"Il ceto medio ha bisogno di solidarietà, di incentivi e di speranza, non di sussidi sociali, di assistenza statale e di burocrazia invasiva"
di Sergio Morisoli*
La globalizzazione con i suoi disastri, ma anche con le sue nuove opportunità, sta riaccendendo ovunque pericolose contrapposizioni massimaliste tra benessere individuale e bene comune. I primi a farne le spese e che rischiano di perdere benessere e prosperità sono “le cittadine e i cittadini dimenticati” che compongono il ceto medio. Anche in Ticino.
Il ceto medio e chi ne fa parte sono i più colpiti da: declino culturale, precarietà economica, smarrimento dei giovani, cinismo degli adulti, paura del futuro. Speranza dimenticata, desiderio appiattito e creatività sprecata, invasione statalista della vita, perdita di sovranità e indipendenza. La politica partitica fa finta di voler governare ma lascia andare le cose a catafascio perché ai partiti conviene così (anche in borsa si vince in discesa). Mantengono le rendite di posizione della vecchia spartizione statale, vivendo alla giornata. Sperano di raccogliere qualche decimale di percentuale in più da scadenza elettorale in scadenza elettorale, inventandosi per quattro anni “scazzottate” fini a sé stesse. Ormai perfino chi fa più voti degli altri, poi una volta vinto non sa cosa fare. Si può certamente fare altro e meglio per chi non fa parte di queste cordate.
Chi sono i cittadini del ceto medio
Il ceto medio non è una categoria di cittadini, astratta e indefinita, a cui occorre lisciare il pelo prima delle elezioni, ma è quella categoria insostituibile che tiene assieme il mondo e che per questo le va il massimo rispetto. Il ceto medio ha volti, nomi e cognomi concreti che incontriamo ogni giorno; persone che hanno un identikit comune: dipendenti stipendiati, salariati, piccoli proprietari, artigiani, commercianti, albergatori, agricoltori, imprenditori e casalinghe.
Sono quelli che si alzano ogni mattina per lavorare, con fatica e orgoglio tengono assieme le loro famiglie, pagano fino all’ultimo centesimo tasse e imposte, non ricevono né favori, né sussidi statali, dimenticati dalla politica e dallo Stato, non chiedono aiuti pubblici e non sono clientelari, non si lamentano e ci provano da soli, non manifestano, non sfilano e non hanno lobby. Gli viene chiesto di lavorare, produrre, pagare; crescono e educano i loro figli e quelli di altri, ubbidiscono alle leggi e se sbagliano pagano, subiscono in silenzio i danni dei mercati dopati, subiscono in silenzio le cattive decisioni politiche, hanno paura di cadere e finire tra i poveri, sanno che non saliranno più tra i ricchi. Il ceto medio è da intendere come gruppo di persone, radicato in un posto, che intrecciano rapporti primari e spontanei tra loro. Cioè, persone che scelgono di vivere in un luogo assieme, che decidono liberamente con chi relazionarsi, con chi fare affari, con chi gioire, con chi soffrire, che hanno un senso comune ecc.…È l'insieme dei cittadini che con le loro relazioni, il loro lavoro e i loro desideri tengono assieme una comunità e la fanno esistere, vivere e prosperare. Prima ancora di un insieme di cittadini, sono un popolo. Il ceto medio non è né la disponibilità di soldi né di reddito imponibile a definirlo; ma a determinarlo è quel modo di vivere, pensare, agire e di sentirsi vivi in una comunità che non si può abbandonare e che non si vuole lasciare.
Cosa possiamo fare di utile?
