni”, “la terza ondata non è partita”). Ma l’Esecutivo da lui presieduto, in un comunicato stampa uscito alla chetichella sabato mattina, afferma di “condividere l’analisi delle autorità federali in merito all’attuale situazione epidemiologica a livello nazionale e sui pericoli legati alla diffusione delle nuove varianti”. Di più: “La situazione epidemiologica in Svizzera e in Ticino è segnata da un aumento del numero di contagi e impone quindi la massima prudenza”. E per oggi può bastare.