Noi siamo svizzeri, siamo neutrali, ma siamo anche europei, atlantici, occidentali. Questa è la nostra casa. Per questo dobbiamo essere uniti contro la folle guerra di Putin
di Andrea Leoni
Lo abbiamo già scritto ma lo ripetiamo perché giova farlo: non possono esserci riserve e tentennamenti nel condannare l’invasione militare dell’Ucraina da parte del Tiranno di Mosca. Vladimir Putin ha scatenato una guerra criminale alle porte dell’Europa e oggi non valgono neppure i “né-né”, di tragica memoria, di chi si ostina a mettere sullo stesso piano gli aggressori, gli aggrediti e chi li difende.
È curioso il puntiglio con il quale i “Vladi boys”, anche alle nostre latitudini, snocciolano in queste ore le colpe dell’Occidente dall’età dei dinosauri ai giorni nostri, con l’obbiettivo di giustificare l’ingiustificabile. Una perizia storica che, ad esempio, a molti degli stessi mancava quando si trattava di analizzare le “ragioni” che muovevano il terrorismo islamico. In quel caso i musulmani, senza far troppe distinzioni, andavano spianati, cacciati, banditi. Punto e basta.
Noi che eravamo intransigenti allora con gli orrori commessi dai figli di Allah, e lo siamo altrettanto oggi con quelli di Putin, continuiamo a sentirci figli dell’Europa e dei suoi valori: dalle radici elleniche a quelle romane e giudaico-cristiane, su su fino all’illuminismo e al liberalismo democratico. Questa è la nostra vecchia casa nella quale ci sentiamo a casa e dove, sugli scaffali della libreria, troneggia anche quella cultura russofona che è parte integrante del nostro sapere e della nostra coscienza.
È un vizio dell’Occidente quello di fustigarsi con i sensi di colpa, anche quando gli eventi travalicano le proprie responsabilità. Questo perché siamo figli del tarlo illuminista che ci spinge sempre a ricercare le ragioni dell’altro e ad analizzare criticamente il nostro agire. Un esercizio sano, democratico, che però, se spinto all’estremo, porta a smarrire la logica e perfino la consapevolezza di se stessi, innescando connessioni perverse che sballano la bilancia della ragione. Fa così schifo quello che siamo? Chi farebbe a cambio tra il nostro bistrattato sistema di convivenza e l’autocrazia dello Zar o di altre dittature? L’Occidente si è macchiato di crimini terribili, e qui da noi possiamo denunciarlo ad alta voce, dalla fine della guerra fredda ad oggi - citiamo solo ad esempio il bombardamento di Belgrado o l’invasione dell’Iraq - ma gli altri, quelli a cui qualcuno guarda oggi con simpatia, cosa hanno fatto? Davvero, accanto alle nostre colpe, non riusciamo a vedere anche i nostri meriti, che sono tanti, e dei quali dobbiamo andare orgogliosi?
Non saremmo voluti essere nei panni dei Consiglieri Federali, chiamati a decidere in questo pericoloso tornante della storia, su ciò che abbiamo di più caro insieme alla democrazia diretta: i confini della nostra neutralità. Una scelta gravosa che taluni pensano di liquidare con due meme su Guglielmo Tell. Ma, al di là delle sacrosante motivazioni politiche e umanitarie che hanno mosso il Consiglio Federale, ai criticoni chiediamo quale altra alternativa concreta aveva il nostro Governo, in un’economia globalizzata ed interconnessa, se non quella di far proprie le sanzioni economiche dell’Occidente, per evitare, come ha ben detto il presidente Cassis, di fare il gioco dell’aggressore, in barba alla nostra neutralità. Con quale faccia la Svizzera sarebbe diventata un porto franco, un sorta di avamposto russo nel cuore dell’Europa, dove Mosca avrebbe potuto continuare a fare i suoi affari impunemente? Noi siamo svizzeri, siamo neutrali, ma siamo anche europei, atlantici, occidentali. Questa è casa nostra e non possiamo pensare d’imboscarci in soffitta, nella speranza che qualcuno non ci noti, mentre gli altri montano le difese, fanno sacrifici e si sporcano le mani.
A noi sembra enorme la svolta della Svizzera, ed è giusto avere piena consapevolezza del cambiamento della nostra politica, che avrà conseguenze, ma buttiamo un occhio fuori dai nostri confini per avere un’idea dei mutamenti storici in atto. Prendiamo la Finlandia, un Paese neutrale come il nostro, che ha deciso addirittura di rifornire di armi offensive gli ucraini. Lo stesso ha fatto la Svezia, che pure non appartiene alla Nato. E che dire della Germania che ha scelto la via del riarmo dopo tre quarti di secolo? Oppure della decisione dell’Unione Europea di censurare i media filorussi. Ogni Paese d’Europa sta scendendo a compromessi con se stesso davanti alla chiamata della Storia, come si usa fare in tempi di guerra. La speranza che dobbiamo riporre nei nostri governanti, e richiamare ogni giorno a noi stessi, è che i compromessi a cui siamo chiamati non tradiscano mai i valori che stiamo difendendo.
Per questo non occorre smarrire il senso critico. È giusto interrogarsi, giust’appunto, sull’opportunità di inviare armamenti alla resistenza ucraina, assediata da un esercito infinitamente più forte. A quali conseguenze può portare? Esiste un’alternativa migliore? Chi stiamo armando, se le cose dovessero volgere al peggio? Ma le domande, importanti e legittime, che dobbiamo continuare a porci, non devono annebbiare l’orizzonte sull’avversario e sull’obbiettivo comune: difendere casa nostra e fermare Vladimir Putin e la sua folle guerra. Per quanto più possibile.