Ecco, li conosciamo bene, ma come e cosa possiamo fare di utile? Con i tempi che corrono, non tutti sono in grado di competere e mettersi al riparo dalle negatività o di cogliere le opportunità dei trend mondiali. Occorre essere onesti con i cittadini, noi politici non possiamo e non vogliamo far tutto. Prima delle elezioni, molti politici, candidati e partiti, quasi tutti da sinistra a destra declamano che fanno e faranno politica per il ceto medio. Sono scaltri, come il gatto e la volpe: sanno che le elezioni non si vincono né coi ricchi né coi poveri! Per vincere ci vuole la massa, lo sanno benissimo e ci provano, e purtroppo finora gli è anche andata bene. La realtà è poi molto diversa. E nel quadriennio che segue le elezioni, chi comanda fa invece a gara nel prendere decisioni proprio sfavorevoli e penalizzanti per il ceto medio: aumentano in continuazione tasse, imposte e balzelli che pagherà il ceto medio; spendono e spandono aumentando i debiti che pagherà il ceto medio; sussidiano a pioggia infinite categorie e attività di cui il ceto medio non beneficia; pianificano strade, traffico che penalizzano il ceto medio; attaccano la piccola proprietà impoverendo il ceto medio; inventano formulari, controlli e burocrazia che guastano la vita al ceto medio; distribuiscono lavori, posti e sussidi in modo clientelare ma mai al ceto medio; aprono le frontiere per piacere alla gente che piace infischiandosi del ceto medio; favoriscono ditte e attività che annullano il ceto medio; propongono politiche giovanili, familiari, scolastiche, sociali, ambientali che distruggono il ceto medio; …e si potrebbe continuare.
Cosa serve al ceto medio
Il ceto medio ha bisogno di solidarietà, di incentivi e di speranza, che non sono da confondere con i sussidi sociali, l’assistenza statale e la burocrazia invasiva. Sono invece le misure puntuali che i politici devono finalmente proporre per rispondere alle persone su molti temi. Proposte liberalconservatrici concentrate su poche cose essenziali e urgenti per i cittadini dimenticati del ceto medio per: proteggerli dai cambiamenti economici e sociali dannosi (sovranità); lasciargli più soldi in tasca (sgravi fiscali e deduzioni); assicurargli un lavoro dignitoso (occupazione); offrirgli un’eccellente educazione per i figli (riforma scuola dell’obbligo); togliergli i bastoni dalle ruote se vuol fare e se mantiene e crea lavoro (economia); difenderli dalle decisioni malsane del Governo e del partitismo (statalismo);aiutarli governando il nostro mercato del lavoro (globalizzazione).
Sono questi i temi per i quali non c’è più né destra né sinistra, ma solo e soltanto la necessità di agire per salvare questo ceto medio così importante e essenziale per la pace sociale. Io credo che ce la faremo, non tramite la politica ma grazie all’aggregazione di quelle entità della società civile che non hanno ancora spento il desiderio del bello del giusto e del buono, riunendo quelle forze spontanee che dal basso sanno cosa non deve cambiare e cosa invece può cambiare. Ci vuole uno sguardo sull’infinito, come quelli tremendi, solitari ma gonfi di significato perduto e traboccanti di desiderio di ritrovarlo delle persone alle finestre e sugli usci dei dipinti di Edward Hopper. Ci vuole realismo, ossia amore di sé; il contrario del colpevolismo, del nichilismo, del cinismo e del relativismo imperanti al momento.
Il bivio
Il bivio “rivoluzionario valoriale” glocale (globale e locale) non sarà economico, politico, ideologico, scientifico; sarà molto probabilmente umanistico, cioè la scelta tra: un’accelerazione verso un umanesimo ateo (forzatamente marxista) o un rallentamento per ricuperare un umanesimo cristiano (necessariamente cattolico). Andare di qua o di là, non sarà tanto un compromesso ideologico tra i dogmi illuministi del passato e le dottrine ecclesiastiche addolcite, sfumate o modernizzate; certamente no. Sarà occuparsi, non dei poveri (lo fa già lo stato), non dei ricchi (ce la fanno da soli) bensì dei cittadini dimenticati: del ceto medio. E non c’è ancora un’ideologia anti o per ceto medio, per fortuna; ci vuole realismo ossia affrontare la realtà in tutti i suoi fattori. Il contrario delle ideologie mortifere del secolo scorso che prendevano una parte per il tutto.
Tenuto conto che, per finire, in fondo, loro del ceto medio come noi che ne facciamo parte, desideriamo poche cose ma essenziali: sentirci liberi, una famiglia che ci ami, un lavoro che ci paghi dignitosamente, un Dio che ci perdoni e una patria che ci protegga. Tom Waits in long way home, cantava qualcosa del genere… Noi ce la faremo!
*Economista